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          Giovane poesia in Svizzera 
          Italiana 
         
          
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            |   Davide 
              Monopoli e Vanni Bianconi | 
           
           
                
              
                 
                   
                    
                       
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                                 Davide 
                                  Monopoli, 1977, nato a Lugano, ha curato 
                                  per i tipi della chiara fonte la breve 
                                  raccolta si opera nella sola durata - sei 
                                  poeti, alla quale ha fatto seguito, in cofanetto, 
                                  l'antologia della durata. a titolo provvisorio 
                                  è la sua prima opera solitaria. 
                                Davide Monopoli, a titolo 
                                  provvisorio, Viganello, alla chiara fonte, 2004. 
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                    Vanni 
                      Bianconi è nato a Locarno nel 1977. Dopo gli 
                      studi liceali ha soggiornato a Città del Messico 
                      e a Londra, dove ha frequentato corsi di letteratura e scrittura 
                      poetica al Birbeck College. Si è laureato all'università 
                      statale di Milano con una tesi sulla poetessa irlandese 
                      Eiléan Ní Chuilléanáin. Lavora 
                      presso la casa editrice Casagrande di Bellinzona. Ha tradotto 
                      in italiano testi poetici di Michael Donaghy e Eiléan 
                      Ní Chuilléanáin. 
                    Vanni Bianconi, Faura dei morti, in 
                      Poesia contemporanea. Ottavo quaderno italiano, a cura di 
                      Franco Buffoni, Milano, Marcos y Marcos, 2004, 
                      ISBN 88-7168-393-5. 
                    
                       
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                           Oliver 
                            Scharpf è nato a Lugano nel 1977. Nel 
                            1997 si è aggiudicato il Premio "Montale" 
                            per le poesie inedite, pubblicate l'anno successivo 
                            da Scheiwiller nell'antologia del Premio. Dopo aver 
                            vissuto a Roma e Ginevra, si è trasferito a 
                            Milano, dove frequenta il corso di drammaturgia della 
                            Scuola d'Arte Drammatica "Paolo Grassi". 
                          Oliver Scharpf, Uppercuts, 
                            Faenza, Moby Dick, 2004, ISBN88.8178.285.5. 
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                    Après une longue période 
                      où la littérature tessinoise ne semblait trouver 
                      de relève que sporadiquement, avec quelques auteurs 
                      isolés, c'est une nouvelle génération 
                      qui semble se lever: à côté d'auteurs 
                      comme Ennio Maccagno, Claudia Quadri ou Mattia Cavadini, 
                      de nouvelles voix poétiques émergent. Trois 
                      auteurs nés en 1977 publient aujourd'hui des textes 
                      prometteurs, remarqués par des lecteurs aussi avertis 
                      que Giovanni Orelli ou Gilberto Isella, et du côté 
                      du Culturactif par Pierre Lepori. Davide Monopoli et Oliver 
                      Scharpf écrivent des vers nourris par la langue parlée. 
                      Vanni Bianconi poursuit de son côté le mouvement 
                      de poésie réaliste et éthique italienne, 
                      dont Fabio Pusterla est au Tessin le plus évident 
                      modèle. 
                      
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            |   A 
              titolo provvisorio (Davide Monopoli) | 
           
           
             
              
                 
                  |  
                      
                      non sono che piccole storie, quelle 
                      che racconto, 
                      giorno dopo giorno, piccole cose del quotidiano, 
                      costruite di getto. preda di questo ritmo strano, 
                      dalla fisiologia stravolta, come sospeso in una  
                      zona senza tracce - eventi minori, perloppiù, o 
                      mancanti - spesso soltanto frammenti convulsi, 
                      pezzi diversi di un mosaico, segmenti di una 
                      lode che si fa facendosi, senza mai raggiungere 
                      un disegno d'insieme, insomma. non si tratta 
                      certo di abbassare il tono, è che i momenti mi 
                      attraversano, mi assorbono in questo modo -  
                      a titolo provvisorio, per così dire - e qualora 
                      si volesse dare un titolo a ciò che titolo non ha. 
                      
