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Giovane poesia in Svizzera Italiana

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  Davide Monopoli e Vanni Bianconi
 

Davide Monopoli, 1977, nato a Lugano, ha curato per i tipi della chiara fonte la breve raccolta si opera nella sola durata - sei poeti, alla quale ha fatto seguito, in cofanetto, l'antologia della durata. a titolo provvisorio è la sua prima opera solitaria.

Davide Monopoli, a titolo provvisorio, Viganello, alla chiara fonte, 2004.

Vanni Bianconi è nato a Locarno nel 1977. Dopo gli studi liceali ha soggiornato a Città del Messico e a Londra, dove ha frequentato corsi di letteratura e scrittura poetica al Birbeck College. Si è laureato all'università statale di Milano con una tesi sulla poetessa irlandese Eiléan Ní Chuilléanáin. Lavora presso la casa editrice Casagrande di Bellinzona. Ha tradotto in italiano testi poetici di Michael Donaghy e Eiléan Ní Chuilléanáin.

Vanni Bianconi, Faura dei morti, in Poesia contemporanea. Ottavo quaderno italiano, a cura di Franco Buffoni, Milano, Marcos y Marcos, 2004,
ISBN 88-7168-393-5.

Oliver Scharpf è nato a Lugano nel 1977. Nel 1997 si è aggiudicato il Premio "Montale" per le poesie inedite, pubblicate l'anno successivo da Scheiwiller nell'antologia del Premio. Dopo aver vissuto a Roma e Ginevra, si è trasferito a Milano, dove frequenta il corso di drammaturgia della Scuola d'Arte Drammatica "Paolo Grassi".

Oliver Scharpf, Uppercuts, Faenza, Moby Dick, 2004, ISBN88.8178.285.5.


  En bref en français

Après une longue période où la littérature tessinoise ne semblait trouver de relève que sporadiquement, avec quelques auteurs isolés, c'est une nouvelle génération qui semble se lever: à côté d'auteurs comme Ennio Maccagno, Claudia Quadri ou Mattia Cavadini, de nouvelles voix poétiques émergent. Trois auteurs nés en 1977 publient aujourd'hui des textes prometteurs, remarqués par des lecteurs aussi avertis que Giovanni Orelli ou Gilberto Isella, et du côté du Culturactif par Pierre Lepori. Davide Monopoli et Oliver Scharpf écrivent des vers nourris par la langue parlée. Vanni Bianconi poursuit de son côté le mouvement de poésie réaliste et éthique italienne, dont Fabio Pusterla est au Tessin le plus évident modèle.

 

  A titolo provvisorio (Davide Monopoli)


non sono che piccole storie, quelle che racconto,
giorno dopo giorno, piccole cose del quotidiano,
costruite di getto. preda di questo ritmo strano,
dalla fisiologia stravolta, come sospeso in una
zona senza tracce - eventi minori, perloppiù, o
mancanti - spesso soltanto frammenti convulsi,
pezzi diversi di un mosaico, segmenti di una
lode che si fa facendosi, senza mai raggiungere
un disegno d'insieme, insomma. non si tratta
certo di abbassare il tono, è che i momenti mi
attraversano, mi assorbono in questo modo -
a titolo provvisorio, per così dire - e qualora
si volesse dare un titolo a ciò che titolo non ha.

 

  Faura dei morti (Vanni Bianconi)

Tre poesie di primavera (I)

Andati indietro, fino alle rotaie, si arriva alla caserma,
linee di ruggine scompigliate dal vento trattengono
l'ordine, lunghe barre di metallo per costruire
proprio quello che non si è costruito oppure altro.

E non si rompono. Rompevano le linee i militari
dopo la parata, scendevano dalle autovetture
i viaggiatori, l'attesa per il valico del Gottardo
li portava a una Stube, a nord o sud, e si rideva anche.

Si scioglie la neve, ma il verde qui all'ombra
non affretta la vita. Un catino è stato messo
al riparo dal poco sole, rimane chiusa nel ghiaccio
la nave giocattolo, un bambino che gioca al disastro.

