Cercare quadrifogli

A due passi da qui, oltre la frontiera, un anno fa don Beretta è stato assassinato. Don Beretta: un prete, un uomo che aveva deciso di vivere per gli altri, per la gente allo sbando. È stato ucciso da uno dei suoi beneficianti, è stato vittima di un sovvertimento dei valori a cui assistiamo sgomenti: il bene viene maledetto proprio da chi vive nella maledizione, la generosità fatta morire da chi ne ha bisogno, la luce oscurata da chi sta al buio. Ma anche nel buio è possibile trovare barlumi di luce. Le fiaccole di stasera stanno a dimostrarlo.
Questa frontiera, che attraversa la pianura e le colline tra Mendrisiotto e Lombardia, in passato è stata teatro di drammi e di soprusi. Ma anche di atti di generosità. Qui la storia ha soffiato i suoi venti spietati e devastatori ma ha anche aperto orizzonti di libertà: qui sono passati antifascisti e ebrei, donne e uomini liberi che hanno avuto il coraggio di dire no alla dittatura; ma quanti ebrei, proprio su queste frontiere, si sono visti negare la salvezza, a causa della "J" di Jude fatta stampigliare sul passaporto dalle autorità? Ora la Svizzera, dopo più di cinquant’anni, ha saputo far chiarezza sul suo passato. Grazie al rapporto Bergier, ora tutti siamo consapevoli della nostra corresponsabilità storica. Perché non ci sono isole felici. Neanche il Ticino è un’isola felice. E i clandestini che, di questi tempi, qui si rifugiano lo capiscono quando sentono sul collo il fiato dei cani, i denti dei cani che li mordono nei boschi. Allora capiscono che il loro dramma non ha fine.

Le fiaccole di questa sera hanno un solo significato: far sì che la speranza non venga meno. Far sì che la morte di don Beretta, l’uomo che aiutava la gente allo sbando, non si perda nel buio della dimenticanza. Fare in modo che il nostro paese possa rappresentare ancora, per chi fugge da terre insanguinate, un luogo di accoglienza. Non vorremmo, come ha detto Urs Jäggi del Movimento contro il razzismo e la xenofobia, che i nostri figli abbiano a che fare, in futuro, con un altro rapporto Bergier.

Non vorremmo venire a sapere che la Svizzera ha rifiutato persone condannate dalla malasorte della storia. Per questo dobbiamo opporci alle forze della chiusura e dell’ottusità, che non mancano neanche nel nostro paese e che talvolta si fanno sentire minacciose.

Una domenica mattina di qualche tempo fa, attraversando il prato qui vicino che fu già il campo di calcio di via Comacini, ho visto una donna di colore che andava in altalena, nel parco giochi sotto i platani. Una richiedente l’asilo, una profuga, una donna che andava in altalena e cantava, con la sua veste lunga fino ai piedi e il chador che le copriva il capo e le spalle.

Era l’unica voce in quella mattina malinconica. Intanto una sua compagna di sventura cercava qualcosa nel prato. Ho guardato meglio: stava cercando un quadrifoglio.

Non so se la donna ha trovato il suo talismano della buona fortuna, le cui quattro foglioline significano sicurezza, umanità, rispetto, speranza.

Viviamo nella società degli estranei e per me quella donna è stata soltanto l’apparizione domenicale di un momento.

Ma la manifestazione di stasera ha proprio questo significato: diradare l’estraneità e far sì che quelle foglioline, sicurezza, umanità, rispetto, speranza, non appassiscano per nessuno.

ALBERTO NESSI

21.01.2000

 

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