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            |   Faura 
              dei morti (Vanni Bianconi) | 
           
           
             
              
                 
                    
                    Tre poesie di primavera (I) 
                     
                    Andati indietro, fino alle rotaie, 
                      si arriva alla caserma, 
                      linee di ruggine scompigliate dal vento trattengono 
                      l'ordine, lunghe barre di metallo per costruire 
                      proprio quello che non si è costruito oppure altro. 
                    E non si rompono. Rompevano le linee 
                      i militari 
                      dopo la parata, scendevano dalle autovetture 
                      i viaggiatori, l'attesa per il valico del Gottardo 
                      li portava a una Stube, a nord o sud, e si rideva anche. 
                    Si scioglie la neve, ma il verde qui 
                      all'ombra 
                      non affretta la vita. Un catino è stato messo 
                      al riparo dal poco sole, rimane chiusa nel ghiaccio 
                      la nave giocattolo, un bambino che gioca al disastro. 
                    O è un caso e quest'anno non 
                      è salito alla valle 
                      acre, casta. Le promesse di morte a medio termine 
                      da vicino non si ascoltano, ma si è ricchi di memorie 
                      degli ultimi anni dell'anziano che ripete, 
                    il suo grido: "per favore", 
                      rimane, è già rimasto. 
                      E i suoi capelli grigi, corti, lisciati, imposti. 
                      Impostisi sulla permanente, sulle tinture con cui 
                      voleva perpetuare i colori suoi forse per sempre. 
                    La morte vicina, smettiamo di affermare 
                      patologicamente 
                      la vita, echeggiamo la morte, fino a farle il verso -  
                      si riesce presto a negarle entrambe. "Per favore", 
                      grida, 
                      per favore non dimenticare la mia vita solo perché 
                      sto morendo. 
                    Anche a se stessa, e patologicamente 
                      si stringe la vita 
                      e la cancella, giorno dopo giorno. Ma a volte una parola, 
                       
                      lascito, e ci tiene insieme, scoperti, in quel limbo misto 
                      -  
                      il cervo ha già lasciato le sue tracce anche sul 
                      verde riemerso. 
                     
                      
                   | 
                 
               
             | 
           
           
            |   Uppercuts 
              (Oliver Scharpf) | 
           
           
            
              
                
                   
                    N.5  
                    piove 
                      in via beata vergine del carmelo un mozzicone 
                      dimora nel cuore dei cessi del cinema excelsior 
                      mentre come un sedicenne 
                      sento ancora sulle labbra 
                      dei suoi baci 
                      il polline 
                    N. 39 
                    mia madre mi chiama per vedere il pettirosso 
                      dice che quando arriva viene sempre a nevicare; 
                      eh sì, si macchiò il petto con il sangue di 
                      cristo 
                      cercando di levare i chiodi con il becco 
                      e adesso si occupa di annunciare la neve 
                      
                   | 
                 
               
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            |   Giovane 
              poesia in Svizzera Italiana: Monopoli, Bianconi e Scharpf (Pierre 
              Lepori) | 
           
           
             
              
                 
                    
                     