O è un caso e quest'anno non è salito alla valle
acre, casta. Le promesse di morte a medio termine
da vicino non si ascoltano, ma si è ricchi di memorie
degli ultimi anni dell'anziano che ripete,

il suo grido: "per favore", rimane, è già rimasto.
E i suoi capelli grigi, corti, lisciati, imposti.
Impostisi sulla permanente, sulle tinture con cui
voleva perpetuare i colori suoi forse per sempre.

La morte vicina, smettiamo di affermare patologicamente
la vita, echeggiamo la morte, fino a farle il verso -
si riesce presto a negarle entrambe. "Per favore", grida,
per favore non dimenticare la mia vita solo perché sto morendo.

Anche a se stessa, e patologicamente si stringe la vita
e la cancella, giorno dopo giorno. Ma a volte una parola,
lascito, e ci tiene insieme, scoperti, in quel limbo misto -
il cervo ha già lasciato le sue tracce anche sul verde riemerso.

 

  Uppercuts (Oliver Scharpf)

N.5

piove
in via beata vergine del carmelo un mozzicone
dimora nel cuore dei cessi del cinema excelsior
mentre come un sedicenne
sento ancora sulle labbra
dei suoi baci
il polline

N. 39

mia madre mi chiama per vedere il pettirosso
dice che quando arriva viene sempre a nevicare;
eh sì, si macchiò il petto con il sangue di cristo
cercando di levare i chiodi con il becco
e adesso si occupa di annunciare la neve

 

  Giovane poesia in Svizzera Italiana: Monopoli, Bianconi e Scharpf (Pierre Lepori)

