È morto, all'età di 81 anni, lo scritore Giovanni Bonalumi'Ostaggio' della letteratura
È morto ieri il professor Giovanni Bonalumi, scrittore e poeta ticinese. Aveva 81 anni ed era nato a Muralto. Lasciamo alla penna del professore ed amico Mario Agliati il compito di ricordare la figura e l'opera dello scomparso.
È difficile per me parlare in questo momento. La penna recalcitra. Conobbi Giovanni a Friburgo negli ultimi anni della guerra, con lui tra gli altri, Giorgio Orelli, Adriano Soldini, Fernando Bonetti, Romano Broggini, Fernando Zappa. Coltivava allora anche lo sport attivo, come portiere di una squadra di calcio della Basse Ville: "Anima lunga" com'era le sue braccia arrivavan pertutto e forse avrebbe potuto continuare con successo per quella via ma il più per lui era altro si lavorava in tempo record, con un'attenzione sulla poesia di Dino Campana, dopo un anno di soggiorno a Firenze, che gli consentì l'amicizia di Mario Luzzi. Volava già alto, e lontano: la Germania tra altro, è più forse Londra. Insegnò nei ginnasi, e di lì passò alla Magistrale di Locarno. Era certo un meritato bel traguardo ma per lui appassionato anche di ciclismo (ci cimentammo insieme anche in qualche grottesca gara) non c'era che un "traguardo volante". Intanto era venuto componendo un romanzo di lunga lena, 'Gli ostaggi', che tra l'altro poneva, com'era nel suo dire una "problematica esistenziale"; ma l'essenza forse stava nella scrittura, nella qualità narrativa che nel Ticino era nuova, e nella poetica "invenzione": e così vinse, nel 1954 il prestigioso Premio Veillon, con Lalla Romano. Ci sarà, all'apparire per le stampe, anche qualche reazione risentita, ma il tempo si sarebbe incaricato di porre a quelle pagine una nuova luce, tanto che a una successiva edizione ci sarà una prefazione nientemeno che di Padre Turoldo.
Ma accanto al romanziere, lo studioso di storia letteraria non aveva soste e così, con un fitto saggio su 'Il Parini e a satira', già nel 1956 Giovanni si conquistava la libera docenza presso l'Università di Basilea. E qui si apriva per lui un periodo peril quale, oltre che ammirarlo, io lo dovetti invidiare: a me volle allora apparire quasi un eroe, da 'Volere è potere'.
Quella libera docenza doveva essere, come si dice, "pagata". Giovanni si dovette così mettere in treno ogni domenica sera per la città renana, tenere la sua lezione (che naturalmente supponeva una lunga preparazione), il lunedi mattina, e tornare a casa il martedì, per riprendere, come se nulla fosse, la sua fatica alla Magistrale: e questo per 11 anni filati.
Il fatto si è che nel 1968 Giovanni diventava professore straordinario, e nel 1970 illustrerà per gran tempo, con continua dignità, la cattedra che nei miei anni giovanili era stata di un altro ticinese, Arminio Jonner. Basterà dire tra l'altro che fece assegnare la laurea honoris causa a Eugenio Montale, E intanto nel 1963 era uscita la 'Storia di Miranda': il Fogazzaro giovane, e poi Ippolito Allievo, Giovita Scalfini.
Ma dalla storia letteraria Giovanni sapeva passare a quella culturale-civile del suo Ticino che amava. Del 1974 il saggio 'La giovane Adula', che, con equità e con coraggio, mandava in pezzi un vecchio tabù, e apriva la strada a molti altri studiosi che, nel punto, vennero di poi: quasi da dirlo un precursore.
L'uomo aveva una verace passione per il paese: sapeva coltivare anche il giornalismo, d'un genere però particolare, che direi letterario-moralistico: così per anni i suoi corsivi sul settimanale "Cooperazione" di Ugo Frey. Più tardi egli verrà cooptato da Sergio Caratti in quella sua originale creatura che era la rubrica "Opinioni al margine", con Soldini, Snider, Pietro Caizzi, a un certo momento Papa. Inconfondibili le sue prose: l'osservatore acuto si faceva quasi sempre narratore: e lo prova il volume che ne deriverà nel 1986, 'Coincidenza', con prefazione di Mario Soldati.
E nel 1988 comparirà un'altra sua raccolta di saggi, 'Il pane fatto in casa', di diversa natura però, di argomenti del '900, specie il secondo letterario ticinese, fuori dal provincialismo, con apparati aggiornatissimi: Chiesa, Zoppi, Filippini, Giorgio Orelli, Bianconi, il luganese di Angioletti; e col Ticino la Lombardia di Vittorio Sereni, Un volume da tenere in gran conto anche dagli studiosi di domani; e basti dire che qui a dettar la prefazione era Carlo Bò.