                    Una Svizzera italiana che fatica 
                      a trasformarsi culturalmente sta dando segnali di rinnovo 
                      nella scrittura, il che depone a favore di un mutamento 
                      che viene dal profondo. Cresce il numero di nuovi scrittori, 
                      ed anche gli orizzonti in cui la loro produzione si iscrive, 
                      la mobilità intellettuale (quando non spaziale), 
                      la precisione e la tenuta delle loro scelte estetiche. Nella 
                      narrativa, dopo l'impennata stilistica verificatasi con 
                      l'arrivo del neo-gaddiano (ma non solo giocoso) Maccagno 
                      e del manganelliano Cavadini, due voci importanti, quelle 
                      di Claudia Quadri e dell'esordiente (a scoppio ritardato) 
                      Giuseppe Curonici vagliano nuove vie in direzioni che, per 
                      la prima sfiorano il cinema, per il secondo la filosofia 
                      e il metaromanzo. Con più cautela, ma con grande 
                      fiducia, si può poi guardare in direzione dei poeti. 
                      Mai come in questi anni il numero delle nuove voci e la 
                      loro diversità sono stati tanto rassicuranti. Mentre 
                      si attende da Casagrande la pubblicazione di un'opera di 
                      Massimo Daviddi, le due sillogi recentemente pubblicate 
                      (Bianconi e Monopoli) confermano alcune linee di forza e 
                      alcune tendenze della giovane poesia svizzero italiana. 
                      Se il definirle troppo chiaramente può forzarci la 
                      mano nella ricerca d'incapsulamenti definitori, ci sembra 
                      non di meno interessante ammettere che le affinità 
                      formano un vero tessuto, una zona di crescita poetica coerente. 
                      E sarebbe peccato non prestarvi attenzione. 
                      Davide Monopoli, per cominciare, pubblica questo a titolo 
                      provvisorio sotto l'insegna alla chiara fonte 
                      del pittore ticinese Mauro Valsangiacomo. Dagli stessi torchi 
                      era uscito più o meno un anno fa uno dei rari frutti 
                      del raffinato e pluriennale artigianato poetico di Aurelio 
                      Buletti, "poesia elegantissima, a volte 'dotta' 
                      (o ironicamente tale) esercitata su una materia umile e 
                      quotidiana (
)" (Mengaldo). E nella stessa 
                      direzione di levità, si aggiunga, da qualche anno 
                      muove un altro dei giovani poeti ticinesi, figlio del precedente, 
                      Elia Buletti, che ha affidato in modo particolare i suoi 
                      testi a letture-performances con un gruppi musicali, in 
                      un gioco sottile di travaso tra parola detta e parola cantata 
                      (che lascia forse qualche dubbio sulla reale permanenza 
                      - ma non è un giudizio di valore - della parola scritta). 
                      Vive a Bologna, poi, ma è legato alla cultura ticinese 
                      anche per le sue collaborazioni in ambito teatrale (per 
                      la compagnia luganese del Teatro d'Emergenza), Lorenzo Buccella. 
                      E può anch'egli iscriversi in questa movenza, forse 
                      con più decisi addentellati con l'avanguardia italiana 
                      e con le esperienze di scrittura espressiva (e parlata) 
                      di poeti appena un poco più anziani di lui, come 
                      Rosaria Lo Russo o Gabriele Frasca. 
                      Anche Monopoli "guarda alla scrittura come una festa" 
                      (lo dice la noticina biografica della sua plaquette) 
                      e potrebbe unirsi in un gruppo alquanto compatto con i giovani 
                      compagni, sotto il segno della bella definizione di Merleau-Ponty: 
                      "l'écrivain travaille à l'envers: 
                      il n'a affaire qu'au langage et c'est ainsi que soudain 
                      il se trouve environné de sens". Si potrebbe 
                      anzi dire che la riflessione metalinguistica sia tra i temi 
                      dominanti della sua poesia, nell'attenzione spasmodicamente 
                      tesa al "rumore del testo nel suo farsi", 
                      dove la "pagina bianca era il campo di battaglia" 
                      (e citiamo dalla prima e dall'ultima poesia della raccolta). 
                      Se si avvertono in questi versi sapientemente cesellati 
                      (sempre "da dirsi") l'influsso di poeti 
                      d'avanguardia come Sanguineti (in particolare nei suoi lati 
                      più bio-ironici, come in Postkarten), è 
                      fors'anche perché questa poesia ha la tendenza a 
                      nascondersi dietro un accenno di gozzanismo: non tanto nelle 
                      atmosfere, che sono tutt'altro che crepuscolari e nostalgiche, 
                      quanto in una volontà un poco esibizionista (ed è 
                      un paradosso) di vergognarsi "di essere un poeta". 
                      Vale a dire, ed in parole un po' corrive, di lanciare il 
                      sasso e di nascondere la mano, di tendere il verso e minimizzare 
                      l'io lirico. Ma sarebbe un far i conti senza l'oste, perché 
                      - nonostante qualche vezzo giocoso di troppo (le parentesi 
                      godardeggianti: "rin(n)tocca", "(e-/in-/pro-)segue"), 
                      là dove Monopoli trova il vero punto d'appoggio che 
                      gli evita l'ozio degli sfarfallamenti, è in una decisiva 