Una Svizzera italiana che fatica a trasformarsi culturalmente sta dando segnali di rinnovo nella scrittura, il che depone a favore di un mutamento che viene dal profondo. Cresce il numero di nuovi scrittori, ed anche gli orizzonti in cui la loro produzione si iscrive, la mobilità intellettuale (quando non spaziale), la precisione e la tenuta delle loro scelte estetiche. Nella narrativa, dopo l'impennata stilistica verificatasi con l'arrivo del neo-gaddiano (ma non solo giocoso) Maccagno e del manganelliano Cavadini, due voci importanti, quelle di Claudia Quadri e dell'esordiente (a scoppio ritardato) Giuseppe Curonici vagliano nuove vie in direzioni che, per la prima sfiorano il cinema, per il secondo la filosofia e il metaromanzo. Con più cautela, ma con grande fiducia, si può poi guardare in direzione dei poeti. Mai come in questi anni il numero delle nuove voci e la loro diversità sono stati tanto rassicuranti. Mentre si attende da Casagrande la pubblicazione di un'opera di Massimo Daviddi, le due sillogi recentemente pubblicate (Bianconi e Monopoli) confermano alcune linee di forza e alcune tendenze della giovane poesia svizzero italiana. Se il definirle troppo chiaramente può forzarci la mano nella ricerca d'incapsulamenti definitori, ci sembra non di meno interessante ammettere che le affinità formano un vero tessuto, una zona di crescita poetica coerente. E sarebbe peccato non prestarvi attenzione.
Davide Monopoli, per cominciare, pubblica questo a titolo provvisorio sotto l'insegna alla chiara fonte del pittore ticinese Mauro Valsangiacomo. Dagli stessi torchi era uscito più o meno un anno fa uno dei rari frutti del raffinato e pluriennale artigianato poetico di Aurelio Buletti, "poesia elegantissima, a volte 'dotta' (o ironicamente tale) esercitata su una materia umile e quotidiana (…)" (Mengaldo). E nella stessa direzione di levità, si aggiunga, da qualche anno muove un altro dei giovani poeti ticinesi, figlio del precedente, Elia Buletti, che ha affidato in modo particolare i suoi testi a letture-performances con un gruppi musicali, in un gioco sottile di travaso tra parola detta e parola cantata (che lascia forse qualche dubbio sulla reale permanenza - ma non è un giudizio di valore - della parola scritta). Vive a Bologna, poi, ma è legato alla cultura ticinese anche per le sue collaborazioni in ambito teatrale (per la compagnia luganese del Teatro d'Emergenza), Lorenzo Buccella. E può anch'egli iscriversi in questa movenza, forse con più decisi addentellati con l'avanguardia italiana e con le esperienze di scrittura espressiva (e parlata) di poeti appena un poco più anziani di lui, come Rosaria Lo Russo o Gabriele Frasca.
Anche Monopoli "guarda alla scrittura come una festa" (lo dice la noticina biografica della sua plaquette) e potrebbe unirsi in un gruppo alquanto compatto con i giovani compagni, sotto il segno della bella definizione di Merleau-Ponty: "l'écrivain travaille à l'envers: il n'a affaire qu'au langage et c'est ainsi que soudain il se trouve environné de sens". Si potrebbe anzi dire che la riflessione metalinguistica sia tra i temi dominanti della sua poesia, nell'attenzione spasmodicamente tesa al "rumore del testo nel suo farsi", dove la "pagina bianca era il campo di battaglia" (e citiamo dalla prima e dall'ultima poesia della raccolta). Se si avvertono in questi versi sapientemente cesellati (sempre "da dirsi") l'influsso di poeti d'avanguardia come Sanguineti (in particolare nei suoi lati più bio-ironici, come in Postkarten), è fors'anche perché questa poesia ha la tendenza a nascondersi dietro un accenno di gozzanismo: non tanto nelle atmosfere, che sono tutt'altro che crepuscolari e nostalgiche, quanto in una volontà un poco esibizionista (ed è un paradosso) di vergognarsi "di essere un poeta". Vale a dire, ed in parole un po' corrive, di lanciare il sasso e di nascondere la mano, di tendere il verso e minimizzare l'io lirico. Ma sarebbe un far i conti senza l'oste, perché - nonostante qualche vezzo giocoso di troppo (le parentesi godardeggianti: "rin(n)tocca", "(e-/in-/pro-)segue"), là dove Monopoli trova il vero punto