Ma ben oltre i confini andava la collaborazione saggistica di Bonalumi: tra altro alle riviste "Paragone" e "Lettere italiane". Per lui la letteratura significava quasi un culto sociale, un impegno pedagogico donde l'Antologia messa insieme, per l'ordine delle Scuole Medie, con l'amico e collega Vincenzo Snider, 'Situazioni e testimonianze'. E come antologista egli doveva andare anche più in là: 4 anni fa usciva in collaborazione con Renato Martinoni e Vincenzo Mengaldo, 'Cento anni di poesia nella Svizzera italiana'.
Era insonne il suo fervore. L'uomo era stracolmo di idee che sapeva poi attuare. Con Caratti nel 1982 fondava una rista annuale di varia cultura 'L'Almanacco'; e con Caratti lo mandava innanzi senza sosta per ben 10 anni, da riempire un intero palchetto di libreria.
Ma altro ancora significava Bonalumi: accanto al narratore, al critico, al moralista il poeta (con la raccolta 'Album', 1990) e il traduttore di poeti talvolta tra i più difficili, e di disparati domini. Basti dire che nel 2000 egli usciva con due quaderni di traduzioni, 'La traversata del Gottardo' e 'Album inglese': il che gli valeva il puro anche prestigioso Premio Monselice, per ottenere il quale egli non aveva certo brigato.
Potrebbe bastare per una vita anche lunga ma non si può tacere l'altra sua bella qualità: la cordialità umana, il senso della solidarietà, il piacere degli amabili conversari, sedendo a mensa, per dir col suo Parini (in stuol d'amici numerato e casto); per cui ancora per citare l'amato poeta lombardo, pensando a lui si può dire: "A quella è vera fama / D'uom che lasciar può qui / Lunga ancor di sé brama / Dopo l'ultimo di".
Mario Agliati
Il ricordo del professore Alessandro Martini
'Un insegnante assai prezioso'
"Una figura che mi è presente da quando anch'io ho iniziato a studiare lettere, anche perché era legato a mio padre e quindi l'ho conosciuto in quei momenti. Durante gli studi sono stato poi suo allievo. Ho sempre seguito Bonalumi con attenzione" ci dice commosso il professor Alessandro Martini, titolare della Cattedra di Letteratura italiana all'Università di Friborgo.
"Era sempre molto attento a quello che faceva e non so se sono stato così attento io a cosa diceva lui. È meno facile da dire. Un personaggio verso il quale ho sempre avuto la massima stima" prosegue il professore Martini. Un uomo, così come à capitato a molti di quelli della sua generazione, impegnato almeno su due fronti: la produzione letteraria e quella critica. "Una persona che ha saputo bene unire le due attività anche se non è sempre facile. Lui c'è riuscito. Questa doppia personalità ha saputo offrire un grosso contributo". Con la sua scomparsa biene meno una personalità dell'intera letteratura svizzera... "È indubbio, anche perché era molto attento alla situazione della Svizzera come tale. Era quadrilingue e conosceva anche altre letterature. Sapeva tradurre e quindi mettere in contatto la varie lingue la varie culture della Confederazione. Un indubbio merito, questo, di Bonalumi". Da questo punto di vista si può dire che Bonalumi ha anticipato alcune esigenze oggi attuali. "Senza ombra di dubbio. Era una persona che negli anni Cinquanta e Sessanta ha tenuto d'occhio le caretteristiche della nostra convivenza civile. I temi allora non erano di diretta compresione e lui ha perseguito questa strada durate tutti gli anni della sua attività". Un uomo di lettere, dunque, ma anche - come spesso capita in questi casi - un uomo estremamente attento alla cultura complessa ed eterogenea quale è appunto quella elvetica. Con la scomparsa di Bonalumi, conclude il professore Alessandro Martini, viene meno un pezzo davvero importante della letteratura svizzera. Une pezzo che però non verrà mai dimenticato perché ci restano le opere di Bonalumi e ci resta, soprattutto, il suo insegnamento.
Il ricordo
In memoria di Giovanni BonalumiCon la scomparsa di Giovanni Bonalumi, avvenuta la scorsa settimana all'età di 82 anni, è venuto a mancare uno degli uomini di cultura ticinesi più significativi e operosi dell'ultimo mezzo secolo. A dispetto di un'aria apparentemente svagata dietro il fumo della sua inseparabile pipa, lo scrittore di Minusio è stato infatti attivissimo in molteplici campi.