                      presa in considerazione della "carnalità 
                      del verbo, / il desiderio che la parola si faccia infine 
                      carne", fino all'ammissione di una necessità 
                      della poesia come risposta precisa a un'angoscia esistenziale 
                      (per ora, ma si dica per ora, giovanilmente autobiografica): 
                      "scrivo per vivere, non per altro - e soprattutto 
                      per ricordarmi / che sono vivo". Affermazione che 
                      non può non ricordarci una celebre "spiegazione" 
                      dell'atto creativo che dobbiamo a Didier Anzieu: "apporter 
                      une cohérence et donc un soilagement au besoin de 
                      cohérence que nous avons". In estrema sintesi 
                      una resistenza alla dis-identificazione: "(
) 
                      fino a che anche la carta canti, e la vita passi, / poter 
                      provare a dare vita, a dare voce, poter / provare il mio 
                      ritmo, la mia bocca, la mia / voce (
) sospendere quel 
                      / tempo in sospeso, contare quel che pende, che pesa, il 
                      / resto mancia, se parte resta in lancia, quel che / resta, 
                      e quel che passa - il resto, alla sabbia": sono 
                      versi - con un'eco lontana, ma come in levare, di Beckett 
                      - di questo libro del Monopoli. Se allora una sezione della 
                      raccolta s'intitola minimalia, non è certo 
                      perché il giovane poeta voglia scancellarsi, quanto 
                      piuttosto perché sembra alla ricerca di una voce 
                      le cui trasparenze sono ricercate come un sorso d'acqua, 
                      per calmare una sete profonda, inestinguibile, quella che 
                      gli dice "che la vita / era indissolubilmente legata 
                      all'espressione", e che sembra indicargli una precisa 
                      responsabilità del dire: "far sgorgare la 
                      vita attraverso la / scrittura del mondo, attraverso la 
                      sua voce" (il titolo, nonostante il vezzo parentetico, 
                      è eloquente: "(auto)(bio)(grafia)"). 
                      Il che dà all'apparente leggerezza del dettato di 
                      Monopoli tutt'altra struttura, tutt'altra tenuta. 
                      Uguale tensione irrisolta, ma fruttuosa, percorre la prima 
                      prova poetica di Vanni Bianconi (1977), che trova posto 
                      nell'Ottavo quaderno di poesia italiana diretto da 
                      Franco Buffoni, sede prestigiosa se si pensa che alcuni 
                      dei più importanti nuovi talenti della poesia italiana 
                      hanno trovato nascita in questa fucina (la lista è 
                      lunga ma si potrebbero citare perlomeno Del Bianco, Santi, 
                      Nove o Elisa Biagini). Sede eclettica per scelta - in quest'ultima 
                      livraison trovan posto le forti carnalità di 
                      Fabrizio Bajec o la lieve serenità di Annalisa Manstretta 
                      - e in cui ogni silloge presentata è coerente come 
                      un piccolo libro, e si fregia di un'introduzione di un poeta 
                      "laureato". Non a caso Bianconi è introdotto 
                      da Fabio Pusterla: pur in piena libertà di movenze, 
                      non è sbagliato cogliervi una sorta di continuità, 
                      così come non si potrebbe negare il benefico influsso 
                      che Pusterla ha avuto su un'altra giovane voce, quella di 
                      Tomaso Bontognali (di cui il Cultur@ctif ha pubblicato alcuni 
                      inediti lo scorso gennaio).  
                      Di più: Pusterla è senz'altro il punto d'abbrivio 
                      ideale di tutta questa giovane generazione: da un lato per 
                      la sua disponibilità personale e personalizzata al 
                      dialogo. D'altro canto, perché si tratta di un poeta 
                      che rappresenta una singolare e riuscita fusione: in lui 
                      convivono, dialogano, un dettato montaliano di grande raffinatezza 
                      (e scelta tradizione), temperato da una modestia metafisica 
                      chiaramente ascrivibile alla linea lombarda, insieme all'attenzione 
                      alle più forti esperienze della poesia europea, senza 
                      particolari pregiudiziali tematiche o stilistiche. Sicché 
                      la sua poesia si può muovere in una prospettiva al 
                      contempo interiorizzata (di profondità biografiche 
                      o geologiche), e con la forte volontà di partecipazione 
                      sociale (con toni illuministi d'ascendenza pariniana, oppure 
                      più caldamente corali sulla linea manzoniana). Come 
                      si vede: una poesia della responsabilità, ma anche 
                      della libertà, con l'unico dovere dell'onestà, 
                      unica cosa che "resta da fare ai poeti", 
                      secondo Saba. 
                      Se Bontognali prosegue allora il discorso pusterliano nella 
                      direzione di uno scavo carsico e nelle immagini geologiche, 
                      Bianconi tenta invece una poesia che si vuole prensile della 
                      realtà nel suo affastellarsi, nel suo interrogarci, 
                      in una sorta di "monologo interiore, (
) un 
                      discorso mentale che procede per salti, a mezzavoce" 
                      (Pusterla). Come annota il prefatore, la disposizione cronologica 
