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Letteratura e politica

 


E’ vero che il rapporto fra scrittori e Stato è cambiato? Gli scrittori non fanno più il loro dovere, trascurano la critica sociale, non si scontrano più, come un tempo i Frisch e i Dürrenmatt, con i politici che detengono il potere, non si battono più, con prese di posizione e con articoli polemici, nell’arena della pubblicistica. E’ quanto ha detto Flavio Cotti, presidente della Confederazione, l’anno scorso all’apertura della Fiera del libro di Francoforte. L’intervento di Cotti ha impressionato persino Salman Rushdie che lo ha definito, in un’intervista pubblicata sulla Neue Zürcher Zeitung "un notevole discorso sulle libertà degli scrittori", ed ha aggiunto: "In modo profondo e coraggioso (Cotti) ha stimolato i miei colleghi svizzeri ad esprimersi criticamente nei confronti del governo".

Non è quella di Cotti un’ennesima bugia del potere? Un’abile manovra diversiva e tardiva, messa in atto per nascondere la vera sostanza della politica e salvare le apparenze? Le domande sopraffanno sempre le risposte, soprattutto quando si ascolta qualcuno che, come lo fu Cotti, può sorprendere l’interlocutore, perché nel momento in cui parla ha molto potere. La risposta di alcuni scrittori dell’area tedesca è stata immediata. Hanno accusato Cotti di cecità ed arroganza ed hanno presentato una lunga lista di autori i cui testi pubblicati sono di notevole importanza sociale e di critica fondata ed incisiva nei confronti dei poteri politico ed economico dominanti.

Hanno infatti suscitato ampia eco i libri di Jean Ziegler, pubblicati anche in Italia, quelli di Zoe Jenny, Urs Allemann, Peter von Matt o i romanzi sulle schedature di de Roulet, Bovard, Comment e Monnerat. Ma Cotti finge di non vedere e non legge questi autori. Ben inteso non è il solo che ha scelto questo modo d’agire. Il suo esempio è seguito dalla maggioranza dei politici di successo e di ogni livello che fanno propria una rappresentazione della realtà parziale e tendenziosa, nella quale sono esclusi gli scrittori scomodi ancora vivi, proprio perché per loro imprevedibili e inaffidabili. Ciò suscita consensi nella gente che teme le assunzioni di responsabilità, la complessità dei problemi sociali e la conseguente problematicità della letteratura d’ogni epoca e regione. Di conseguenza, per il politico navigato, uno scrittore di valore è sempre e solo uno scrittore morto. Questo dato di fatto è stato confermato da una recente manifestazione alla Sopracenerina di Locarno in memoria di Plinio Martini. C’erano quasi tutti i politici che contano e la sala era gremita. Se Flavio Cotti a Francoforte avesse citato come esemplare l’opera di Ziegler, invece di ignorarla, o forse considerare l’autore, come tanti buoni svizzeri e ticinesi, un Nestbeschmutzer (un imbrattatore del sicuro e comodo nido svizzero in cui anche lo scrittore trova rifugio), oggi non sarebbe probabilmente presidente di una Fondazione del Credito Svizzero e a Ziegler sarebbe stato risparmiato l’affanno delle campagne elettorali per essere eletto consigliere nazionale e garantirsi così una certa immunità per non finire in prigione o sul lastrico quando critica l’assetto politico ed economico della Svizzera. Anche Martini, per chi ha buona memoria, in vita era considerato un imbrattatore del nido o, per dirla nel modo da noi abituale, uno che sputa nel piatto in cui mangia. Lo fu pure Dürrenmatt un imbrattatore di nido, quando nel suo discorso in onore di Havel, tenuto a Ruschlikon nel 1990, aveva detto che la Svizzera era ridotta a una prigione. Si era comportato come il nostro ex consigliere federale si aspetta dagli scrittori. Malgrado ciò le alte autorità elvetiche, presenti alla cerimonia, si sentirono offese e la stampa borghese definì l’oratore "senile". Ma questo è già un discorso di dettaglio, qualcosa su cui si può discutere e dibattere, richiamando, oltre ai singoli episodi in cui sono coinvolte delle persone, indicativi di una condotta etica e morale sia degli scrittori che dei politici, gli eventi della storia e i moti dell’anima di fine millennio. La letteratura è stata una risposta alla politica e fin dove ha potuto determinarla? Ancora una domanda che evidenzia la dimensione di una espressione dell’arte che non ha, o non dovrebbe avere, confini e limiti posti dalla politica. Tantomeno da quella politica che oggi subordina la ragione a dei dogmi, le aperture e i vasti orizzonti di libertà d’espressione artistica a una fede senza compromessi nei limiti posti da leggi di quella che forse a torto viene chiamata economia o mercato, ma che è solo un’ideologia di scarso valore, che sarebbe dovuta sparire, come tanta spazzatura della storia, quando sono caduti in Europa gli Stati totalitari. Invece è rimasta quale pensiero unico, dominante universalmente e riduce ogni terreno culturalmente e intellettualmente fertile a una palude. Oggi le gabbie e le prigioni ideologiche imposte da un capitalismo fondamentalista, imperante ovunque, sono più strette di quelle dei tempi rievocati da Cotti, forse non a torto come felici, dei Frisch e dei Durrenmatt e non si conciliano con nessuna forma d’espressione artistica, se non con quella nichilista e dostoievschiana della disperazione e della negazione della vita. Questa ed altre cose verranno dibattute nel Simposio "Letteratura e politica" di domani sabato, 13 novembre, a Locarno.

Arnaldo Alberti

* Membro della Società svizzera scrittrici e scrittori

 

Page créée le 11.05.00
Dernière mise à jour le 20.06.02

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