Come docente di letteratura italiana, dapprima alla Magistrale di Locarno poi all'Università di Basilea, egli ha saputo infondere l'amore per scrittori e poeti classici e moderni in schiere di studenti. I quali, pur prendendosi magari gioco della sua proverbiale distrazione, sulla quale coltivavano innumrevoli aneddoti, o di quel suo vocione baritonale che molti cercavano di imitare, ne hanno sempre apprezzato sia la vastissima cultura - mai però ostentata - sia la bontà d'animo e la bonomìa del fare; il tutto sintonìa con quel nomignolo di "Bona" con il quale veniva affettuosamente chiamato. Anche il suo modo di esprimersi - chiaro, preciso, efficace, non di rado colorito - è stato di stimolo a molti per imparare al meglio la nostra lingua.
Come scrittore Bonalumi si era poi fatto un nome fin dalla metà degli anni '50, con il romanzo"Gli ostaggi", nel quale prendendo lo spunto dalla sua personale esperienza, di ragazzo messo in seminario dopo la morte del padre, rifletteva e faceva riflettere su sistemi educativi ormai anacronistici. Non meno significativo fu il romanzo "Per Luisa", uscito una ventina d'anni più tardi ed incentrato sui problemi esistenziali di un giovane intellettuale (dietro il quale non era difficile scorgere l'autore medesimo). Parallelamente all'attività di romanziere, integrata da non ppoche composizioni poetiche - parecchie delle quali tuttora inedite - lo studioso locarnese ha pure pubblicato numerosi saggi, tra i quali spicca per importanza "La giovane Adula": una pregevole ricerca, data alle stampe nei primi anni '70 ma valida ancora oggi, nella quale l'autore indaga con oggettività e misura sui difficili rapporti fra italianità ed elvetismo nel Ticino del primo Novencento. Di sicuro interesse per lo studio della nostra letteratura sono pure l'antologia "Situazioni e testimonianze" curata con Vicenzo Snider nel '74, e la raccolta di saggi e conferenze "Il pane fatto in casa", dell'88.
I suoi interessi non si limitarono però mai all'orto di casa. Il sodalizio che ebbe con non pochi scrittori italiani (da Montale a Sereni, da Soldati a Fenoglio, da Chiara a Cecchi a Carlo Bo, a molti altri) stanno anzi a dimostrare esattamente il contrario. Lo stesso si può dire della sua lunga attività come traduttore dal francese, dal tedesco e anche dall'inglese, nonché al ruolo da lui assunto nella Società degli scrittori svizzeri, di cui per qualche tempo fu perfino presidente (dopo la polemica uscita di scena di Maurice Zermatten).
Ma Giovanni Bonalumi non è stato un intellettuale interessato solo ai libri. Fu pure osservatore attento e commentatore acuto di questioni civili. Dopo aver mosso i primi passi giornalistici su "Avanguardia", settimanale dei liberali-democratici ai tempi della storica scissione del Plrt, tenne per anni, sotto lo pseudonimo "L'invitato", la rubrica "Il caso" sul settimanale Cooperazione. Collaborò pure all'inserto del Dovere "Ragioni critiche" e nell'ultimo ventennio è stato spesso presente, con chiose di vario tipo, sul Corriere del Ticino (in parte raccolte nel volume "Coincidenze"). La testimonianza migliore del suo lungo impegno civico è però forse da ricercare nella rivista "L'almanacco", da lui creata e diretta per una dozzina d'anni, con Sergio Caratti, nell'intento di approfondire varie tematiche di attualità, di storia, di letteratura e di costume. Vanno pure citate la sua attività di dirigente del Festival de film di Locarno e la sua partecipazione a numerosi dibattiti su temi di politica culturale. Al riguardo ci piace ricordare quello che è stato forse il suo ultimo impegno civico: la convinta adesione che diede, un anno fa, al comitato di sostegno per la scuola pubblica.
Inconfondibile già sul piano fisico, per i tratti del volto fortemente marcati e l'alta statura, "attenuata" però dalle spalle un po' curve e dalla testa legermente inclinata sulla destra, Bonalumi ebbe una posizione tutta sua anche in ambito politico-ideologico. Di orientamento liberal-socialista, vi abbinava però una schietta ispirazione cristiana, rimasta salda nonostante le delusioni del seminario. Si muoveva insomma della scia del cattolicesimo liberale di alcuni dei suoi autori prediletti, quali il Parini, il Manzoni o il Fogazzaro, attualizzata però dalle riflessioni di un Aldo Capitini e di altri collaboratori al "Mondo" di Pannunzio (del quale fu lettore assiduo). "Per dirla corta", "a volo d'uccello" - se è lecito qui far uso di due delle sue locuzioni più tipiche - Giovanni Bonalumi è stato un uomo, uno studioso e un cittadino benemerito. Lo ricordiamo con stima ed affetto.
Franco Celio
martedi 15 gennaio 2002A lire dans Les archives du journal LE TEMPS
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