                      delle poesie mette ancor più in risalto il cammino 
                      dell'io lirico dal dentro al fuori, l'assunzione di responsabilità 
                      non soltanto nei confronti del magma interiore ("Copre 
                      parti del mondo / e tocca l'acqua, / ognuno"), 
                      come un Orfeo che non può e non deve più voltarsi: 
                      "Però leggendomi indietro non troverei queste 
                      / ma parole quasi più politiche / che quasi recriminano 
                      di mancare, adesso". Fino al punto in cui la poesia 
                      tracima nella terza persona del singolare e diventa sguardo, 
                      compassione. Sono forse le "Tre poesie di primavera" 
                      il punto culminante di questa ricerca, che tende poi un 
                      poco a sbriciolarsi, a disarticolarsi e a stemperarsi in 
                      un linguaggio credulmente mimetico nell'ultima lunga poesia 
                      della raccolta ("La Svizzera è un paese rosso 
                      come / è la speranza, rosso come è / la fottuta 
                      speranza, sì, speranza").  
                      Stavamo concludendo la stesura di quest'articolo, quando 
                      la posta ci ha riservato un'altra sorpresa: il bel blu oltremare 
                      del libretto di Oliver Scharpf. Uppercuts: termine 
                      preso a prestito dal linguaggio della boxe (un "colpo 
                      al mento sferrato dal basso verso l'alto" c'informa 
                      il De Mauro), che sta bene ad indicare un'altra prospettiva 
                      letteraria rapida, guizzante, quasi in risposta alla celebre 
                      polemica innescata alcuni anni fa da Alessandro Baricco, 
                      sulla relativa lentezza della letteratura rispetto al cinema. 
                      E si entra subito in un'atmosfera cinematografica - "tra 
                      alberghi da due lire", "un cinema porno 
                      abbandonato" e la "stazione termini" 
                      - in questa prima raccolta di Scharpf, pubblicata dalle 
                      faentine edizioni Moby Dick (in una collana, Le nuvole, 
                      che ha già raccolto le poesie tradotte di Sylviane 
                      Dupuis, ed anche gioielli, come i versi straordinari Evelyne 
                      Schlag, tradotti da Riccarda Novello).  
                      Bref, Scharpf è un altro figlio del suo tempo. E 
                      lui pure nella rapidità non manca di ambizioni, come 
                      ci svela la nota liminare: "Paul Valery da qualche 
                      parte scrisse: è Dio che ha soffiato il primo 
                      verso. Ecco, l'uppercut è un po' il tentativo 
                      di riacquistare questo soffio". Numerate progressivamente, 
                      le sue poesie, dalla voluta brevità, sono perciò 
                      lampi di luce su un tempo assolutamente contemporaneo, su 
                      luoghi sempre indicati con precisione. Esse tentano, proprio 
                      nel loro baluginare istantaneo, di dar pregnanza e fulgore 
                      al quotidiano. Un po' come quei barboni, in Piazza De Ferrari 
                      a Genova, che sono "come bozzoli, / in attesa di 
                      un indizio di farfalla". Non manca neppure - come 
                      in Monopoli - una scoperta tensione auto-riflessiva, spinta 
                      verso la dichiarazione di poetica: "basta con i 
                      libri di poesia / se proprio si vuole / allora deve essere 
                      qualcosa che si avvicini / a un nome scritto sull'inguine 
                      di una spiaggia / un attimo prima che una lingua di spuma 
                      / lo lecchi via". Nella loro torsione linguistica, 
                      nel loro cipiglio sardonico, il più delle volte questi 
                      versi incidono il reale con giustezza, traendone un succo 
                      per ora asprigno, forse un giorno ben più aspro e 
                      disincantato. Anche se permane il rischio di una leggera 
                      esibizione (nelle scelte linguistiche dal basso: il match 
                      Bach/Birra non ricorda forse ancora quel Nietzsche/Camicie 
                      del buon Gozzano?), rischio che accomuna i tre poeti qui 
                      considerati. 
                      Ma è pur sempre il rischio di una poesia in ricerca, 
                      che al di là delle scelte formali, lancia le sue 
                      parole come un amo, come una sorta di sonda, il più 
                      delle volte tra i rovi intricati di un sentiero inesplorato. 
                      E c'è in questo qualcosa di estremamente sano, di 
                      arrischiato, che fa passare in secondo piano una certa incertezza 
                      dello stile. Quel che traspare dalla poesia di Bianconi 
                      e Scharpf, come da quella - già più solida 
                      - di Monopoli, è la voglia di provare anche il gusto 
                      del verso sbagliato, anche una direzione che magari verrà 
                      abbandonata. E di porre con ciò il lavorio poetico 
                      sulla carreggiata dell'esplorazione dei possibili, nella 
                      ricerca di una coerenza non già bell'e fatta, ma 
                      testata sulle parole, sulla pagina, poesia dopo poesia. 
                      In questo senso, la giovane poesia della Svizzera italiana 
                      promette di riservarci ancora sorprese e stimoli. 
                    Pierre Lepori 
                      © Le 
                      Cultur@ctif Suisse (2004) 
                    
