L'editore Donzelli pubblica un nuovo libro di Giovanni OrelliGli occhiali di Gionata Lerolieff
Olten - Sempach - Immensee - Sisikon - Altdorf - Gurtnellen - San Gottardo - Al Dazio Grande - Sigirino - Lugano : queste stazioni ferroviarie sono per qualsiasi utente delle Ffs conosciutissime, scandiscono le tappe di avvicinamento verso Sud, verso casa. ma cosa diventano, però, per uno scrittore che ha smarrito i suoi occhiali e che non aspetta altro che il "miracolo" di ritrovarli si materializzi a Lugano ? La cornice di questo libro-suite di Giovanni Orelli, Gli occhiali di Gionata Lerolieff, Donzelli, 2000, è formata idealmente dalla linea ferroviaria nord-sud, Olten-Lugano, piccolo rivolo di rotaie che si insinuano all'interno di un gigantesco groviglio di ferro che unisce il Continente in un complesso mosaico, La vita, verrebbe però da dire, supera di gran lunga qualsiasi labirinto, è il vero labirinto. Orelli lo sa bene, lo sa bene anche il suo personaggio, Gionata Lerolieff, che nell'agitato dormiveglia in un'anonima carrozza intraprende promenades nella memoria, associa hölderianamente fatti passati a parole sbocciate nelle bocche di persone conosciute durante l'infanzia, e poi sono piccoli squarci di immagini passate, amici di gioventù che ridisegnano esperienze di vita che si cristallizzano nel grottesco ricordo dell'incedere degli anni. Nelle pagine del libro - che a volte sembrano sberleffarsi degli illustri romanzi enciclopedici - si ode una sinfonnia gigantesca di fatti, di persone, di suoni, di poesia e di tant'altro. Orelli è spesso imprevedibile, spazia con disinvoltura dal mondo dell'alta letteratura, al proverbio di montagna, da profonde considerazioni teologiche e metafisiche a divertentissime battute da bettola di second'ordine, per spiazzare poi improvvisamente il lettore con taglienti e secche considerazioni politico-sociali. A volte la sensazione per chi legge è di insinuarsi in un racconto di Borges, dove l'assurdo è sempre nascosto fra le pieghe di ogni frase, in altre occasioni la memoria va a Calvino o al Dürrenmatt più ironico, Ma è impossibile trovare un preciso modello : "Gli occhiali di Gionata Lerolieff" è un'opera originale, orelliana.
Sin dal titolo di questo racconto lungo il lettore fine scorgerà come Orelli sia argutamente attento a tutte le risorse estetiche della lingua (il tono colloquiale che serpeggia nelle pagine non deve ingannare : ogni frase nasconde al suo interno rinvii dotti, giochi fonosemantici preziosi, spruzzi poetici improvvisi e illuminanti) : il nome del protagonista, Gionata Lerolieff, è per chi vi scrive, un sicuro pseudonimo dell'autore. La narrazione - nonostante sia presentata in terza persona - è fortemente autobiografica, è un viaggio a ritroso (mentre il treno corre, corre verso sud) nella memoria, un riscoprire vecchi amici, racconti di paese, gli anni della guerra. Ma veniamo appunto al titolo : c'è da dire innanzitutto che il nome e il cognome dell'autore, Giovanni Orellli, si lega a Gionata Lerolieff per isosillabismo (entrambi trisillabi); di più : /LEROLIeff/ compone un anagramma quasi perfetto di /ORELLI/ dove le prime due sillabe sono poste in palindromo /LERO/. Ovvio poi il riferimento /GIOnata/ a / GIOvanni/ (gli elementi verbali minimi /NA-AN/ sono posti in metatesi). Anche nel sintagma /GLI OcchiALI/ (in questo caso in modo però meno evidente) riecheggia il nome /GIOvAnnI/ sia per assonanza sia per la costruzione /GLI Occhiali/ dove la liquida di /GLI/ sembra idealmente legarsi - non però in senso fonico ma graficomorfologico - a /L/ di / occhiaLi / a formare nuovamente il finale di /OreLLI/.
