Photo © Yvonne Böhler

Orelli? Oh oui, je l'aime bien
Chiacchierata con l'autore de "Il sogno di Walacek"
che Gallimard pubblica ore in francese

«Giovanni Orelli est né à Bedretto, au Tessin, en 1928». Eccetera. In questi giorni si moltiplicano le note biografiche in francese su Giovanni Orelli. Si moltiplicano perché la casa editrice forse più importante di Francia, Gallimard, pubblicherà il 23 aprile "Le Rêve de Walacek", traduzione del penultimo romanzo dell'autore bedrettese, "Il sogno di Walacek", apparso in italiano da Einaudi nel 1991. Non solo: in febbraio la casa editrice losannese D'en Bas aveva messo sul mercato la traduzione del suo ultimo lavoro, "Il treno delle italiane" (edito in originale da Donzelli), mentre lo scorso anno Poche Suisse aveva ripubblicato "Le jeu du Monopoly". A ciò si aggiunga che "Il treno delle italiane" è da poco uscito anche in edizione tedesca e ungherese, una traduzione questa che, sembra, è andata molto bene in Ungheria.

Che Gallimard volesse pubblicare il "Walacek", nato da un'associazione di idee su "Alphabet I" di Paul Klee, ha sorpreso prima di tutti lo stesso Orelli: «io a Parigi non conosco nessuno, e Gallimard ha trattato tutto direttamente con Einaudi. Non so nemmeno in che collana uscirà: è da Torino che ho avuto la notizia dell'intenzione di Gallimard di tradurre "Il sogno di Walacek", notizia che, inutile nasconderlo, mi ha fatto molto piacere. Per dirla con i pessimisti che amo molto, da Tacito a Guicciardini a Leopardi, il primo giorno, il giorno dell'uscita di un libro, è sempre il più bello. Dopo le soddisfazioni sono sempre inferiori alle attese. Arriva la disillusione. Ma la possibilità di pubblicare un libro da un editore come Gallimard è comunque una di quelle che definirei "soddisfazioni morali": a parte ciò ad un autore ticinese, abituato a pubblicare libri in perdita, rimane ben poco».

Il ritrovato interesse della francofonia, e soprattutto della Romandia, per un autore ticinese è però importante anche in un'ottica di politica culturale. Secondo Orelli infatti gli scambi fra Ticino e Svizzera francese, presunti cugini che bellamente si ignorano, sono sempre stati troppo pochi e troppo occasionali, legati soprattutto a rivendicazioni opportunistiche o a qualche manifestazione sportiva, mentre una vera attenzione culturale verso il Ticino l'ha semmai mostrata la Svizzera tedesca. Perché allora questo improvviso ritorno di fiamma dei romandi? «Una mia idea» risponde Orelli «è che nei romandi s'è sviluppato una sorta di senso di colpa per questa lunga indifferenza. A ciò bisogna aggiungere fattori più occasionali, come le manifestazioni per i 150 anni della Svizzera moderna e il bicentenario di alcuni cantoni come Ticino e Vaud».

Il grande rischio per ogni autore pubblicato in una lingua straniera è quello di vedersi tradito dal traduttore di turno. Ma Giovanni Orelli dice di dormire sonni tranquilli: Christian Viredaz, che ha tradotto "Il treno delle italiane", e Adrien Pasquali, che ha lavorato sul "Walacek", hanno svolto secondo l'autore ticinese un ottimo lavoro con rara coscienziosità. E tradurre Orelli, che specialmente nel "Walacek" ha una scrittura molto particolare, non dev'essere semplice: «ma del lavoro dei miei traduttori mi fido ciecamente. Sia Pasquali che Viredaz, coi quali ho avuto un nutrito scambio epistolare, sono venuti personalmente in Ticino a sottopormi i loro dubbi. Un dialogo così intenso l'avevo avuto anche con la traduttrice in tedesco de "L'anno della valanga": alcune delle risposte che diedi a suoi quesiti le trovai come note a piè di pagina nella versione tedesca. Questo atteggiamento mi sembra fondamentale: una traduzione è sempre un'occasione preziosa, sprecarla è davvero un male».