d'appoggio che gli evita l'ozio degli sfarfallamenti, è in una decisiva presa in considerazione della "carnalità del verbo, / il desiderio che la parola si faccia infine carne", fino all'ammissione di una necessità della poesia come risposta precisa a un'angoscia esistenziale (per ora, ma si dica per ora, giovanilmente autobiografica): "scrivo per vivere, non per altro - e soprattutto per ricordarmi / che sono vivo". Affermazione che non può non ricordarci una celebre "spiegazione" dell'atto creativo che dobbiamo a Didier Anzieu: "apporter une cohérence et donc un soilagement au besoin de cohérence que nous avons". In estrema sintesi una resistenza alla dis-identificazione: "(…) fino a che anche la carta canti, e la vita passi, / poter provare a dare vita, a dare voce, poter / provare il mio ritmo, la mia bocca, la mia / voce (…) sospendere quel / tempo in sospeso, contare quel che pende, che pesa, il / resto mancia, se parte resta in lancia, quel che / resta, e quel che passa - il resto, alla sabbia": sono versi - con un'eco lontana, ma come in levare, di Beckett - di questo libro del Monopoli. Se allora una sezione della raccolta s'intitola minimalia, non è certo perché il giovane poeta voglia scancellarsi, quanto piuttosto perché sembra alla ricerca di una voce le cui trasparenze sono ricercate come un sorso d'acqua, per calmare una sete profonda, inestinguibile, quella che gli dice "che la vita / era indissolubilmente legata all'espressione", e che sembra indicargli una precisa responsabilità del dire: "far sgorgare la vita attraverso la / scrittura del mondo, attraverso la sua voce" (il titolo, nonostante il vezzo parentetico, è eloquente: "(auto)(bio)(grafia)"). Il che dà all'apparente leggerezza del dettato di Monopoli tutt'altra struttura, tutt'altra tenuta.
Uguale tensione irrisolta, ma fruttuosa, percorre la prima prova poetica di Vanni Bianconi (1977), che trova posto nell'Ottavo quaderno di poesia italiana diretto da Franco Buffoni, sede prestigiosa se si pensa che alcuni dei più importanti nuovi talenti della poesia italiana hanno trovato nascita in questa fucina (la lista è lunga ma si potrebbero citare perlomeno Del Bianco, Santi, Nove o Elisa Biagini). Sede eclettica per scelta - in quest'ultima livraison trovan posto le forti carnalità di Fabrizio Bajec o la lieve serenità di Annalisa Manstretta - e in cui ogni silloge presentata è coerente come un piccolo libro, e si fregia di un'introduzione di un poeta "laureato". Non a caso Bianconi è introdotto da Fabio Pusterla: pur in piena libertà di movenze, non è sbagliato cogliervi una sorta di continuità, così come non si potrebbe negare il benefico influsso che Pusterla ha avuto su un'altra giovane voce, quella di Tomaso Bontognali (di cui il Cultur@ctif ha pubblicato alcuni inediti lo scorso gennaio).
Di più: Pusterla è senz'altro il punto d'abbrivio ideale di tutta questa giovane generazione: da un lato per la sua disponibilità personale e personalizzata al dialogo. D'altro canto, perché si tratta di un poeta che rappresenta una singolare e riuscita fusione: in lui convivono, dialogano, un dettato montaliano di grande raffinatezza (e scelta tradizione), temperato da una modestia metafisica chiaramente ascrivibile alla linea lombarda, insieme all'attenzione alle più forti esperienze della poesia europea, senza particolari pregiudiziali tematiche o stilistiche. Sicché la sua poesia si può muovere in una prospettiva al contempo interiorizzata (di profondità biografiche o geologiche), e con la forte volontà di partecipazione sociale (con toni illuministi d'ascendenza pariniana, oppure più caldamente corali sulla linea manzoniana). Come si vede: una poesia della responsabilità, ma anche della libertà, con l'unico dovere dell'onestà, unica cosa che "resta da fare ai poeti", secondo Saba.
