Silvana Tamiozzo Goldmann su
FABIO PUSTERLA, Folla sommersa
Marcos y Marcos 2004

Maria Corti (dedicataria dello splendido poemetto Congedo da Maria) e Thomas Bernhard, all'ingresso del libro, avvertono il lettore dell'oscura volontà della poesia di trovare un significato nell'universo umano e del pullulare d'uomini di cui non sappiamo nulla, "nulla di ciò che avviene dentro di loro". La rosa cresciuta troppo in alto (Rosa dei ghiacci) annuncia l'arrivo del vento del nord, ma rassicura: "Resiste ancora. / È una rosa vecchissima e nuova. / Gioca il suo gioco. Rifiorirà.". Apre di fatto alla partitura delle sei sezioni: Terra di nessuno (che comprende i Sette frammenti dalla terra di nessuno incastonati tra le due poesie Nella vigna di Renzo e Fiume in piena), Ipotesi sui castori (e nei 12 testi, la poesia eponima), Sul fondo della provetta in tre tempi di 14, 8 e 12 poesie, l'intermezzo delle prose Appunti della luce e della sabbia, Movimenti sull'acqua, con le sue 16 poesie, e il sigillo dell'assólo di Leo medita. Questo lo schema del quinto libro di Fabio Pusterla, che dopo Concessione all'inverno, Bocksten, Le cose senza storia e Pietra sangue raggiunge qui un punto davvero alto nel suo cammino in verticale.

Lo spunto di partenza è la semiscomparsa di un piccolo insediamento, Gondo, sul confine italo-svizzero, ma se il fondale è lo sfacelo della piccola comunità aggredita dall'alluvione, i versi che arrivano al lettore come scrosci di pioggia e di fango parlano non solo della lotta assurda e della sfida dei superstiti ma anche della sopravvivenza della poesia ("Raccontare, / ma cosa?"). Raccontare è possibile partendo da una dimensione ancestrale e geologica che fa scattare cortocircuiti. Il filo del racconto si compone nella mente del lettore da una sezione all'altra, da un poemetto all'altro: si snoda nel recitativo dei versi liberi che possono agevolmente inscenare e inglobare sia il parlato banale e quotidiano di autistici monologhi al cellulare (o dialoghi in treno nel "rosario" pendolare delle stazioni in Bivio Rosales), o si inanella in raffinata sesta rima (Sesta rima dello schiavo prigione) o in gruppi di terzine (A un liceale annoiato. Terzine, Misure…). Si attorciglia dentro e fuori la storia, raccoglie orrori e incanti della vita nelle storie e nei paesaggi. Il guardare ha una funzione fondamentale: è un "modo di guardare spoglio" (Appunti della luce), che tenta di rinunciare al possesso di ciò che vede, e dà conto di "milioni di occhi disamati / sbarrati dentro il buio di un altro tempo", o di occhi che guardano il vuoto e immaginano le immagini più tremende. Nei suoi ritmi diversi, nelle pause e nelle stridenti impennate di certi acuti, Folla sommersa presenta una successione di quadri forti attraversati dagli sguardi stupefatti di bambini incantati o di ultranovantenni disposte ancora a meravigliarsi. Lo scarto, la frustata, arriva dall'infanzia, osservata con trepido rispetto dal poeta: sguardi fissi e intenti di bambini impauriti, estraniati dal mondo, come in Primo giorno di scuola (con quel "figlio rigido" che guarda il mondo: fa pensare ai bambini impiccati di Cattelan), o di bambini-elfi che irrompono ignari nel degradato paesaggio degli adulti con la forza misteriosa e bella dell'immaginazione (Leo, irrequieto esploratore del mondo "squillante e avventuroso", la bambina serena che danza sulla neve, l'essere nella natura del "ragazzo / chiuso dentro il suo autismo musicale").

