Felice Filippini
Poesie, Lugano, Giampiero Casagrande, 2004
Version imprimable
Felice
Filippini / Poesie |
|
La pubblicazione di questa
raccolta di poesie, curata da Giovanni Orelli,
Rocco Filippini e Giampiero Casagrande, con la
collaborazione di Alessandra Dolci, nasce dalla
considerazione che la produzione poetica di Felice
Filippini non poteva che essere quasi certamente
sconosciuta anche al pubblico più attento.
Lo stesso Giovanni Orelli, infatti, nella Postfazione,
parla di "versi che si ricavano da pubblicazioni
così rare, così di lusso privato,
così "praticamente" inaccessibili
al pubblico, che possono essere visti come versi
inediti". |
|
Felice Filippini
(Arbedo 1917 - Muzzano 1988), poliedrico
uomo d'arte noto soprattutto per la sua opera
pittorica, esordì come scrittore nel
1943 con Signore dei poveri morti (Istituto
Editoriale Ticinese, ma anche Vallecchi, 1955).
Il romanzo, che riscosse un successo non solo
di pubblico, gli valse la prima edizione del
Premio Lugano (lo stesso riconoscimento che
l'anno successivo, 1944, avrebbe laureato l'esordio
poetico di Giorgio Orelli, Né bianco
né viola). Con i successivi Racconti
del sabato sera (1947) e il secondo, imponente
romanzo Ragno di sera (pubblicato, nel 1950,
contemporaneamente da Salvioni e Mondadori),
Filippini si guadagnò, invece, rispettivamente
il Premio Paraggi e il Premio Schiller. Accanto
a questa produzione letteraria, vanno segnalate
una vivace attività di traduttore e saggista,
dove spiccano la traduzione de Il barbiere di
Siviglia di Beaumarchais (Rizzoli, 1951) e il
saggio Figaro ovvero Il primo torto è
quello di esser morto: Saggio sul celebre personaggio
di Beaumarchais (Edizioni Cenobio, 1952), e
la lunga esperienza radiofonica: Filippini fu
prima collaboratore, poi responsabile dei programmi
parlati della Radio Svizzera Italiana, per i
quali adattò, tra l'altro, opere di Pirandello,
Max Frisch, Giraudoux, dello stesso Beaumarchais
e di Georg Büchner.
|
|
|
|
|
Felice
Filippini, due poesie e due immagini |
Felice Filippini, Crepato dalla
luce, 1968, collezione Catanzano, Milano
Crepato nella luce
Quando un sole d'inverno veleggia sui
macelli
da un foro nella roccia manda alti ori falsi
per regalare qualcosa della pompa cattolica
alla morte pensosa di qualche veemente titano.
"Fare questo a degli uomini, passi
-ma a dei tori!"
Ecco dove il pittore è un boia
di misericordia.
Ricordo il giorno che scattavamo photo-finish
su enormi assassinii che facevano crepare
le croste di sangue secco rappreso alle pareti
e dondolare grappoli di vesciche pèndule in una crepa
di sole.
Così, in attesa della morte meditabonda
studiamo una fuga possibile per l'alta feritoia.
Felice Filippini, Il crollo della
folla, 1969, collezione Boni, Castagnola
Il crollo della folla
Si può dire ogni cosa: ma non
è spettacoloso
seguir con gli occhi questo popolo di mani
che ribollendo aspirano a qualche approdo supremo?
Che mestiere, il pittore! suscita gesti corali
e governa aneliti umani verso uno sbocco che ignora,
nello spazio a sinistra in alto fuori della tela.
|
|
A
écouter: deux émissions de Filippini pour la Radio
Suisse Romande |
Chronique tessinoise (1959)
Cliquez sur le titre pour écouter (RealAudio)
Nous remercions
vivement la Radio Suisse Romande / Espace 2 pour ces archives
sonores.
