Maria Rosaria Valentini
Nomi Cose Città Fiori, Dadò,
Locarno 2003
Version imprimable
Retrouvez également
Maria Rosaria Valentini
dans nos pages consacrées aux auteurs de Suisse.
Maria Rosaria
Valentini / Nomi Cose Città
Fiori |
|
Questo libro non è un'autobiografia
e neppure una storia, ma un susseguirsi di immagini
e di ricordi. Contiene una vita, ma non il suo racconto.
Poiché il ricordo è prezioso di per
sé e, come scriveva Bunel, «si deve incominciare
a perdere la memoria, anche solo brandelli di ricordi,
per capire che in essa consiste la nostra vita».
Prefazione di Franco Zambelloni
|
|
|
Incontro
con Maria Rosaria Valentini di Elena Spoerl |
Incontro con Maria Rosaria
Valentini
Maria Rosaria Valentini (1963) -
nata in Italia, laureata in germanistica a Roma, dottorato
a Berna - vive in Ticino da molti anni. E' ancora poco nota,
malgrado sia arrivata quest'anno con Nomi Cose Città
Fiori al suo quarto libro. Forse perché le sue
pubblicazioni sono di genere diverso. La prima, Un'altra
favola da raccontare, pubblicata dieci anni fa, è
un libro illustrato di fiabe.
Il secondo libro, Sequenza, esce nel 2000 ed è
un grosso quaderno dedicato a una donna che nel Mozambico,
a causa delle alluvioni, ha dovuto partorire su un albero:
brevi testi accompagnano dei carboncini di Angela Lyn e
il tema comune alle due autrici è la vita del corpo
femminile. Da Ogni parto è un caso a sé,
leggiamo: La levatrice, alla mia destra, suggeriva di spingere
con rabbia, forse perché sovente, proprio nella rabbia,
si concentrano gli ultimi brandelli di vigore e di tenacia
che ci rimangono. Un fiotto caldo mi ha invaso le gambe,
acqua e sangue mescolati insieme. [
] Poi mio figlio
è schizzato fuori, come un proiettile.
E' del 2002 Sassi muschiati,
una raccolta di poesie, anch'essa illustrata dall'amica
anglo-cinese, edito dall'Ulivo e segnalato quale libro dell'anno
2003 dalla Fondazione Schiller.
Valentini sa esprimersi quindi anche in versi:
Casa I
In una nicchia
angusta
se ne sta
Santa Lucia:
gli occhi
in un piatto
e nudi i piedi.
Il portone
di legno massiccio
non ode
suoni
mentre raggela
il lucido ottone
dei suoi battenti.
Lungo gli stipiti
radicano
foglie scolpite nel marmo.
Geme il vento.
La pioggia si getta
dove vuole.
La nebbia cancella
il mondo.
Solo
ulula
un cane rabbioso.
Comincia così, Sassi muschiati.
Il tema della Casa viene ripetuto nelle sue varianti
stagionali per quattro pagine, in quattro versioni. Ci spiega
Valentini: "Ho voluto indagare più volte
lo stesso soggetto. Anche Monet ha dipinto spesso una certa
cattedrale, e Casa è la mia cattedrale. Santa Lucia
era posta in un'edicola all'entrata della mia casa natale.
Nel sud Italia quasi tutte le case hanno l'immagine della
madonna o di una santa sulla facciata, per proteggere chi
vi abita. In paese non succedeva nulla, c'era solo il passaggio
delle stagioni. E proprio questo ho voluto ricostruire:
quel che vedeva Santa Lucia, con gli occhi in mano (su un
piatto) lì davanti al portone. Santa Lucia è
protettrice della vista, la percezione più importante,
sia realmente che nel senso figurato di vedere'".
Com'è giunta Valentini alla poesia? "Scrivevo
versi fin dall'infanzia. Le poesie di questa raccolta sono
nate tutte in una decina di giorni, durante le vacanze di
Natale 2001. Mi sono chiusa in camera e ne uscivo solo quando
la poesia era finita. Mi piacevano le immagini che rievocavo:
fiori, frutti, colori, un vivaio dell'anima insomma. E poi
ci sono stati i disegni di Angela Lyn che accompagnano i
versi: rappresentano una lunga riga, quella riga che si
crea tra le labbra quando parliamo". E' l'oralità,
il filo del discorso, l'eloquio che si fa immagine. "La
fruizione della letteratua soffre oggi della mancanza di
tempo, perché la lettura richiede che ci si dedichi
a lei. Si può capitare per caso davanti ad un'immagine
e non intenzionalmente ascoltare musica, per leggere invece
bisogna fermarsi". Ma come interagisce la scrittura
della Valentini con le altre discipline? "Cerco
volutamente il contatto perchè non si può
vivere a compartimenti stagni. La cosa più bella
quando si coltiva un'arte è quella di condividerla
con qualcuno, perchè da lì sicuramente crescono
altre idee. L'arte, contrariamente a quello che si vive
oggi nel mondo del lavoro, non è competizione. Significativo
è invece l'interesse che si porta per chi ci lavora
accanto. Scrivendo, poi, già si è soli, quindi
il bisogno di trovarsi un "collega" è più
forte per noi scrittori, che sia un collega nella stessa
disciplina o in un'altra. Si rimescolano le opinioni, si
viaggia, si ha l'impressione di fare qualcosa che può
avere significato anche per altri. E solo accettando la
sfida della pubblicazione avrai la possibilità di
ricevere quelle critiche, positive o negative, che ti fanno
proseguire".