Dallo sfacelo e dai detriti dell'alluvione, il quadro si allarga: le fragili piramidi di sasso nei sentieri di montagna, i laghi che si distendono nei prati, le faglie, le pietre, ghiaccio e torrenti, boschi di conifere, sedimenti di arenaria, pozze sotterranee da dove emergono ammoniti e altri molluschi mesozoici (vita che si conserva solo come "memoria disseccata", come paesaggio perduto che affiora nel paesaggio). Si intravedono valli e colline dolci e notti che fumano, rivoli che erodono il cemento, pitosfori e platani le cui radici vagano sottoterra per camminamenti misteriosi. Si passa per argini e piste sterrate che costeggiano piloni e tralicci, discariche e gasometri, per sottoboschi acquitrinosi di radici scortecciate dove potrebbero vivere i castori, o per binari ferroviari dove allignano le "piante pilota", per sentieri di rocce e castagne. Il mare è richiamato dalla rossastra gorgonia, entra nei versi come forza cieca che sbatte i corpi travolti da una frana di rifiuti sulla riva (Il signor Nino) o come probabile spettacolo degli uomini preistorici accucciati sulle scogliere (Appunti della sabbia). C'è poca luce, ma abituando l'occhio si distinguono i mucchi neri della sabbia depositata, il colore cinereo dell'airone che se ne va "a larghi giri nel grigio", l'ambra dei prati lambiti dai laghi montani, il giallo dell'urina delle vacche guardate dal treno. Il nero come una "larga eclissi" accorpa il cielo, i boschi, l'acqua, colora lo stesso vento "di nicotina e di catrame", stride con il biancore acceso del gatto che veglia il compagno travolto, può essere interrotto dalla ruggine fulva che ricopre un muro o dal giallo di una casa illuminata, dal "chiarore inquieto, verticale sui muri". Poi si stempera, lascia alla tavolozza altri spazi: il grigio azzurro dell'acqua del lago di Lugano, gli abbagli bianchissimi dei battelli colpiti dal raggio di sole, il muoversi irrequieto delle luci e delle ombre sull'acqua o il lumeggiare del ventre iridato dei pesci, il rosso delle bacche che splendono "esclamative" sotto gli ultimi lampi d'estate, o della tuta del motociclista "foderata di vento". Si colorano i fondali di tragedie ormai quotidiane, come quella dei clandestini asfissiati in un furgone (i colori metallici di Deposizione), riemergono i papi d'oro, i rossi drago, i lustri ottoni celesti di quel triste "allegretto" che è la poesia Giudizio Universale (e si veda anche Morte di un pittore). Se il faccia a faccia con la solitudine è imposto al poeta in primis dalle presenze infantili, gli animali segnalano il senso di imminente catastrofe, diventano loro malgrado simboli di un orrore indicibile: la salamandra nera morta schiacciata, la vacca giovane salvata dal fiume per essere macellata, quella stecchita con le zampe "irte al cielo", gli scoiattoli schiacciati sulle strade, le giovenche stecchite nei posteggi, il cinghiale ridotto a "teatrino di pelle" per vermi e formiche.

È poesia che colpisce e sconvolge. Chi racconta, non dice "io" e stupefatto restituisce uno sguardo che cristallizza un eterno presente, come in Valle dei morti ("E tutto è fermo"). Pallidi attori escono dal fondo senza preavviso, come l'anziano ciclista, inconsapevole profeta del luogo comune, o sono rappresentati da spezzoni di discorsi come in quella sorta di danza parlata attorno alla donna uccisa di Testimonianze, fino all'espressionismo di Domenica intelvese, al quasi gergale di Sera dei morti a Tübingen cui fanno da controcanto dislocato le nuvole veloci e trasmutanti, la dolcezza di un fiume, il mistero dei platani o la pianura che chiama e annichilisce portando feroci immagini del passato. La poesia di Pusterla è anche poesia profondamente civile: la "giustizia micidiale" in Due aironi, ma anche la ribellione orgogliosa che si esprime in scatti improvvisi: "Anche questo / anche questo dunque ci vorreste levare, / ipocriti compagni di disastro" (Terra di nessuno, IV); passa per la registrazione gelida dei "notiziari sguaiati, guerre sante, rauchi pifferi", o per le "vaghe promesse di strage" d'inizio secolo, registra la volgarità e l'egoismo del nostro tempo (Appunti della sabbia), fino al deprimente scenario italiano di Settembre 2003, nuovo anno zero. La pellicola della storia, che si riavvolge quando i testimoni chiudono gli occhi, è mostrata con forza in Folla sommersa, diventa canto tragico, ad esempio, in Le prime fragole, con l'immagine davvero indimenticabile del bambino che gioca nel prato di casa cui si sovrappone quella agghiacciante del panzer che a Gaza schiaccia una bambina, o nell'istantanea di Senza immagini con l'orrore dei bombardamenti a Bagdad. Anche la poesia è sommersa, come i libri accatastati nelle stalle e nei fienili, sotto i coppi malmessi e i licheni (Algometrie, III). Su un sentiero di montagna il poeta costruisce anche lui "quel che non serve", inseguirà lo stambecco che, come la pantera dantesca, lascia "nell'aria un profumo selvaggio". È poesia del paesaggio che si immedesima nella lingua (le montagne che parlano la lingua del mare e delle stelle, affondando nelle remote età geologiche in Sette frammenti dalla terra di nessuno, VI)). È poesia che può partire dal dato storico o dalla curiosità botanica accuratamente censita in nota, come in Collage delle piante pilota o fissarsi nell'emblema dell'altissimo cancello nero, del tutto inutile al margine di una radura (Algometrie). Può arrivare un messaggio da questi versi distesi o sincopati, leggeri o violenti: magari quello di "preservare / lo spazio per le parole che verranno", o quello di "correre insieme" ad altri solitari lontani che corrono testardi. Resta da dire dello struggimento strano che si avverte nei richiami troppo evidenti, anche nei riflessi del linguaggio, agli altri poeti per non essere espliciti omaggi (Sereni, Caproni, Zanzotto, Tessa, Hölderlin, Montale, per notarne solo alcuni) o nelle molte presenze in dedica. Fanno pensare, i primi, a un patrimonio fissato, indivisibile e insieme plasmabile che entra nei versi come un tributo delicato e prezioso. Ma viene anche la tentazione di pensare che poesia così forte e nuova, dalle vibrazioni così chiare e profonde, debba volare alto e sola, affidando magari alla prosa altri tributi. In ogni caso, versi come questi, "pensarli in volo, questo aiuta". (Due alianti su Lione).

Silvana Tamiozzo Goldmann
"L'Immaginazione" (www.mannieditori.it)
Giugno-Luglio 2004