Casagrande ripubblica il romanzo di Giovanni Orelli
Un "ringraziamento" grottesco
Metafora dissacratoria dell'elveticità, ma anche più in generale, irriverente parodia dei falsi valori morali e civili promossi dalla cultura moderna e universalmente riconosciuti come indiscutibili, La Festa del Ringraziamento di Giovanni Orelli - pubblicato nel 1973 da Mondadori e ora riproposto dalle Edizioni Casagrande di Bellinzona (116 pp., fr. 18.-) - si avvale di un linguaggio che mescola con abilità codici e registri di diversa provenienza e gli effetti che ne derivano lo inseriscono tra le opere più originali di quel filone espressionista italiano che ha in Gadda il suo modello novecentesco.
Siamo nel 1970, in una valle ticinese. La Festa del Ringraziamento o del Digiuno Federale, che ricorre la terza domenica di settembre, celebra tradizionalmente la libertà, la pace, la sicurezza, il benessere, i valori garantiti dalla patria ai propri cittadini.
A turbarne il decorso giunge l'imprevisto. Favorita da 40 giorni di siccità, si diffonde sugli alpi l'afta epizootica, che infetta le bestie, compromettendo il lavoro dei contadini. Tra le cause del male, alcuni additano i gitanti, che sempre più affollano i pascoli lasciandovi rifiuti di ogni sorta. Altri accusano i soldati, "che vanno in congedo e poi vengono qui a impestare".
La ricorrenza che nella retorica politica e religiosa, ma anche nella mentalità collettiva vorrebbe essere occasione (fino a che punto realmente sentita ?) di fratellanza, si rivela nei suoi aspetti grotteschi e, qua e là, tragicomici con personaggi patetiche caricature di se stessi e del ruolo cui lui ha chiamati una società solo apparentemente liberale: politici paternalisti e tronfi, avvocati arronganti, preti bacchettoni, ottusi ufficiali e soldati pronti a una cieca obbedienza. E ancora macellai capaci soltanto di scuoiare animali in nome della Patria. Vittime silenziose dello "sterminio" sono le vacche e i vitelli, simboli di un martirio purificatore compiuto all'insegna di una pulizia tutta esteriore. A osservarle dall'alto di un abete sarà l'occhio malinconico e incredulo del giovane Pietro.
E sarà lo stesso Pietro e cogliere in quella insolita giornata i segnali di una trasformazione ineluttabile, del tramonto della civiltà contadina cui appartenevano i suoi genitori.