Se Bontognali prosegue allora il discorso pusterliano nella direzione di uno scavo carsico e nelle immagini geologiche, Bianconi tenta invece una poesia che si vuole prensile della realtà nel suo affastellarsi, nel suo interrogarci, in una sorta di "monologo interiore, (…) un discorso mentale che procede per salti, a mezzavoce" (Pusterla). Come annota il prefatore, la disposizione cronologica delle poesie mette ancor più in risalto il cammino dell'io lirico dal dentro al fuori, l'assunzione di responsabilità non soltanto nei confronti del magma interiore ("Copre parti del mondo / e tocca l'acqua, / ognuno"), come un Orfeo che non può e non deve più voltarsi: "Però leggendomi indietro non troverei queste / ma parole quasi più politiche / che quasi recriminano di mancare, adesso". Fino al punto in cui la poesia tracima nella terza persona del singolare e diventa sguardo, compassione. Sono forse le "Tre poesie di primavera" il punto culminante di questa ricerca, che tende poi un poco a sbriciolarsi, a disarticolarsi e a stemperarsi in un linguaggio credulmente mimetico nell'ultima lunga poesia della raccolta ("La Svizzera è un paese rosso come / è la speranza, rosso come è / la fottuta speranza, sì, speranza").
Stavamo concludendo la stesura di quest'articolo, quando la posta ci ha riservato un'altra sorpresa: il bel blu oltremare del libretto di Oliver Scharpf. Uppercuts: termine preso a prestito dal linguaggio della boxe (un "colpo al mento sferrato dal basso verso l'alto" c'informa il De Mauro), che sta bene ad indicare un'altra prospettiva letteraria rapida, guizzante, quasi in risposta alla celebre polemica innescata alcuni anni fa da Alessandro Baricco, sulla relativa lentezza della letteratura rispetto al cinema. E si entra subito in un'atmosfera cinematografica - "tra alberghi da due lire", "un cinema porno abbandonato" e la "stazione termini" - in questa prima raccolta di Scharpf, pubblicata dalle faentine edizioni Moby Dick (in una collana, Le nuvole, che ha già raccolto le poesie tradotte di Sylviane Dupuis, ed anche gioielli, come i versi straordinari Evelyne Schlag, tradotti da Riccarda Novello).
Bref, Scharpf è un altro figlio del suo tempo. E lui pure nella rapidità non manca di ambizioni, come ci svela la nota liminare: "Paul Valery da qualche parte scrisse: è Dio che ha soffiato il primo verso. Ecco, l'uppercut è un po' il tentativo di riacquistare questo soffio". Numerate progressivamente, le sue poesie, dalla voluta brevità, sono perciò lampi di luce su un tempo assolutamente contemporaneo, su luoghi sempre indicati con precisione. Esse tentano, proprio nel loro baluginare istantaneo, di dar pregnanza e fulgore al quotidiano. Un po' come quei barboni, in Piazza De Ferrari a Genova, che sono "come bozzoli, / in attesa di un indizio di farfalla". Non manca neppure - come in Monopoli - una scoperta tensione auto-riflessiva, spinta verso la dichiarazione di poetica: "basta con i libri di poesia / se proprio si vuole / allora deve essere qualcosa che si avvicini / a un nome scritto sull'inguine di una spiaggia / un attimo prima che una lingua di spuma / lo lecchi via". Nella loro torsione linguistica, nel loro cipiglio sardonico, il più delle volte questi versi incidono il reale con giustezza, traendone un succo per ora asprigno, forse un giorno ben più aspro e disincantato. Anche se permane il rischio di una leggera esibizione (nelle scelte linguistiche dal basso: il match Bach/Birra non ricorda forse ancora quel Nietzsche/Camicie del buon Gozzano?), rischio che accomuna i tre poeti qui considerati.
Ma è pur sempre il rischio di una poesia in ricerca, che al di là delle scelte formali, lancia le sue parole come un amo, come una sorta di sonda, il più delle volte tra i rovi intricati di un sentiero inesplorato. E c'è in questo qualcosa di estremamente sano, di arrischiato, che fa passare in secondo piano una certa incertezza dello stile. Quel che traspare dalla poesia di Bianconi e Scharpf, come da quella - già più solida - di Monopoli, è la voglia di provare anche il gusto del verso sbagliato, anche una direzione che magari verrà abbandonata. E di porre con ciò il lavorio poetico sulla carreggiata dell'esplorazione dei possibili, nella ricerca di una coerenza non già bell'e fatta, ma testata sulle parole, sulla pagina, poesia dopo poesia. In questo senso, la giovane poesia della Svizzera italiana promette di riservarci ancora sorprese e stimoli.