Felice Filippini, Due vecchi, Losanna,
collezione particolare
|
|
"Un
out-sider che grida" (Yari Bernasconi) |
Provocatoriamente -e superficialmente,
potremmo limitare i versi di Filippini alla formula di "diario
d'accompagnamento alla pittura". Beninteso, non all'atto
stesso di dipingere (pensando istintivamente a chi dipingeva
la Cappella Sistina facendo "del cul per contrapeso
groppa"), ma alle singole opere. Insomma, delle "annotazioni
descrittive ai margini delle pitture". Ebbene: io credo
che ci sbaglieremmo. Prima di tutto perché parlare
di "descrizione" sarebbe fortemente ingiusto:
meglio parlare di "trascrizione", di modo parallelo
per rioffrire la propria arte, e dunque di rioffrirsi. E
poi perché lo sforzo, il movimento stesso di riproporre
in poesia una forma artistica più immediata, più
istantaneamente dirompente come la pittura, dona all'inedito
Filippini una forza e una passione che meritano un'attenzione
particolare. In quel denso laboratorio di parole che si
rivela il libro, infatti, si rimane quasi storditi dalla
vivacità, dal continuo saliscendi dei toni lessicali
e sintattici: a tratti concitati (Serrate o aperte in
schema naturale / levate / piegate / slogate / liberate
/ annodate / disossate / intrecciate / attorcigliate / impiccate
/ (cui fa corona un popolo di dita) / fan da radici al teatro
della vita. / La testa come il dono di un divino designer
/ s'erge. Ruota. Si china. Sta.), o vigorosi (Pesi
volumi entità / di dighe che si rompono, / venti
del nord che portano / il brutto con nauseanti / folate
di rami pazzi; / chiarore di catastrofi / che crèpano
gli intonaci / diramando sulle squame / di lenti fiumi smorti
),
necessariamente aneddotici e narrativi (Ho conosciuto
il jazz in una casa di imbianchini / fitta di porte e avara
di finestre., oppure Stavo separandomi / da una persona
enigmatica / che volle seppellirsi / dentro il segreto più
fondo / ficcando in questa tela / di un pugnale di cucina
/ la punta e il filo neutrali / in sei tagli volubili /
di vendetta futura.), incalzanti (Caro, overpassed, ironico
come un Duemila / vestito da Ottocento, ispirato e soave
/ perfetto supercameriere con patacche di vento.), ma
mai inconsistenti o tenui. Già. Perché proprio
questo è, con i suoi limiti, l'aspetto centrale della
poesia di Filippini: la volontà di eliminare le "mezze
misure" e di dare spessore all'impulso artistico concreto,
alla spontaneità del desiderio, senza riserve. Così
per l'arte, così per la vita:
[
] O lancio le mie figure in
alto nella luce
o una futura tomba le succhia verso la terra.
Non amo l'atto dell'uomo a mezza strada
ignaro della morte e smemorato della speranza.
Yari Bernasconi
|
|
Cinque
domande a Guido Pedrojetta, Università di Friburgo
(Yari Bernasconi) |
Giancarlo Vigorelli, nel breve saggio che precede le
Poesie, afferma che "questi versi sono il diario-poesia
della pittura-diario di Filippini". Se arbitrariamente,
però, estirpassimo le poesie dalle pitture e cercassimo
di dar loro un valore indipendente, che genere di giudizio
si sentirebbe di dare al Filippini poeta?
A questo proposito, nell'appendice
al volume colpisce l'osservazione intelligentemente provocatoria
di Giovanni Orelli: "questi testi possono infatti
risultare o modesti o molto persuasivi". A me pare
che il loro essere eventualmente persuasivi non possa fare
astrazione dal circuito pittura-lingua-musica in cui sono
nati. Filippini è un creativo sempre alla ricerca
del mezzo espressivo più congeniale ai propri slanci
e, non di rado, la sua ispirazione si alimenta nel confronto
tra l'uno e l'altro mezzo. Si può vedere il caso,
a mio parere dimostrativo, di Crepato nella luce
(pp. 42-43) in cui abbiamo la rappresentazione e, a fronte,
la lettura metaforico-simbolica di un toro morto (parente
assai stretto del montaliano cavallo stramazzato): a sinistra
l'immagine con la sua intitolazione, a destra i versi che
'giocano' entro l'area semantica di crepare Ricordo il
giorno che scattavamo photo-finish / su enormi assassinii
che facevano crepare / le croste di sangue rappreso alle
pareti / e dondolare grappoli di vesciche pèndule
in una crepa di sole
Nella seconda parte della
raccolta, poi, tutta incentrata sul rapporto parola-musica,
il passaggio dall'uno all'altro piano è costante
e, non di rado, abilmente sfruttato: È un bomb
un arc
un gen
un flic.. / Un'aria / inflessibile
di bronzo gli archi umilia (Assolo di qualchecosa, p.
111) con l'attacco sincopato eseguito, si direbbe, non dalla
voce umana, ma da timpani ed ottoni. Per non dire dei metaplasmi
insistiti: Certo quei due fornivano Solenni Suoni Sicuri
(Konzert in Dur, p. 110).
Si possono, a suo parere, riconoscere
delle analogie tra la prosa e la poesia di Filippini; quali
sono le differenze più sorprendenti?