                      
                   | 
                 
               
             | 
           
           
            |   Antologia 
              della durata (Giovanni Orelli) | 
           
           
             
              
                 
                    
                    
                       
                        |  
                          
                         | 
                         
                          
                             
                              | Bisogna essere 
                                grati a Davide Monopoli per averci affettuosamente 
                                fatti conoscere i 6 fascicolini, scheiwilleriani, 
                                stampati impeccabilmente da Vals (= Mauro Valsangiacomo, 
                                " alla chiara fonte " , Viganello, 2004, 
                                in un bel cofanetto raccolti, con questo titolo 
                                collettivo: Antologia della durata. E Monopoli, 
                                che sa il fatto suo, vi premette sua nota, per 
                                sé e per i sodàli, intorno al " 
                                a che servono i poeti? " . Domanda cui, una 
                                volta di più, sarò alla 1003, conviene 
                                rispondere come Jules Romains a un suo titolo: 
                                Serpente: " troppo lungo ". | 
                             
                           
                         | 
                       
                     
                    Ma rimprovero subito a curatore ( 
                      Monopoli) e editore ( Vals) il non aver fornito una riga 
                      che sia una riga di informazione, in un angolino qualunque, 
                      su chi sono questi giovanissimi campioni della giovane poesia 
                      " ticinese " . 
                      La quale giovane poesia, pur con un vizietto di fondo, perdonabilissimo, 
                      di succhiarsi forse un po' troppo, il proprio signor Pollice, 
                      resta pur sempre un numero su cui puntare, sulla ruota " 
                      Svizzera italiana " : con fiducia puntare. 
                      Allora: chi è Alessandro Tedesco: da dove viene, 
                      " chi fur li maggiori tui " ( Inferno X, 41), 
                      che mastica, che fa? lui che è pure capace di dare 
                      un ritratto non allegro di una certa gioventù di 
                      oggi, tanto di Quartino quanto di Konolfingen o Abbiategrasso, 
                      in un epigramma dal titolo ( epigrammatico pure lui, come 
                      la causa) Solo: Solo nel mio assenteismo, godo di una certa 
                      popolarità, di un certo folclore intrinseco. Sarei 
                      proprio curioso di saperne, anagraficamente, qualcosina 
                      di più. Alessandro Tedesco non è ( ancora) 
                      Schönberg di cui un fan voleva sapere se e come si 
                      faceva il nodo della cravatta, ma... Allora: chi è, 
                      che fa? ha già fatto la prima comunione, il Flavio 
                      Moro che ora è più che apprendista- stregone 
                      nello spiazzare il lettore con suoi collages tira- schiaffi- 
                      applausi: vedere, per credere, il suo collage " politico 
                      " , il " dionisiaco " : non è possibile 
                      qui per elementari ragioni di spazio ( spazio è denaro) 
                      trascriverli, e me ne spiace. 
                      Allora: chi è Daniele Bernardi, uno che, dice di 
                      lui, scava dentro " l'anemia falciforme " che 
                      " forma " le / falci per falciare le forme " 
                      . È un punto di vista che può parere fatto 
                      su con giuochi di parole che i contadini antichi ( giovani, 
                      nella natura, direbbe Leopardi) in loro concretezza approverebbero. 
                      Perché l'autore vuol dire, credo, così a me 
                      mi pare, in sostanza: scrivi col sangue, non con la falce. 
                       