Pierre Lepori
© Le Cultur@ctif Suisse (2004)

 

  Antologia della durata (Giovanni Orelli)

Bisogna essere grati a Davide Monopoli per averci affettuosamente fatti conoscere i 6 fascicolini, scheiwilleriani, stampati impeccabilmente da Vals (= Mauro Valsangiacomo, " alla chiara fonte " , Viganello, 2004, in un bel cofanetto raccolti, con questo titolo collettivo: Antologia della durata. E Monopoli, che sa il fatto suo, vi premette sua nota, per sé e per i sodàli, intorno al " a che servono i poeti? " . Domanda cui, una volta di più, sarò alla 1003, conviene rispondere come Jules Romains a un suo titolo: Serpente: " troppo lungo ".

Ma rimprovero subito a curatore ( Monopoli) e editore ( Vals) il non aver fornito una riga che sia una riga di informazione, in un angolino qualunque, su chi sono questi giovanissimi campioni della giovane poesia " ticinese " .
La quale giovane poesia, pur con un vizietto di fondo, perdonabilissimo, di succhiarsi forse un po' troppo, il proprio signor Pollice, resta pur sempre un numero su cui puntare, sulla ruota " Svizzera italiana " : con fiducia puntare.
Allora: chi è Alessandro Tedesco: da dove viene, " chi fur li maggiori tui " ( Inferno X, 41), che mastica, che fa? lui che è pure capace di dare un ritratto non allegro di una certa gioventù di oggi, tanto di Quartino quanto di Konolfingen o Abbiategrasso, in un epigramma dal titolo ( epigrammatico pure lui, come la causa) Solo: Solo nel mio assenteismo, godo di una certa popolarità, di un certo folclore intrinseco. Sarei proprio curioso di saperne, anagraficamente, qualcosina di più. Alessandro Tedesco non è ( ancora) Schönberg di cui un fan voleva sapere se e come si faceva il nodo della cravatta, ma... Allora: chi è, che fa? ha già fatto la prima comunione, il Flavio Moro che ora è più che apprendista- stregone nello spiazzare il lettore con suoi collages tira- schiaffi- applausi: vedere, per credere, il suo collage " politico " , il " dionisiaco " : non è possibile qui per elementari ragioni di spazio ( spazio è denaro) trascriverli, e me ne spiace.
Allora: chi è Daniele Bernardi, uno che, dice di lui, scava dentro " l'anemia falciforme " che " forma " le / falci per falciare le forme " . È un punto di vista che può parere fatto su con giuochi di parole che i contadini antichi ( giovani, nella natura, direbbe Leopardi) in loro concretezza approverebbero. Perché l'autore vuol dire, credo, così a me mi pare, in sostanza: scrivi col sangue, non con la falce.
E chi è l'altro Bernardi, con nome ancora più biblico, Giona: quanti anni ha, li avrà fatti i primi nove venerdì del mese? ha un conto in banca ( anche se il Joyce, Giacomo, a cento anni giusti dal suo Bloom's Day, mi manda al diavolo, e giustamente, con queste investigazioni su certo privato degli auctores: e beveva? e aveva delle - impagabile il partitivo - delle amanti?): il quale Giona Bernardi, in una sorta di autoritratto ( titolo Intorno all'Urlo) osa scrivere: Se di Munch si ricorderà l'urlo di me mi posso dire che si fregheranno lo sbadiglio. Lo sbadiglio o " dello " sbadiglio. Questo NON è il problema.
E chi è Elia Buletti ( il padre, Aurelio, da Omero prendendo, nella sua sempre generosa umiltà, direbbe " non fu sì forte il padre " ) il quale Elia Buletti per tanti di noi ha scritto questo A un certo punto della notte: a un certo punto della notte ero in un angolo e non riuscivo a tossire mi sono messo a guardare e nessuno ha fatto caso io mi sentivo uno di quegli angeli che nei film tedeschi tristi hanno le crisi di coscienza e vanno in giro a bere.
Ultimo, ma non ultimo, è David Monopoli. È anzi il primo. È lui che ha scritto una introduzione in cui parla per sé e per i cinque sodàli. Come è invidiabile la loro solidarietà: " Come antichi cinesi, seguiamo linee di forza, meridiani, mutamenti: piedi saldi e naso all'insù, gli occhi aperti e le orecchie tese, ci teniamo al corrente. " Cinesi, non ticinesi. Al corrente, come " nuovi barbari " , anche come réceptionnistes e da questa metafora ospital- ticinese conviene allegramente prendere il la per un elogio agli arditi sei e al loro altruista stampatore, Mauro Valsangiacomo. Intanto che lui, il David Monopoli, per conto suo, va di posto in posto, e sempre coi libri sotto braccio ma in realtà, con l'apprendista nel sole, e la voglia di acchiappare qualche nube, o una rondine del cielo.

