Guglielmo Volonterio, La seduzione dell'attimo, Venezia, Marsilio, 1998.
Non è certamente una lettura estiva. Il libro di Guglielmo Volonterio, La seduzione dell'attimo, appena pubblicato nelle "farfalle" Marsilio di Venezia. Qualche volta, si può pensare affrontando queste pagine, occorre, per l'autore, il coraggio dell'"illeggibilità" che per il lettore diventa la richiesta ad andare avanti anche in mancanza di trame" o "colpi di scena. L'opera si snoda come un ininterrotto monologo, un lungo flusso di coscienza, che rimanda ai rapporti ambigui tra letteratura e "autobiografia", tra menzogna e verità.
In effetti, afferma Volonterio in una sua precisazione a margine, "al di là di talune profonde affinità tra lui e il protagonista del romanzo, i fatti descritti sono frutto di fantasia". Nel narrare in prima persona, gli elementi soggettivi, facilmente riconoscibili per coloro che conoscono l'autore, diventano materiali di scrittura. Sono quindi falsi perché liberamente rielaborati, ma al tempo stesso, anche più "veri" perché la vita così reinterpretata si carica di senso profondo e ulteriore, come insegna Proust si trasforma in una durata vissuta, cioè in realtà.
Il protagonista conduce il lettore in una sorta di vertigine narcisistica, intrisa dei motivi che appassionano l'autore, dal cinema (caratterizzante un certo "sguardo" descrittivo), alla psicoanalisi, alla filosofia, e il repertorio dei temi che contraddistinguono la contemporanea crisi esistenziale: da una parte, il senso di disagio e precarietà, di straniamento e disorientamento dell'individuo, lo smarrimento dei valori, l' incomunicabilità, l'impossibilità di rappresentare il mondo attraverso il linguaggio, la dispersione nella banalità della chiacchiera e la perdita di contatto con gli oggetti, le persone, lo squilibrio tra corpo e spirito; dall'altra, la ricerca d'identità, di una salvifica presa di coscienza che dia unità alla frammentazione. Domina il soggettivismo con i simboli ricorrenti dello sguardo, dello specchio e quella sofferta frattura fra il "guardare" e il "vedere".(l'indifferenza intesa come invisibilità: "La morte è esistere malgrado gli altri"). Corsi e ricorsi che coinvolgono i rapporti familiari (la moglie, la figlia), il lavoro, la sfera erotica delle avventure extraconiugali, il paesaggio, altro specchio degli stati d'animo, la Svizzera, la cui immagine, mediata dai luoghi comuni della conversazione quotidiana, si riduce a stereotipo. E tappe di una simbolica odissea sono la Casa, il Giornale, la Biblioteca, la Banca. Scrive Martignoni nella lettera-postfazione "Pagine, caro amico, che appaiono infine come una sorta di "manuale di sopravvivenza", che svela tutta la corrosione silenziosa degli oggetti del mondo ma anche il modo per non morirne guardando in volto la morte stessa". In questo senso, si assiste all'esaltazione della purezza dell'attimo. La salvezza costituita da un pragmatismo domestico, espresso dalla moglie "che sta al sodo delle cose", ma anche dalla presenza del gatto "che non sbaglia mai". Questo infatti è uno dei dilemmi che si è posta la filosofia contemporanea: il gatto non sbaglia è un inguaribile realista, non soffre di allucinazioni simboliche. Va sul sicuro, guidato da empirismo e istinto. Non si lascia ingannare, fuorviare dalle apparenze della riflessione e dell'immaginazione a cui è condannato l'uomo, non conosce l'ambiguità del linguaggio ed è perfettamente adeguato allo scopo. Questo sembra essere il "segreto della vita". Interessante è notare che il percorso temporale (che verbalmente è dominato dal "presente") sembra seguire un certo ordine cronologico: si parla dell'inverno, del Natale, di gennaio, del Festival di Berlino (in febbraio) ma tra riferimenti recentissimi (come l'oro degli ebrei), ne troviamo altri variamente databili. In un punto ci si trova "all'alba del Duemila"; successivamente si dichiara che al 2000 mancano ancora dieci anni. Così, un anno diventa compendio di periodi diversi, nella sintesi prospettica dell'io narrante. Ma dopo tutto questo labirintico affabulare, forse troppo, al tempo stesso, viscerale e intellettuale, è difficile che scatti la scintilla della rivelazione, tale da trasformare una storia molto personale in qualcosa di esemplare e universale, tale da far sentire al lettore che il racconto dello scrittore appartiene anche a lui, da sempre e che in fondo, da sempre, lo conosceva, solo che non ne era consapevole.
Manuela Camponovo
© Giornale del Popolo
9.7.1998