Arriviamo così a Nomi Cose
Città Fiori, edito da Dadò. Valentini
commenta questi racconti definendoli "
uno
zibaldone, un insieme di frammenti, un comò con molti
cassetti senza che necessariamente i loro contenuti siano
coerenti. Ma la memoria funziona proprio così, a
spezzoni. E nella banalità delle cose di tutti i
giorni si nascondono i semi della storia personale di ognuno".
Non è un'autobiografia ma un libro dei ricordi, scrive
Franco Zambelloni nella prefazione, per sostenere poi, con
Bunuel, che "noi stiamo nei ricordi, non loro in noi".
Leggiamo dalla raccolta il racconto più breve, Giovanni.
Eravamo andati al cinema e ce
ne tornavamo a casa lentamente. Mentre guidava Giovanni
guardava al centro della strada, flebilmente illuminata
da certi lampioni bassi. La pioggia cadeva sottile e fitta.
Eravamo seduti l'uno accanto all'altra senza dirci neanche
una parola.
Stavamo bene così.
Nel silenzio io filtravo la densità e la serenità
di quel momento.
Certo, spesso, i percorsi individuali cancellano i legami.
Eppure ci sono minuscoli semi di vita comune che non si
perdono mai.
Come scrive Valentini? "La
mia poesia è contratta. In prosa invece scelgo volutamente
una sintassi semplice. Il linguaggio dev'essere scorrevole,
ma il lessico preciso; è necessario sfruttare bene
il ventaglio di variazioni possibili, perchè la lingua
si va impoverendo".
E i premi? Oltre al libro dell'anno
della Fondazione Schiller per le poesie, per i suoi racconti
Valentini ha ricevuto la menzione speciale al premio europeo
di narrativa. "I premi sono un incoraggiamento,
una conferma che ti toglie per un istante dai dubbi martellanti
se quello che stai facendo va bene o meno. Importante, al
di là del premio stesso, è il riconoscimento
del proprio lavoro."
Elena Spoerl
|
|
Con
devozione di mente e di cuore, di Franca Cleis |
Con devozione di mente e di
cuore
Incontro con la scrittrice Maria Rosaria Valentini
Esordiente, nel 1995, con il libro
Un'altra favola da raccontare (Il Ponte, Rimini 1995,
con illustrazioni di Romy Peternier), e con alle spalle
un libro di prosa poetica Sequenza (con illustrazioni
di Angela Lyn, Tip. Stazione, Locarno 2000), un libro di
poesie Sassi muschiati (con illustrazioni di Angela
Lyn, Edizioni Ulivo, Balerna 2002), e il volume Nomi
Cose Città Fiori (Dadò, Locarno 2003),
Maria Rosaria Valentini, autrice di origini italiane, ma
ormai stabilita da diversi anni a Sorengo, è stata
segnalata, unica ticinese, al prestigioso Premio Schiller.
I suoi libri, così apparentemente diversi tra loro,
sono strettamente legati da un filo resistente comune, che
è quello dell'autobiografia reinterpretata, trasformata
dalla letteratura in una bella lettura. "Se è
vero che si legge anche per vivere molte vite e non quella
sola che ci è data, - come scrive Franco Zambelloni
nella prefazione -, allora questo libro (ma anche gli altri)
è un'occasione lieta di vagabondare in un'altra esistenza,
accompagnando l'autrice in quel pellegrinaggio dentro la
memoria che la Valentini ha compiuto con devozione di mente
e di cuore".
"E stringendo tra le sue mani
quelle della piccola, cantò una canzone così
bella e così dolce che il vento, innamoratosene,
gliela rubò e da quel giorno la porta con sé
in ogni dove"... Secondo Maria Rosaria Valentini, il
vento porta nell'aria canzoni dolci, ma anche odori di pipa,
di disinfettanti, di mosto e di aceto e profumi di canditi
e di saponetta a forma di fiore... sembra quasi essere il
vento il suggeritore della sua narrazione? Ama dunque il
vento in particolare?
