Françoise Matthey, Moins avec mes mains qu'avec le ciel, Par Pierre Lepori

Françoise Matthey è una poetessa rara, che senza strepito prosegue il suo cammino di parole, pubblicando libri sempre più belli. Poco più che cinquantenne, ha sinora pubblicato La première parole, nel 1990, Du feu de miel, nel 1994,il testo in prosa Le vivant jusqu'à la pierre, l'anno successivo, e l'inquieto Comme Ophélie prenait dans l'eau sa force, con cui ha ottenuto il premio Schiller nel 2001. Con Moins avec mes mains qu'avec le ciel, questa poetessa d'origine francese, ma oggi istallata nel giura svizzero, raggiunge una potente maturità, senza nulla perdere in discrezione. La sua parola, sempre in levare, sempre sollevata come da folate di vento, si avventura oggi nel dolore amoroso, ma per non peccare di biografismo sceglie una guida. Così com'era stata Ofelia ad accompagnarla su un ultimo sentiero con un'amica scomparsa atrocemente, qui è Euridice - mai nominata - a prenderla per mano nel bosco dei doppisensi ch'è il rapporto all'altro, al proprio compagno. In un incedere dimesso e solenne al contempo - in cui risuonano le premesse di poesia femminile instillate da poetesse come Andrée Chedid o Monique Laederach - il viaggio è allora avventura interiore, ma anche paesaggio da descrivere, alla ricerca del canto perduto di Orfeo, dello splendore della carnalità che un tempo univa e ora sembra ottundersi, sotto i dolenti colpi del tempo. Interiorità e elementi fisici non possono allora che sovrapporsi: "ha nevicato sopra i nostri passi / nevicato sull'inchiostro delle parole". Le parole che, per Françoise Matthey, sono il "solo viatico" possibile, in un canto che si fa pazienza: "quando le acque della separazione taceranno / e io miei giorni offuscati dal tuo patto fallito / cancelleranno la deriva / berrò / l'alto rischio delle luci sonore / Lucida e colma delle mie incertezze / brucerò i temporali / nel fogliame strappato alla mia voce / Canterò sette volte / la pazienza dell'ala / al di sopra delle pietre".

Pierre Lepori

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