La narrazione del libro ruota attorno alla perdita da parte del protagonista di un prezioso paio di occhiali : di ritorno dalle famose Settimane Letterarie di Soletta, Lerolieff è costretto a fermarsi a Olten dove l'eroe deve combattere con un ottuso capostazione dai modi militareschi che non comprende l'assoluta necessità di ritrovare i suoi occhiali. La struttura narrativa del libro si dipana da questo casuale evento : i capitoli sono scanditi dalle varie fermate che il treno compie nella sua discesa verso Lugano, la meta finale. Da qui, Orelli comincia a raccontare : per esempio di come una giovane compagna di scuola all'esame per diventare maestra alla domanda del severo professore di chi fosse l'autore del Gorgia rispondesse : - "Plutarco". "Poi si corresse a precipizio, forse stava pisciandosi addosso": - "Plutone". Plutone spiegò Orelli alla ragazza era "il Presidente della Confederazione d'oltretomba". L'autore era Platone. Certo, spiega ancora il narratore : "Una U al posto di una A. Per quel sassolino la compagna del Plutarco-Plutone, non avendo potuto fare la maestra come le sarebbe piaciuto, cambiava mestiere ogni tre mesi e ha poi finito col fare la entraîneuse. Non ci vuole molto per dirottare il treno della vita su altro binario". E allora ha ragione il capostazione quando irritato esclama che al mondo c'è di peggio che perdere degli occhiali. Ma quello che dice l'austero ferroviere sa di frase fatta, di effimero moralismo. A Sempach - terra di una gloriosa e famigerata battaglia combattuta nel 1386 - la memoria corre a un capitano dell'esercito svizzero che indignato per una volgarità di un suo soldato punisce la compagnia con un supplemento di chilometri. L'allegro ragazzo alla vista di una bella giovane gridò : "Ciao, f...". G.L.racconta : "La parola al seguito del ciao ferì l'aria della campagna fino all'argine del fiume Ticino dove pedalava la ragazza. La ferita si propagò anche di là dell'argine del fiume, contaminò l'aria che respiravano i soldati contadini, perché un contadino non dirà mai, a voce alta, quella parola, perché la "cosa" che la parola nomina è, nel parlar materno, nadüra = natura, luogo della nascita, dove tu vieni al mondo piagando il corpo della madre, nome dunque da rispettare". L'insegnamento del capitano Fonti sarà dimenticato a causa di quattro lettere dell'alfabeto perché "come bene ha detto della Ginestra, gli uomini non odiano tanto chi fa male, quanto chi lo nomina". Presso il San Gottardo - terra d'origine del protagonista - G.L. spera in un miracolo, tra se stesso pensa : "ora conto fino a sessanta, e poi metto la mano nella cartella a vedere se gli occhiali sono tornati al posto loro. Conterò con la fede di una madre per il ritorno del figlio fuori della campagna. Incombente, dall'alto, la valanga". Commovente il racconto, da leggere assolutamente (e poi,...anche perché tutto finisce bene). Al Dazio Grande a G.L. non resta che chiedere aiuto al santo Antonio dai Pedùli, quello che fa trovare le cose perdute. Orelli- G.L. racconta di Mirtillino, lui che ha perso persino la fede : "Certi giorni vorrei morire. So che credi che io stia bluffando come un giocatore di poker". "Ma sì, lo dite in tanti. Qualcuno, dentro un libro di greci, lo ha detto ben chiaro : i vecchi mentono quando si augurano di scomparire; appena la fine si avvicina, nessuno vuole morire, e la vecchiaia non appare più un peso". Mirtillino con Dante risponde : "Ho perduto speranza dell'altezza".
A pochi chilometri da Lugano per G.L. non rimane che accettare la perdita, gli occhiali non torneranno. Perdere? Verbo della sofferenza ? Sì, perché quando un padre perde un figlio inspiegabilmente, la vita diventa inspportabile, labirinto vuoto. G.L. ha perso un paio d'occhiali, ma il suo vicino di carrozza ha perso tutto : "l'intrico della vita è centomila volte più intricato di quello dei binari su cui il treno si orienta docilmente, anche se è tutto un suo sferragliare". Siamo d'accordo con G.L. : "...gli occhiali erano ora una sciocchezza, una sciocchezza che meritava al massimo lo sberleffo". E allora ha ragione Giovanni Orelli : il libro è dedicato a un bambino, Francesco, nato il 12 aprile 2000.