Le prime letture, quelle che si fanno nell'infanzia,
lasciano sempre un segno indelebile, una sorta di marchio
nella memoria. Per tale ragione credo di essere indissolubilmente
legata ad un racconto che lessi, con trasporto e meraviglia,
in prima elementare. Ne era protagonista un bambino che
aveva ricevuto dalla maestra lo "strano" incarico
di riflettere sul vento. Il ragazzo trascorse un pomeriggio
di "disperazione": scrisse e strappò molti
suoi pensieri poiché parlare del vento gli pareva
impresa impossibile. Ad un certo punto, però, aprendo
la finestra, scoprì sul tetto di una casa un gruppo
di violacciocche! Con stupore si chiese: "Chi mai le
avrà piantate lassù?!". Poi un sorriso
guizzò sul suo viso e parlare del vento gli sembrò
cosa assai facile.
Certamente questa pagina ha solleticato la mia curiosità
e grazie ad essa, nel tempo, ho coltivato dentro di me un'immagine
magica del vento.
Ma anche gli alberi sono spesso protagonisti
non solo delle sue favole, tanto che Pregnanze volume
delicatissimo che parla di pubertà, di parto, e di
maternità, è dedicato a una donna (Sofia Pedro)
che, in Mozambico, il 1 marzo del 2000, mentre devastanti
alluvioni seminavano la morte, andò a partorire su
un albero... (e poi tra l'altro mi ricordo del calicanto
nella poesia Gennaio). Ama dunque gli alberi in particolare?
Sì, posso proprio affermare di amarli. Mi colpiscono
per le forme, per i colori, per i frutti e i profumi che
ci offrono. Sono creature generose, pazienti, forti e per
questo catturano la mia attenzione. In Sassi muschiati ho
voluto rendere omaggio ai cachi, al castagno, al calicanto,
al salice piangente, per esempio, ma anche ad un semplice
tronco, ormai separato dalle proprie radici. Forse anche
l'interesse per gli alberi ha a che vedere con la mia infanzia,
poiché la casa in cui sono nata è immersa
in un bosco.
Lei si è laureata con una
tesi dal titolo Ingeborg Bachmann e Natalia Ginzburg:
un confronto. Curiosissimo questo confronto. Ci può
dire che cosa ne è sortito?
A dire il vero mi sono laureata con una tesi su Paula
Becker Modersohn, una pittrice tedesca precorritrice dell'Espressionismo.
Si tratta di una figura molto interessante sia come artista,
sia come donna. Anche a lei piacevano molto gli alberi,
in particolare le betulle di Worpswede. Ma forse sto divagando...
È vero, mi sono occupata pure di Ingeborg Bachmann
e Natalia Ginzburg. La loro scrittura è stata oggetto
di studio per il mio dottorato. Si è trattato di
un lavoro di confronto dal quale sono emerse soprattutto
affinità stilistiche.
Scrive Natalia Ginzburg: "Mio
padre, la sera, nel suo studio, lavorava... fumava la pipa,
e spazzava via la cenere dalla pagina...". Scrive Maria
Rosaria Valentini: "Mio padre aveva sulla fronte, come
stampate, due lunghe rughe orizzontali... mi raccontava
delle favole straordinarie che inventava, senza doverci
pensare troppo..." Quanto ha influito sulla sua scrittura
la Ginzburg, e quanto suo padre?
Ho iniziato a leggere Natalia Ginzburg nell'adolescenza.
Molte sue pagine mi hanno fatto compagnia ricoprendo di
emozioni tanti miei pensieri. Della Ginzburg ammiro la capacità
straordinaria di scrivere con semplicità. Ed in questo,
credo, che la sua scrittura abbia influito sulla mia. Mio
padre, invece, è stato un abile narratore di favole,
fiabe, leggende, fantasie di vario genere. La sua voce quando
ero bambina ha spalancato molte porte della mia immaginazione.
Leggendo il suo ultimo libro Nomi
Cose Città Fiori "immagini in lapilli"
(come lei l'ha chiamato), "parti della mia vita...
ma non solo", scritto in prima persona eppure racconto
di altro da sé, raccolta di piccoli racconti/quadri,
"piccoli semi di vita comune", mi è sembrato
di capire che il "fatto" più importante
nella sua vita sia l'amicizia, l'incontro. In fondo il suo
è più un libro d'amore, che un libro di ricordi?