                      E chi è l'altro Bernardi, con nome ancora più 
                      biblico, Giona: quanti anni ha, li avrà fatti i primi 
                      nove venerdì del mese? ha un conto in banca ( anche 
                      se il Joyce, Giacomo, a cento anni giusti dal suo Bloom's 
                      Day, mi manda al diavolo, e giustamente, con queste investigazioni 
                      su certo privato degli auctores: e beveva? e aveva delle 
                      - impagabile il partitivo - delle amanti?): il quale Giona 
                      Bernardi, in una sorta di autoritratto ( titolo Intorno 
                      all'Urlo) osa scrivere: Se di Munch si ricorderà 
                      l'urlo di me mi posso dire che si fregheranno lo sbadiglio. 
                      Lo sbadiglio o " dello " sbadiglio. Questo NON 
                      è il problema.  
                      E chi è Elia Buletti ( il padre, Aurelio, da Omero 
                      prendendo, nella sua sempre generosa umiltà, direbbe 
                      " non fu sì forte il padre " ) il quale 
                      Elia Buletti per tanti di noi ha scritto questo A un certo 
                      punto della notte: a un certo punto della notte ero in un 
                      angolo e non riuscivo a tossire mi sono messo a guardare 
                      e nessuno ha fatto caso io mi sentivo uno di quegli angeli 
                      che nei film tedeschi tristi hanno le crisi di coscienza 
                      e vanno in giro a bere.  
                      Ultimo, ma non ultimo, è David Monopoli. È 
                      anzi il primo. È lui che ha scritto una introduzione 
                      in cui parla per sé e per i cinque sodàli. 
                      Come è invidiabile la loro solidarietà: " 
                      Come antichi cinesi, seguiamo linee di forza, meridiani, 
                      mutamenti: piedi saldi e naso all'insù, gli occhi 
                      aperti e le orecchie tese, ci teniamo al corrente. " 
                      Cinesi, non ticinesi. Al corrente, come " nuovi barbari 
                      " , anche come réceptionnistes e da questa metafora 
                      ospital- ticinese conviene allegramente prendere il la per 
                      un elogio agli arditi sei e al loro altruista stampatore, 
                      Mauro Valsangiacomo. Intanto che lui, il David Monopoli, 
                      per conto suo, va di posto in posto, e sempre coi libri 
                      sotto braccio ma in realtà, con l'apprendista nel 
                      sole, e la voglia di acchiappare qualche nube, o una rondine 
                      del cielo. 
                     
                    Giovanni Orelli 
                        
                       
                      23 giugno 2004 
                    
                       
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            |   In 
              barba ai vecchi gufi (Gilberto Isella) | 
           
           
             
              
                 