Nella prosa di Filippini (lo ricorda
anche il figlio Rocco proprio nella prefazione alle Poesie,
citando Giorgio Orelli) vi è una notevole componente
in senso lato -ma non generico- "poetica": ho
mostrato altrove come nel Signore dei poveri morti
ricorrano cadenze canoniche in numero piuttosto elevato,
collocate in sedi privilegiate, sin dallo stesso titolo
(un novenario). Anche qui, l'energia creativa circola da
un settore all'altro e a me pare che le "differenze"
caratterizzanti consistano soprattutto in questi sconfinamenti,
della poesia nella prosa e della prosa nella poesia (Giovanni
Orelli considera con giusta cautela i casi di ipermetria:
cfr, p. 138, ma se ne possono citare altri, da non emendare),
analogamente a quanto si è ricordato sopra: parola-musica,
parola-pittura. Del resto, la giunzione di musica e parola
è uno dei motivi profondi, ricorrenti nel romanzo:
ora egli si dibatteva nei ricorsi fascinosi delle parole-musica
della notte, più febbrili, queste, delle altre.
Su questo ricorso (alla citazione che precede se ne potrebbero
infatti allineare altre dieci) si è fermato l'occhio
critico di Montale che, tuttavia (1955), avanza importanti
riserve sulla "poetica" del Filippini esordiente.
Felice Filippini è stato
per il Novecento ticinese un uomo d'arte di indubbio valore.
Sul piano letterario, però, come ricorda Flavio Catenazzi
in Alla scoperta del poeta Felice Filippini ("CdT",
5 marzo 2005), egli "è per molti, prima di tutto
e soprattutto, l'autore del Signore dei poveri morti".
Cosa si può dire a proposito delle altre opere letterarie
di Filippini, in particolare di Ragno di sera?
A mio gusto, le migliori riuscite
di Filippini si collocano nell'ambito autobiografico; anche
sul versante figurativo, i suoi ritratti meglio riusciti
sono autoritratti. In questo senso si può capire
che il suo primo romanzo, sviluppatosi attorno a un evento
fortissimo e traumatico, vissuto in prima persona, continui
ad apparire anche come la sua cosa migliore. Ragno di
sera è interessante per l'impasto linguistico,
sul piano della resa globale, invece, assomiglia un po'
a certe sue pitture, di dimensioni sovrabbondanti, difficili
da gestire. Nelle intenzioni, il romanzo doveva risultare
come il più vasto affresco della vita familiare ticinese,
mai tentato prima di allora (e fu infatti premiato a un
concorso nostrano, volto a valorizzare la rappresentazione
della famiglia). A cose fatte riuscì a fare sicura
impressione per la mole, meno per la materia affrescata:
un suo lettore non troppo benigno, ma attentissimo ed acuto,
l'ha definito sinteticamente come "marasmatico"
(e non, poniamo, magmatico).
Filippini, tra le altre cose,
ha svolto un'interessante attività di saggista. Alcuni
dei suoi testi sono fortemente ancorati alla realtà
ticinese. Qual era il rapporto intellettuale tra Filippini
e il suo paese?
Chi rilegga il suo volumetto sullo
spirito ticinese, provvisto anche di una panoramica
antologica degli scrittori, capirà tra le righe (ma
a volte quasi sul rigo) che, per lui, si trattò spesso
e soprattutto (specie, si capisce, negli anni giovanili)
di profilarsi, di presentarsi, di confrontarsi col gruppo
fin troppo folto degli intellettuali svizzero italiani:
scrittori e critici, pittori e musici, vecchi e giovani,
a lui benigni, oppure ostili. In questo lavoro denso e sanguigno
-come la maggior parte delle sue cose- esibisce la propria
sicurezza e superiorità di giudizio, graffiante e
solennemente assertiva, certo, ma di una perspicuità
più formale che reale; no di rado, almeno nel settore
letterario, gli argomenti solidi gli facevano difetto Abbiamo
un poeta, nel Ticino, di straordinaria purezza: l'adolescente
trentenne Giorgio Orelli mette una nota elegante, un poco
arcana e distante, ovunque si parli d'arte o sia a riconoscerne
una condizione; al pari della sua poesia, il discorso è
raro, disinfettato al massimo (Una corona di ricci, per
definire uno spirito ticinese, Bellinzona 1950, p. 47).
L'attacco in plurale (Abbiamo) è altamente
rivelatore di un modo di porre e di porsi. La verve critica
di Filippini è poi naufragata, sul versante letterario,
in un'infelice stroncatura dell'Adalgisa di Gadda.
Nel panorama letterario ticinese
del Novecento, come merita di essere considerata - secondo
lei - l'opera letteraria di Felice Filippini?