Sì, è vero, per me l'amicizia è
un grosso valore poiché, a mio avviso, essa rischiara
la nostra esistenza. Certo, anche degli incontri casuali
e fugaci possono offrirci brandelli di saggezza o di felicità.
Proprio per questo forse con Nomi Cose Città Fiori
dichiaro il mio amore alla quotidianità che nella
sua apparente banalità ci riserva sempre piccoli
assaggi densi di emozioni.
I suoi primi tre libri, sono illustrati:
da Romy Peternier Un'altra favola da raccontare;
e da Angela Lyn Sequenza e Sassi muschiati. Come mai questa
sua scelta di aggiungere immagini (tra l'altro molto belle)
alle sue parole (tra l'altro molto belle)?
L'aggiunta di immagini ai testi nasce dal desiderio di
lavorare con altre persone per condividere impressioni ed
esperienze. In fondo scrivere è un lavoro di assoluta
solitudine, di silenzio! Aprirsi agli altri significa superare
i propri confini, scambiare idee, congiungere discipline
diverse. E da certe collaborazioni nascono immancabilmente
altre ispirazioni e nuovi progetti.
La cucina, ovvero l'arte culinaria
- come lei la chiama - e le sue fragranze, i suoi profumi,
oltre la scrittura, sembra essere un'altra delle sue passioni.
Penso alle "insalate di Albina", alla pasta di
mandorle, al gelato alla vaniglia, alla zuppa di pane e
latte, alle salsicce aromatizzate con il finocchio selvatico...
che si rincorrono nel suo ultimo libro, tra una persona
e l'altra, tra un ricordo e l'altro.
Le piace cucinare? E qual è il suo piatto preferito?
La cucina è per me un laboratorio di emozioni
all'interno del quale i cinque sensi vengono stimolati e
"incantati"! Sì, cucinare mi piace molto
soprattutto perché tra i fornelli mi sento libera
dai vincoli della fretta. Non ho un piatto preferito perché
mi piace gustare un po' di tutto, ma amo preparare il pane
in casa per mangiarne con particolare soddisfazione la prima
fetta ancora calda e croccante.
E che cosa sta "cucinando"
ora nella sua "cucina della scrittura"? Favole,
poesie, racconti o ancora altro?
Ho appena terminato un racconto che parla proprio di
cucina, di cibo...
La storia ruota intorno all'arte culinaria, e si concentra
sul rapporto -non sempre equilibrato- che si stabilisce
con l'alimentazione. È la vicenda articolata di una
famiglia allargata che si disfa per ritrovare alla fine,
una radice.
Franca Cleis
Ticino
Management Donna
|
|
"Fioretti",
un estratto del libro |
Fioretti
Da Nomi Cose Città Fiori,
pp. 77-78
Le classi della nostra scuola erano
miste: la prima e la seconda insieme, la terza e la quarta
insieme. Faceva eccezione la quinta. Ogni anno cambiavamo
insegnante. Una volta arrivò, forse per ironia della
sorte, una maestra di nome Temperanza. Era alta ed ossuta,
pignola e severa, Aveva le unghie lunghe e scanalate.
Ogni mattina ci metteva in fila per ispezionare il nostro
grado di pulizia personale. Per gli inadempienti piovevano
veloci le bacchettate sulle mani. Tuttavia, a suo modo,
ci voleva bene.
Su una parete Temperanza aveva creato, con un enorme cartone,
una sorta di diario sul quale annotavamo impressioni, fatti,
eventi quotidiani.
Un giorno di maggio scrivemmo: Oggi Giustino è
assente. Sua sorella, che si chiama Santa, si sposa. Santa
ha quindici anni. L'abbiamo osservata dalla finestra della
nostra aula mentre andava in chiesa: camminava lentamente,
suo padre le dava il braccio. Suo padre si chiama Ferruccio
ed è senza lavoro. Sua madre, che fa la casalinga
e si chiama Niche, la seguiva a qualche passo di distanza,
curando il lungo strascico bianco. Abbiamo osservato Santa
anche quanto è ripassata sotto la nostra scuola,
a matrimonio avvenuto. Ora c'era suo marito a porgerle il
braccio, sua madre la seguiva ancora, ma non si occupava
più dello strascico. Giustino e suo padre si davano
la mano. Santa si guardava intorno e salutava tutti, anche
quelli che normalmente le stavano antipatici. Santa lascia
il nostro paese per andare a vivere in una grande città
del nord.
Di seguito annotammo:
Tra pochi minuti, guidati dalla nostra maestra, andremo
alla Rupe, un punto in cui il nostro paese si fa ripido
e ci mostra un profondo burrone. Andremo proprio lì
per bruciare i fioretti.