                  |  
                      
                      Una collana con giovani 
                      poeti di valore 
                      Da una " chiara fonte" in barba a vecchi gufi 
                    Leggiamo sulla pagina culturale di 
                      un giornale italiano: " È una generazione [ 
                      s'intenda quella dei poeti Cucchi e Zeichen, autori tra 
                      i cinquanta e i sessant'anni, n. d. r.] che consente già 
                      qualche attendibile consuntivo, e la cui corposa esistenza, 
                      ribadita da costanti nuove uscite, contrasta drammaticamente 
                      col quasi nulla che la segue " . Il giornale in causa 
                      non è un improbabile " Gazzettino di Pizzoferrao" 
                      ma l'autorevole Repubblica ( in data 12 maggio) né 
                      chi parla è un pincopallino, bensì quello 
                      Stefano Giovanardi coautore ( con Cucchi) della discutibile 
                      e peraltro a sua volta autorevole " Antologia poetica 
                      del secondo novecento" entrata nel pantheon dei Meridiani. 
                      Sono affermazioni che cadono come angurie di ferro e che 
                      fanno venir voglia di chiudere la partita. Chi sarebbe infatti 
                      così masochista da perder tempo col presunto drammatico 
                      " quasi nulla " poetico " che segue " 
                      tale generazione? Sebbene " pensate" del genere 
                      si commentino da sole, non escludo di tornare sull'argomento 
                      dopo gli ardori estivi. Oggi mi limito, tanto per scavare 
                      una nicchia dentro il " quasi " di quel disperato 
                      nulla, a spendere ancora qualche parola in merito alla collana 
                      poetica " alla chiara fonte", diretta con entusiasmo 
                      e competenza dall'artista Mauro Valsangiacomo. Si tratta 
                      di un'iniziativa editoriale che, in barba ai profeti di 
                      sventura, sta crescendo in modo più che dignitoso 
                      e meriterebbe di farsi conoscere oltre frontiera... 
                      Già ho riferito sulla raccolta di Tommaso Soldini 
                      ( cfr. GdP del 31 marzo 2004). Ora mi giungono tra le mani 
                      nuovi libretti. Rispettando l'anagrafe, comincerò 
                      da Aurelio Buletti, autore di casa noto anche per la sua 
                      accattivante prosa narrativa. Minimalista, a partire dal 
                      formato, dal numero di pagine ( 10) e dallo stesso titolo 
                      ( Temi) può sembrare questa sua suite. In 
                      realtà Buletti ci parla del tempo - quindi uno dei 
                      massimi temi dell'umanità - e lo fa rivisitando con 
                      ironia postmoderna e lirica levità una tra le figure 
                      più antiche e nobili dell'arsenale retorico, la personificazione: 
                      " Avviato il mattino,/ il tempo si disperde nei ricordi,/ 
                      non ragiona, rammemora,/ lo coglie impreparato il mezzogiorno,/ 
                      lo invita alla sua mensa,/ ma glielo fa pesare " . 
                      Il signor tempo è una sorta di capofamiglia sornionamente 
                      consapevole della sua decaduta nobiltà, e che ci 
                      appare in preda all'esaurimento, forse perché paventa 
                      la propria usura dentro l'immaginario umano.  
                      A generazioni assai più giovani appartengono invece 
                      Davide Monopoli e Agostino Colombo. Del primo avevo apprezzato 
                      lo sperimentale Per altri versi ( sempre nella medesima 
                      collana e in cofanetto con altri coetanei), per l'infinila 
                      determinazione a uscire dai sentieri battuti. Ora, con 
                      A titolo provvisorio l'autore sviluppa la sua propensione 
                      per un discorso poetico autoriflessivo, che si osserva e 
                      commenta nell'atto del suo costituirsi e significarsi. Il 
                      dramma, per Monopoli, è l'assenza, il " baratro 
                      e vuoto che si cerca invano di colmare a suon di parole 
                      " , una condizione dell'essere e del dire che trova 
                      qua e là precario risarcimento nel trascrivere tracce 
                      di vissuto, " piccole storie" quotidiane. Di altra 
                      natura è la poesia di Colombo ( Ci fosse un'altra 
                      vita), che mostra di riporre fiducia in una discorsività 
                      narrativa di primo grado e improntata al vissuto, ai ricordi 
                      di famiglia. È per questo che qui prevalgono verso 
                      lungo e queldizione colloquiale. Non fraintendiamo, però, 
                      poiché il registro " basso" ci può 
                      riservare impennate come questa: " ma in fondo sono 
                      rimasto solo/ a guardare to che va giù per le rive 
                      lunghissime/ di questo fiume a cui la bestia s'abbevera 
                      ma che a me fa paura " . 
                    Gilberto Isella 
                        
                      26 giugno 2004 
                     
                       
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                      Dernière mise à jour le 29.06.04 
                      
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