La sua prosa si colloca sicuramente
ai primi posti, superando di molto, per esempio, quella
del suo critico più entusiasta ed ammirato, Guido
Calgari. Ma è sintomatico che, contrariamente a ciò
che è capitato ai nostri poeti (Orelli, Pusterla)
nessun prosatore ticinese del Novecento, pur stampato in
Italia da editori importanti (Mondadori, Einaudi, Vallecchi)
sia poi riuscito a varcare i confini della Svizzera, per
figurare in un'antologia italiana di qualche prestigio:
neppure Felice Filippini narratore.
Yari Bernasconi
|
|
Rassegna
Stampa |
Alla riscoperta
del poeta Felice Filippini
un versante poco noto della creatività
del narratore e pittore ticinese
Ci sono scrittori ticinesi del 900
che viene istintivo apprezzare in blocco, prima di operare
dei distinguo. Plinio Martini, per esempio: la sua straordinaria
capacità affabulatoria è depositata nella
nostra memoria prima ancora che la possiamo, argomentando,
legare a un libro piuttosto che a un altro. Si dovrà
dire che lo stesso non accade di fronte al nome di un autore
importante e degnissimo come Felice Filippini: per il fatto
che egli è per molti, prima di tutto e soprattutto,
l'autore del Signore dei poveri morti, il romanzo
cui fu attribuito, più di mezzo secolo fa, il premio
Lugano e che s'impose all'attenzione anche degli ambienti
intellettuali d'Oltr'Alpe, come sottolinca Pierre Olivier
Walzer in una lettera del 1944: "j'ai entendu dire
(de votre roman) un grand bien un peu partout, et en particulier
de la part de Monsieur Contini".
Un'ombra oscura, tanto disturbante
da costringerci a una lettura difensiva, quasi manichea,
ha accompagnato invece la sua produzione successiva: le
recenti edizioni di quel gioiello che è il racconto
lungo Rosso di sera, e del poderoso Ragno di sera,
vera e propria epopea paesana con cui Filipini conclude
il suo viaggio attraverso la letteratura, sono state infatti
accolte con l'imbarazzo di chi, pur riconoscendone l'originalità
e l'estraneità rispetto alla prosa narrativa coeva,
le considera opere poco incisive, variazioni di quel capitolo
della memorialistica dentro cui s'era consumata, anni prima,
la vicenda di Mercellino.
Questra reductio dell'esperienza
ad unum ("Dicono che mi ripeta, e non ci bado")
non tiene però conto della tenacia con cui egli ha
portato avanti il progetto di una scrittura che, rifiutando
l'accademismo e la retorica classicistica, si ponesse come
prolungamento del proprio essere: antenna dolorosamente
sensibile, con cui catturare la condizione ansiosa dell'umanità
sofferente e comunicare il proprio tremore.
All'assunto sostanzialmente realistico
di questa vocazione si richiama anche un versante poco noto
della varia e frenetica attività di Filippini, quello
poetico: la poesia, scrive infatti nel '49, memore forse
di una celebre affermazione di Eliot, "non vale se
non al culmine di una terrestre ascesa tra la cose vive".
A lungo coltivata, ma rimastra quasi sempre chiusa entro
il cerchio magico del privato, essa risplende ora di luce
propria nella bella edizione che Giovanni Orelli ha curato
per Casagrande, accompagnandola con l'affettuosa intensa
testimonianza del figlio, Rocco, e con un breve saggio di
Giancarlo Vigorelli, che dello scrittore ticinese fu amico
e confidente.
I testi qui restituiti, oltre una
settantina, sono stati selezionati da un corpus piuttosto
disomogeneo, la cui genesi parce collocarsi a ridosso del
Signore dei poveri morti: è nel febraio del
'46, infatti, che alcuni versi di Filippini, veri e propri
juvenilia, sono accolti, insieme con altri di scrittori
ticinesi nelle pagine di Libera Stampa curate da
Eros Bellinelli, Questo primo nucleo si arrichì col
tempo di materiali di più complessa fattura, su cui
l'autore ci informa nel carteggio che tenne con gli amici:
a Vigorelli, per esempio, fa sapere nel '61 che sta componendo
quattro ballate, "poemi a modo mio, molto antiitaliani
nell'ispirazione e nella forma: cose curiose".
Raccolta in progress, cui lo scrittore
avrebbe voluto dare una sistemazione definitiva, organizzandola
in previsione di una pubblicazione (così pare di
ricavare anche da un'intervista trasmessa dalla Radio della
Svizzera Italiana), essa costituisce dunque un documento
di grande interesse, suggestivo per gli echi che in esso
si ritrovano dell'opera di Filippini.
[...]
Flavio Catenazzi
5 maggio 2005
Page créée le 01.09.05
Dernière mise à jour le 02.09.05
|
|
© "Le Culturactif
Suisse" - "Le Service de Presse Suisse"
|
|