Una singolare intevista raccolta nella sua casa in Valle Onsernone

Che ne dite, il Ticino è in pericolo ?

Suonano le quattro di un giorno d'agosto. La paura era quella di essere in ritardo. Passare il Ticino, soprattutto passare Locarno, in questo mese è sempre un'impresa. Il cancelletto è solo accostato. Una lunga serie di larghe piode scende verso la casa. Tutto è aperto e Max Frisch ci sorride dal fondo della scala. Ci fa accomodare su un tranquillo terrazzo. Sotto c'è un prato. Come d'accordo, non si parla di letteratura, ma sarà inevitabile fare a volte riferimento a quello che ha scritto.

Da quando vive qui e per quale motivo ha scelto questa valle, l'Onsernone ?

Dal 1965. Prima ho abitato per cinque anni a Roma e qui ci sono arrivato in parte per caso. Un mio amico, uno scrittore tedesco, Alfred Andersch, aveva una casa da queste parti e quando sono venuto a trovarlo ha detto "lì sotto c'è una casa, costa pochissimo". Per me è stato un argomento decisivo. Sono andato a vederla. E ora ci sono. Strano. Dopo i cinque anni passati a Roma, anni interessantissimi, volevo tornare in Svizzera, ma non del tutto. Non cercavo Zurigo, non volevo occuparmi di problemi politici, non volevo più essere lo scrittore coinvolto nella politica svizzera perché non avevo più voglia, mi annoiava. Non potevo farci niente : era così. Appena rientrato, un mio amico ha pubblicato un libro - "Siamo italiani" - sui lavoratori italiani in Svizzera. Quello che ha scritto, i dati che ha raccolto, mi avevano commosso moltissimo perché amo gli italiani, amo questo popolo e così mi sono ritrovato "in clinch", di nuovo "contro" questa Svizzera. Una contraddizione dopo l'altra. C'è un'altra cosa. Ho passato quattrocento giorni in divisa durante la Seconda guerra mondiale, come soldato semplice, cannoniere, e ho conosciuto il Ticino. Non Ascona, non Melide, non Lugano. Il Ticino povero, selvaggio, la regione alpina. Come soldato pensavo che sarebbe stato bello vivere qui un giorno senza una divisa addosso. Ma questo è un ricordo e tante circostanze casuali sono le vere responsabili di questa mia scelta. Non sono mai stato un turista in Ticino. Conoscevo il paese. Ripeta pure che era il vero Ticino quello che conoscevo, non quello turistico, non quello degli alberghi.

Questi motivi le "bastano" ancora per vivere oggi in Ticino ?

Una domanda difficilissima.Ho questa casa. È mia. L'unica dove non pago affitto. Ho vissuto anche a Berlino, a New York. A un certo momento ho pensato "che cosa ne faccio ? la vendo ?". Sono contento di non averlo fatto È il posto che conosco di più, quello che mi è più intimo. Anche se non è tanto comodo. Adesso sono vecchio. Non venderò la casa, ma ci sono abituato. Mi trovo dunque in Svizzera, il "nostro paese", questo villaggio, la nostra nazione. Qui nel villaggio mi sento meno "contro" che non quando sono a Zurigo. Qui sono uno straniero. Non ho neanche fatto sforzi per collaborare. Non ho contatti. Qui sono svizzero, ma non sono ticinese. Sono in uno spazio stranamente neutrale. Però questo paese ha la sua storia e, adesso, gravissimi problemi. All'italianità del Ticino non contribuisco in alcun modo. A dire il vero quello che non vorrei è vivere in un paese solo per me, sarebbe contro la mia ideologia, sarebbe come un inglese in India. Non sono d'accordo con questa mia situazione.

Come sono per lei i ticinesi, la popolazione del paese e della valle ? E lei cos'è per loro ?