Maggio era il mese della Madonna.
Ognuno di noi, prima di iniziare le attività scolastiche,
trascriveva su un pezzo di carta il fioretto del giorno.
Ci dichiaravamo, così, pronti a delle rinunce che,
come diceva Temperanza, ci avrebbero insegnato il senso
del sacrificio.
I foglietti venivano raccolti in una scatola per essere
infine bruciati l'ultimo giorno del mese.
Quando arrivammo alla Rupe la maestra ci dispose in circolo,
mise nel mezzo i foglietti e vi appiccò fuoco con
un fiammifero. La carta bruciata volò via nel cielo,
sollevata dal vento, e la maestra disse: "Guardate
dove vanno i fioretti, scappano lontano, in alto, insieme
ai vostri desideri".
Seguendo i percorsi della cenere svolazzante mi sembrò
di vivere un sogno.
|
|
Prefazione
di Franco Zambelloni |
Questo libro di ricordi non
è un'autobiografia e neppure una storia, ma un susseguirsi
di immagini e squarci di lontananze temporali; contiene
una vita, ma non il suo racconto. Lo scopo dell'autrice
non è narrare di sé, ma fermare ricordi: "Certe
immagini in lapilli", per riprendere il testo, sono
qui fissate in scrittura, "raccolte perché non
si perdessero nel vento".
Il ricordo è prezioso di per
sé e non necessita di giustificazioni : è,
finché dura; vive di noi. Quando poi si perde, siamo
noi che viviamo con scemata pienezza. Nella sua autobiografia
Buñuel scriveva: "Si deve incominciare a perdere
la memoria, anche solo brandelli di ricordi, per capire
che in essa consiste la nostra vita". Così ci
avvinghiamo ai ricordi sapendo che in essi stiamo noi, non
loro in noi.
Fin qui, è destino comune:
inseguire ricordi per non perdere noi stessi. Ma in qualcuno
che ha anche gusto e talento letterario il ricordo è
materia poetica. Il ricordo, allora, è vissuto a
un doppio livello: quello dell'episodio letterale e quello
della sua trascrizione letteraria. La materia del vissuto,
insomma, e la forma letteraria creano insieme un nuovo oggetto,
accessibile anche ad altri, al lettore. Non basta dire per
comunicare: soprattutto quando la parola dice di piccoli
nulla, di insignificanti relitti di un passato altrui, quel
racconto che è tutto per chi lo narra può
essere nulla per chi lo ascolta. Solo in veste poetica l'esperienza
che si è incisa a fondo in una persona può
essere significativa per un'altra.
I ricordi, e principalmente quelli
infantili, sono appunto la materia poetica di questo libro
di Maria Rosaria Valentini. Non un racconto, dicevo, ma
piuttosto piccoli bozzetti di cose, luoghi, persone rievocati
in brevi contemplazioni fugaci. Sfilano davanti al lettore,
nella galleria della memoria, Albina e Marta, Carletto,
i nonni Lorenzo e Salvatore, e Taddeo e Muzio e Antonia
e i tanti altri, resi vivi da un gesto, un rapido segno,
e così fissati di getto anche nella memoria del lettore;
e poi, luoghi del quotidiano, di un tempo che non esiste
più; episodi e cose, bagliori di visione nel buio
del dimenticato. C'è, nel raccontare della Valentini,
una concretezza non solo visiva, ma di tutti i sensi: i
profumi, ad esempio, che sono (Proust insegna) evocatori
per eccellenza dei ricordi, accompagnano le immagini: quello
del barattolo di alici sotto sale, quello della saponetta
a forma di fiore dell'Albina, quello della varechina al
lavatoio... Poi, i sapori, quelli che si fissano nell'infanzia
e danno per sempre la nostalgia delle buone cose di una
volta: il cioccolato amaro, la pasta di mandorle, il baccalà
in umido, la torta di ricotta del Venerdì Santo...
E poi. la gente: e per ogni volto incontrato, per ogni uomo
ricordato, c'è qualche incisiva intuizione psicologica
che permette di vedervi dentro e di dar carne e sangue alle
ombre.
Se è vero che si legge anche
per vivere molte vite e non quella sola che ci è
data, allora questo libro è un'occasione lieta di
vagabondare in un'altra esistenza, accompagnando l'autrice
in quel pellegrinaggio dentro la memoria che la Valentini
ha compiuto con devozione di mente e di cuore.
Franco Zembelloni
Page créée le: 24.12.03
Dernière mise à jour le 31.12.03
|
|
© "Le Culturactif
Suisse" - "Le Service de Presse Suisse"
|
|