Il riconoscimento al poeta per la sua ultima raccolta di versi

L'arte della ‘Pietra Sangue’ Il Premio Schiller al ticinese Fabio Pusterla

Nove gli scrittori svizzeri che quest'anno hanno ottenuto il riconoscimento della Fondazione Schiller. I premi ammontano in totale a 66mila franchi. L'unica onorificenza andata alla Svizzera italiana è quella a Fabio Pusterla, che riceve 6 mila franchi per "Pietra Sangue".

Sono passati ormai quindici anni da quando Fabio Pusterla vinse con Concessione all'inverno (Casagrande, Bellinzona, 1985) il prestigioso Premio Schiller. Nella prefazione al libro Maria Corti scrisse che "Pusterla è un poeta che non strafà, ma con parsimonia, riserbo e animo discreto può diventare senza sforzo nella proba e ordinata sua terra elvetica un poeta inquieto, insoddisfatto, e fare dono al suo paese di una poesia trasgressiva "di rabbia inespressa, covata in sentina" per usare una sua espressione". Gli anni, intanto, hanno forse un po' smussato la sua verve polemica : la sua vena etico-civile voleva pungere, voleva essere un grido accorato, e probabilmente aveva alle spalle l'illusione degli anni della contestazione studentesca , quando era ancora possibile scendere in piazza, cercare di cambiare le cose. Ma già Concessione all'inverno era una raccolta di ottimo livello, complessa, matura : aveva, certo, alla base un senso profondo di desolazione per le vicende umane e un pessimismo che non toccava solo il quotidiano vivere, ma si dilatava a un visione cosmica, direi leopardiana dell'esistenza; contemporaneamente, però, aveva al suo interno degli elementi tematici che in seguito Pusterla sviluppò attentamente, non rimanendo ancorato all'etichetta di poeta "insoddisfatto", rabbioso. Conoscendo il percorso poetico di Pusterla credo che l'autore ticinese oggi non scriverebbe più una composizione come quella intitolata

Paradiso, Caprino, Cavallino : "Io credo che un vecchio
da qualche parte immobile sul quoi (scura ombra antistante l'acqua marcia) in bilico sul margine, dove straborda
l'onda al passaggio di parodie di navi,
un marinaio d'acqua dolce, cupo
turistico Caronte lungo il golfo,
guardi la sera il lago.
Da impronunciabili presagi apprende
che da sotto (eglia sa) usciranno [...]
Verranno
una notte inattesa e prenderanno
possesso della città : nerastri, untuosi,
le algose chiome sciogliendo,
a sconvolgere verranno, per tingere,
infine, di catrame
i rami, e benzinose essenze".

Questa poesia - dalle forti influenze dantesche - apparirebbe a Pusterla troppo "facile", troppo suggestiva.

Pietra Sangue (Marcos y Marcos, Milano, 1999) è titolo antipoetico, incisivo, che colpisce profondamente il lettore e allude alla lavorazione artigianale della scagliosa, o "marmo dei poveri". Pusterla, nelle note al libro, spiega come in una valle comasca, gli scagliolisti usavano lucidare la lastra di gesso e colla (dallo sfondo generalmente nero, decorato da intagli e disegni stilizzati in vari colori) con sette diverse pietre gelosamente custodite. L'ultima di queste pietre, verosimilmente l'ematite, è detta in dialetto piétra saanch. La lucidatura con questa pietra era importantissima ma non priva di rischi: infatti l'ematite la tìra fö 'l bèl e la làsa lì 'l brüt.

Pietra Sangue è un libro polifonico, fittissimo; nelle varie sezioni si ritrovano i temi cari a Pusterla : l'araldica e bellissima desolazione della Natura, la vita e la morte, la luce e l'oscurità, la speranza e la prostrazione, i vecchi e i bambini, il tutto descritto con una lingua precisa, a volte secca, tagliente, altre volte cantabile, quasi proferita sottovoce. In molti versi si scorge un profondo senso di tristezza per gli elementi negativi della vita, è un flebile rimorso, una timidezza che commuove, perché sincera. Fra le tante liriche del libro se dovessi sceglierne una per descrivere la poesia di Pusterla sceglierei

I gusci secchi dei giorni :
"Per una volta si attraversano i ricordi
con leggerezza, e ogni passo più in là
cancella il precedente. A volte resta
una bruma che somiglia a un sorriso
non la risata greve che dimentica, un sorriso
soltanto, un grumo disciolto nell'aria [...]".

Pusterla però è anche poeta che non fa compromessi con se stesso, che sa di vivere nel vuoto, che non accetta la "pace", la tranquillità solo per paura :

"Perché la pioggia, perché il vento el le pianure
notturne, l'erba gialla, il respiro. Quell'acqua
che scroscia nei vicoli, e i prati. Perché
non c'è tregua, o domani. Soltanto
le sbarre, la gabbia di un io.
L'inferno è non essere gli altri, guardali passare e sparire nel niente :
un posteggio che piano si svuota, il cantiere del vento".

Poi, però, Pusterla si commuove : descrive suo figlio, Leo, mentre si diverte e gioca fra gli strepiti di un prato rinsecchito; è la voce della vita, della sincerità incontaminata dei bambini, che sembrano serenamente immersi nel corso dell'esistenza :

" Sul ciglione di un prato
l'erba magra è squassata dal vento,
spaziano nuvole e corvi,
cieli ruotano. Leo corre,
poi cade, poi ride, poi corre
ancora. Anche lui corvo,
e vento e nuvola e prato".

In questa poesia Pusterla cerca di cogliere l'attimo, prova a vedere la vita in tutte le sue tappe, quasi volesse capire cosa succede se sovrapponiamo nello stesso istante la vita e la morte, la gioia e la tristezza. Annullare il tempo quindi, rivedere la nostra vita come fosse un film, fermarla e spiare se le ombre sono vere, se esistono veramente. Questa semplice poesia è notevolissima perché è il tentativo di squarciare il nulla, di ricordare qualcosa nel turbine negli anni. Alla fine Leo è il corvo, il vento, la nuvola e il prato. È Leo e qualcos'altro...! Leo, comunque, c'è.

Fabio Pusterla, è giusto dirlo, sta diventando sempre più una delle figure più importanti della poesia in lingua italiana e questo prestigioso premio è segno che qualcuno per fortuna è ancora attento ai grandi poeti. Ai lettori propongo alcuni versi di una composizione che definirei di speranza, un augurio di inizio estate :

"Ma non ci sono rive, no c'è barca
tra loro, o non si vede
già più, rimane l'acqua,
e sopra l'acqua un'ombra sembra aprirsi,
sembra espandersi quasi, collegare
qualcosa che non vedi;
un'ombra, o una scia".

Andrea Moser

20 giugno 2000