Molto è cambiato in questa valle negli ultimi venticinque anni. Ora sono qui "temporaneamente". E con pena, con ansia, con preoccupazione vedo il Ticino nel suo complesso. Nel 1803 ha raggiunto l'indipendenza. Prima era oppresso dalla Svizzera primitiva. Da questa condizione è nata una simpatica qualità. I ticinesi non sono "gouvernemental". Se dovessi nascondermi come rifugiato certamente non sceglierei Zurigo, piuttosto il Ticino. A Zurigo ognuno è poliziotto. In Ticino sono poliziotto solo quelli della polizia. È cominciata una nuova colonizzazione. La Svizzera tedesca è egemone anche nei confronti della Svizzera romanda. Questa bella immagine che abbiamo - "la Svizzera con quattro, venti lingue" - è completamente sbagliata. La Svizzera è dominata dalla parte tedesca, dalla sua potenza economica e qui si pone il problema dell'identità. È ancora una nazione la Svizzera ? o solo un posto di finanziamenti internazionali ? E questa tendenza sta aggredendo anche il Ticino, anche se forse comincia a farsi sentire una reazione, un contrattaccco. Ci si accorge che in Ticino si è sulla difensiva, si sente un'animosità comprensibile, ma non produttiva.

Si parla di lavoro. Max Frisch dice che molti confederati sono arrivati in Ticino per occupare posti che alla gente di qui non interessano più. Qualche contadino che ha rifatto i campi, qualche giardiniere che tiene a posto alberi, fiori, prati. Ma c'è dell'arnimosità nei loro confronti.

Mi piacerebbe che i ticinesi fossero più orgogliosi e consapevoli, ma senza risentimento. Il rapporto tra ticinesi e svizzeri tedeschi è in ogni moda già complicato. Il Ticino è stato trattato come una colonia. Sono arrivati tanti tedeschi e hanno aperto dei negozi. Nei negozi parlo sempre italiano, non lo parolo molto bene, ma ci provo. Arrivo in un negozio, parolo italiano, ma sono circondato da svizzeri tedeschi. Dove sono i ticinesi ? È come se fosse avvenuta una trasmigrazione di popoli. Questo è male, molto male, ma d'altra parte la situazione economica è migliorata. Non ci sono quasi più case da comperare, stalle da riattare e i germanici che hanno acquistato qualche cosa hanno avuto molta cura e rispetto per la sostanza architettonica, forse più dei ticinesi.

Il signor Geiser, protagonista del suo romanzo "L'uomo nell'Olocene", a un certo punto dice della gente ticinese : "Die facciata sono gentili e ringraziano per la carne, in fondo considerano chiunque non sia nato nella loro valle un riccone o uno svitato". È anche quello che pensa lei ?

Sì, non si discosta molto dal vero. Io sono un uomo singolare. Ho sempre incontrato gente gentile. Non mi piace discutere. però si trova sempre qualcosa da dire. Una signora che veniva qui a fare le pulizie mi diceva "ma signor Frisch, lei ha sempre lavorato, è già ricco e continua a quadagnare soldi, soldi, soldi". Naturalmente per la gente sono un uomo strano, bizzarro, curioso, stravagante. Questa non è la mia opinione. Anch'io non lo so... ma quando penso ai ticinesi per prima cosa penso a gente come quella signora e a gente che è diventata vecchia come il vecchio postino, poi naturalmente al mio avvocato o al mio fiduciario a Locarno- quello è un patrizio - ma penso che questa è l'afflizione più grande del Ticino... Già, per via dei problemi svizzeri ! O siamo un sacco pieno di soldi o siamo un popolo. Esiste qui una superpotenza economica e altri che la combattono. Ho l'impressione che la gente pensi che i tedeschi siano "ricchi ricchi ricchi". Però non è così. Non so come la gente che qui ha il potere politico si comporti poi a Berna. Se, una volta lì, spieghino veramente i problemi del Ticino. Ho la sensazione che i politici ticinesi si siano molto adeguati al modo di fare della gente di Berna per essere accettati.