Giovanni Orelli

23 giugno 2004

 

  In barba ai vecchi gufi (Gilberto Isella)


Una collana con giovani poeti di valore
Da una " chiara fonte" in barba a vecchi gufi

Leggiamo sulla pagina culturale di un giornale italiano: " È una generazione [ s'intenda quella dei poeti Cucchi e Zeichen, autori tra i cinquanta e i sessant'anni, n. d. r.] che consente già qualche attendibile consuntivo, e la cui corposa esistenza, ribadita da costanti nuove uscite, contrasta drammaticamente col quasi nulla che la segue " . Il giornale in causa non è un improbabile " Gazzettino di Pizzoferrao" ma l'autorevole Repubblica ( in data 12 maggio) né chi parla è un pincopallino, bensì quello Stefano Giovanardi coautore ( con Cucchi) della discutibile e peraltro a sua volta autorevole " Antologia poetica del secondo novecento" entrata nel pantheon dei Meridiani.
Sono affermazioni che cadono come angurie di ferro e che fanno venir voglia di chiudere la partita. Chi sarebbe infatti così masochista da perder tempo col presunto drammatico " quasi nulla " poetico " che segue " tale generazione? Sebbene " pensate" del genere si commentino da sole, non escludo di tornare sull'argomento dopo gli ardori estivi. Oggi mi limito, tanto per scavare una nicchia dentro il " quasi " di quel disperato nulla, a spendere ancora qualche parola in merito alla collana poetica " alla chiara fonte", diretta con entusiasmo e competenza dall'artista Mauro Valsangiacomo. Si tratta di un'iniziativa editoriale che, in barba ai profeti di sventura, sta crescendo in modo più che dignitoso e meriterebbe di farsi conoscere oltre frontiera...
Già ho riferito sulla raccolta di Tommaso Soldini ( cfr. GdP del 31 marzo 2004). Ora mi giungono tra le mani nuovi libretti. Rispettando l'anagrafe, comincerò da Aurelio Buletti, autore di casa noto anche per la sua accattivante prosa narrativa. Minimalista, a partire dal formato, dal numero di pagine ( 10) e dallo stesso titolo ( Temi) può sembrare questa sua suite. In realtà Buletti ci parla del tempo - quindi uno dei massimi temi dell'umanità - e lo fa rivisitando con ironia postmoderna e lirica levità una tra le figure più antiche e nobili dell'arsenale retorico, la personificazione: " Avviato il mattino,/ il tempo si disperde nei ricordi,/ non ragiona, rammemora,/ lo coglie impreparato il mezzogiorno,/ lo invita alla sua mensa,/ ma glielo fa pesare " . Il signor tempo è una sorta di capofamiglia sornionamente consapevole della sua decaduta nobiltà, e che ci appare in preda all'esaurimento, forse perché paventa la propria usura dentro l'immaginario umano.
A generazioni assai più giovani appartengono invece Davide Monopoli e Agostino Colombo. Del primo avevo apprezzato lo sperimentale Per altri versi ( sempre nella medesima collana e in cofanetto con altri coetanei), per l'infinila determinazione a uscire dai sentieri battuti. Ora, con A titolo provvisorio l'autore sviluppa la sua propensione per un discorso poetico autoriflessivo, che si osserva e commenta nell'atto del suo costituirsi e significarsi. Il dramma, per Monopoli, è l'assenza, il " baratro e vuoto che si cerca invano di colmare a suon di parole " , una condizione dell'essere e del dire che trova qua e là precario risarcimento nel trascrivere tracce di vissuto, " piccole storie" quotidiane. Di altra natura è la poesia di Colombo ( Ci fosse un'altra vita), che mostra di riporre fiducia in una discorsività narrativa di primo grado e improntata al vissuto, ai ricordi di famiglia. È per questo che qui prevalgono verso lungo e queldizione colloquiale. Non fraintendiamo, però, poiché il registro " basso" ci può riservare impennate come questa: " ma in fondo sono rimasto solo/ a guardare to che va giù per le rive lunghissime/ di questo fiume a cui la bestia s'abbevera ma che a me fa paura " .

Gilberto Isella

26 giugno 2004

 

Page créée le: 28.06.04
Dernière mise à jour le 29.06.04

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