Una difficoltà ulteriore non viene dal fatto che i suoi personaggi parlano una lingua tutta loro, che li connota chiaramente come radicati in una certa regione, ma che li deve rendere comprensibili anche a Palermo? «Lei accenna al problema della traduzione interna, ma non è un problema solo mio, esso riguarda tutti gli autori, da Manzoni, a Verga, a Pavese. Del resto proprio Pavese diceva che non si tratta di far parlare il contadino delle Langhe in dialetto, ma di farlo parlare come se per lui fosse Pentecoste: il suo italiano non deve tradire la sua originalità. Anche sotto questo profilo sono molto contento delle traduzioni di Pasquali e Viredaz».

E forse un ruolo minore nel far nascere quasi improvviso un così forte interesse fuori dall'italianità l'hanno giocato anche la maggior disponibilità di tempo da dedicare al mestiere di scrittore dopo che Orelli ha smesso di insegnare, oltre all'elezione in Gran Consiglio nel '95, che ha fatto di lui un politico e un letterato molto particolari. Ma verso la politica, se non disamore, c'è ora senz'altro molta disillusione in Orelli: «disillusione che però non riguarda solo il Gran Consiglio come istituzione, ma che è riferita soprattutto a me. Il Parlamento è un luogo fatto essenzialmente per giuristi e per chi ha dimestichezza con la burocrazia: un letterato come me, che si è occupato quasi solo di scuola e letteratura, ci si trova come un pesce fuor d'acqua. In Gran Consiglio si elaborano leggi: è il terreno degli avvocati. Uno può supplire facendo pratica, oppure se può approfittare di un vero e proprio entusiasmo giovanile. Io invece mi sento dominato da scetticismo e non tanto da stanchezza, quanto da non freschezza legata all'età. In Gran Consiglio ci si deve andare da giovani: mi auguro che si sappia risolvere una volta per tutte il problema dell'incompatibilità delle cariche per gli insegnanti, perché impedire l'accesso al Parlamento ad una categoria di persone fino ai 65 anni è profondamente iniquo».

A questo punto, onorevole Orelli, permetta una domanda da giornalista: si può dedurre dalla sua disillusione che lei non si ricandida?

«Non ho più tanta voglia di continuare questo lavoro, ed è quindi molto probabile che non mi ricandidi». Un altro suo collega e compagno di partito, Peter Bichsel, è rimasto abbastanza deluso dalla politica: è il destino di voi letterati? «Mi sono posto il problema. Forse l'indicazione più interessante la si trova in una polemica avvenuta in Italia alcuni anni fa proprio fra due uomini della sinistra, Sciascia e Sanguineti. Il tema era quello (vecchissimo) dell'impegno politico, cioè se fosse il caso da letterato di essere metaforicamente il vigile, il guardiano, lo spazzino. Sciascia diceva di annoiarsi da morire e di provare un profondo senso dell'inutilità e dello spreco del proprio tempo sedendo in Parlamento: ora credo che le sue non sono tutte ragioni da buttar via».

Ma se perderemo un politico, avremo comunque sempre ancora uno scrittore. L'attività di Giovanni Orelli non accenna a diminuire, e presto dovremmo trovarlo sugli scaffali delle librerie con delle novità in italiano. Fra giugno e settembre dovrebbe uscire da Marcos y Marcos una seconda serie di sonetti: «si tratta di pensieri nati soprattutto da letture e situazioni del momento. È una sostituzione in forma poetica del diario che non sono mai stato capace di tenere. Al suo posto in questi ultimi tempi ho scritto dei sonetti. Inoltre sto sempre elaborando dei racconti che raccolgo da ormai parecchi anni, ma non so se riuscirò a pubblicarli già nel '98, anche perché non so ancora se pubblicarne una raccolta completa oppure volumetti più settoriali. Il cantiere è sempre aperto».
16.04 1998

di Gianfranco Helbling

 

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