Mi interessava capire se il Ticino dovesse avere un'università o meno. Ero dell'opinione che sarebbe stata una buona cosa avere una università, piccola ma buona, come centro culturale e non come chiesa. La maggior parte dei miei conoscenti ticinesi, tra cui alcuni che contano, sono contrari e devo dire per una ragione anche valida. Sostengono che tutto diventerebbe ancora più provinciale. Il problema determinante in fondo è dove il ticinese possa acquistare la consapevolezza del proprio valore. Non può sentirsi qualcuno solo con la ricchezza. Per questo ci vorrebbe un'università".

Sembra quasi destino: quelli che hanno qualcosa da dire devono fare una valigia e andare via da dove sono nati verso qualsiasi altra parte. Lei è nato a Zurigo ed è venuto a scrivere in Ticino. Fa parte di una ricerca, si deve scoprire il nuovo, rifiutare quello che si ha ?

Questo è diverso, uno può lavorare a casa, l'altro no. Per la mia generazione era "ancor più" diverso. Noi avevamo Hitler e Mussolini e non sapevamo come era fatto il mondo. Dovevamo andare in Italia, Germania e Francia. Anche il ticinese va, però questo dipende dal fatto che il paese è piccolo e dal bisogno di altri orizzonti, confronti, paragoni. Io sono venuto in Ticino perché volevo avere un bel posto per lavorare e che mi potessi permettere di pagare.

Max Frisch ha parlato molto. Risponde ancora a domande sul suo lavoro, ma preferisce che non si scriva quello che dice. Alla fine è stato lui a volerci fare una domanda : "Cosa ne pensate voi... il Ticino è in pericolo ?"

Poi ci ringrazia

Cosa si trova oggi in libreria ?

Nato a Zurigo nel 1911, la vita di Frisch ha inseguito, attraverso varie tappe e ripensamenti, il "sogno della scrittura". "La sua giovinezza", secondo l'amico Enrico Filippini, "non è stata altro che un lungo progetto, un lungo desiderio, un lungo tentativo di scrittura".

Con l'avvio degli studi in architettura (suo è il bagno pubblico al Letzigraben di Zurigo), sembra avviarsi verso un'esistenza "regolare". La guerra, il fascismo e il nazismo, il servizio militare lo "deviano" definitivamente verso la letteratura e lo confrontano con realtà sociali e politiche mai percepite prima, che lo porteranno a scrivere nel '43 il romanzo "J'adore ce qui me brûle oder Die Schwierigen". Tra opere teatrali, memorie, pagine di diario, narrativa e meditazioni il suo percorso di scrittore continua inarrestabile. Il riferimento costante, anche quando sembra distanziarsi geograficamente e tematicamente, rimane la Svizzera. La denuncia del "malessere" elvetico impregna le pagine di "Stiller", oggi esaurito in edizione italiana, così come sono introvabili in libreria, tanto per citare altri due romanzi esemplari, "L'uomo nell'Olocene" e "Barbablù". Purtroppo anche la maggior parte delle opere che Max Frisch ha destinato alla scena, spesso rapresentate dallo "Schauspielhaus" di Zurigo, aspettano ancora una traduzione o una nuova edizione. Senza esse risulta frammentaria la comprensione della sua figura e della sua opera.

Chi legge solo in italiano, e vuole comprarsi i libri, non ha a disposizione attualmente molti titoli : "Don Giovanni o l'amore per la geometria" (Feltrinelli 1991), "Fogli dal tascapane" (Casagrande 2000), "Guglielmo Tell per la scuola" (Einaudi 1973), "Homo Faber" (Feltrinellli 1991), "Libretto di servizio" (Casagrande 1977), "Il mio nome sia : Gantenbein " (Feltrinelli 1988), "Montauk" (Einaudi 1977), "Sono, ovvero un viaggio a Pechino" (Marcos y Marcos 1998), "Svizzera senza esercito ? Una chiacchierata rituale" (Casagrande 1989).

Giovanna Lonati e Peter Sedioli
editing redazionale di Ermanno Pea


04.04.01