Giovane poesia in Svizzera
Italiana
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Davide
Monopoli e Vanni Bianconi |
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Davide
Monopoli, 1977, nato a Lugano, ha curato
per i tipi della chiara fonte la breve
raccolta si opera nella sola durata - sei
poeti, alla quale ha fatto seguito, in cofanetto,
l'antologia della durata. a titolo provvisorio
è la sua prima opera solitaria.
Davide Monopoli, a titolo
provvisorio, Viganello, alla chiara fonte, 2004.
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Vanni
Bianconi è nato a Locarno nel 1977. Dopo gli
studi liceali ha soggiornato a Città del Messico
e a Londra, dove ha frequentato corsi di letteratura e scrittura
poetica al Birbeck College. Si è laureato all'università
statale di Milano con una tesi sulla poetessa irlandese
Eiléan Ní Chuilléanáin. Lavora
presso la casa editrice Casagrande di Bellinzona. Ha tradotto
in italiano testi poetici di Michael Donaghy e Eiléan
Ní Chuilléanáin.
Vanni Bianconi, Faura dei morti, in
Poesia contemporanea. Ottavo quaderno italiano, a cura di
Franco Buffoni, Milano, Marcos y Marcos, 2004,
ISBN 88-7168-393-5.
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Oliver
Scharpf è nato a Lugano nel 1977. Nel
1997 si è aggiudicato il Premio "Montale"
per le poesie inedite, pubblicate l'anno successivo
da Scheiwiller nell'antologia del Premio. Dopo aver
vissuto a Roma e Ginevra, si è trasferito a
Milano, dove frequenta il corso di drammaturgia della
Scuola d'Arte Drammatica "Paolo Grassi".
Oliver Scharpf, Uppercuts,
Faenza, Moby Dick, 2004, ISBN88.8178.285.5.
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Après une longue période
où la littérature tessinoise ne semblait trouver
de relève que sporadiquement, avec quelques auteurs
isolés, c'est une nouvelle génération
qui semble se lever: à côté d'auteurs
comme Ennio Maccagno, Claudia Quadri ou Mattia Cavadini,
de nouvelles voix poétiques émergent. Trois
auteurs nés en 1977 publient aujourd'hui des textes
prometteurs, remarqués par des lecteurs aussi avertis
que Giovanni Orelli ou Gilberto Isella, et du côté
du Culturactif par Pierre Lepori. Davide Monopoli et Oliver
Scharpf écrivent des vers nourris par la langue parlée.
Vanni Bianconi poursuit de son côté le mouvement
de poésie réaliste et éthique italienne,
dont Fabio Pusterla est au Tessin le plus évident
modèle.
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A
titolo provvisorio (Davide Monopoli) |
non sono che piccole storie, quelle
che racconto,
giorno dopo giorno, piccole cose del quotidiano,
costruite di getto. preda di questo ritmo strano,
dalla fisiologia stravolta, come sospeso in una
zona senza tracce - eventi minori, perloppiù, o
mancanti - spesso soltanto frammenti convulsi,
pezzi diversi di un mosaico, segmenti di una
lode che si fa facendosi, senza mai raggiungere
un disegno d'insieme, insomma. non si tratta
certo di abbassare il tono, è che i momenti mi
attraversano, mi assorbono in questo modo -
a titolo provvisorio, per così dire - e qualora
si volesse dare un titolo a ciò che titolo non ha.
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Faura
dei morti (Vanni Bianconi) |
Tre poesie di primavera (I)
Andati indietro, fino alle rotaie,
si arriva alla caserma,
linee di ruggine scompigliate dal vento trattengono
l'ordine, lunghe barre di metallo per costruire
proprio quello che non si è costruito oppure altro.
E non si rompono. Rompevano le linee
i militari
dopo la parata, scendevano dalle autovetture
i viaggiatori, l'attesa per il valico del Gottardo
li portava a una Stube, a nord o sud, e si rideva anche.
Si scioglie la neve, ma il verde qui
all'ombra
non affretta la vita. Un catino è stato messo
al riparo dal poco sole, rimane chiusa nel ghiaccio
la nave giocattolo, un bambino che gioca al disastro.
O è un caso e quest'anno non
è salito alla valle
acre, casta. Le promesse di morte a medio termine
da vicino non si ascoltano, ma si è ricchi di memorie
degli ultimi anni dell'anziano che ripete,
il suo grido: "per favore",
rimane, è già rimasto.
E i suoi capelli grigi, corti, lisciati, imposti.
Impostisi sulla permanente, sulle tinture con cui
voleva perpetuare i colori suoi forse per sempre.
La morte vicina, smettiamo di affermare
patologicamente
la vita, echeggiamo la morte, fino a farle il verso -
si riesce presto a negarle entrambe. "Per favore",
grida,
per favore non dimenticare la mia vita solo perché
sto morendo.
Anche a se stessa, e patologicamente
si stringe la vita
e la cancella, giorno dopo giorno. Ma a volte una parola,
lascito, e ci tiene insieme, scoperti, in quel limbo misto
-
il cervo ha già lasciato le sue tracce anche sul
verde riemerso.
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Uppercuts
(Oliver Scharpf) |
N.5
piove
in via beata vergine del carmelo un mozzicone
dimora nel cuore dei cessi del cinema excelsior
mentre come un sedicenne
sento ancora sulle labbra
dei suoi baci
il polline
N. 39
mia madre mi chiama per vedere il pettirosso
dice che quando arriva viene sempre a nevicare;
eh sì, si macchiò il petto con il sangue di
cristo
cercando di levare i chiodi con il becco
e adesso si occupa di annunciare la neve
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Giovane
poesia in Svizzera Italiana: Monopoli, Bianconi e Scharpf (Pierre
Lepori) |
Una Svizzera italiana che fatica
a trasformarsi culturalmente sta dando segnali di rinnovo
nella scrittura, il che depone a favore di un mutamento
che viene dal profondo. Cresce il numero di nuovi scrittori,
ed anche gli orizzonti in cui la loro produzione si iscrive,
la mobilità intellettuale (quando non spaziale),
la precisione e la tenuta delle loro scelte estetiche. Nella
narrativa, dopo l'impennata stilistica verificatasi con
l'arrivo del neo-gaddiano (ma non solo giocoso) Maccagno
e del manganelliano Cavadini, due voci importanti, quelle
di Claudia Quadri e dell'esordiente (a scoppio ritardato)
Giuseppe Curonici vagliano nuove vie in direzioni che, per
la prima sfiorano il cinema, per il secondo la filosofia
e il metaromanzo. Con più cautela, ma con grande
fiducia, si può poi guardare in direzione dei poeti.
Mai come in questi anni il numero delle nuove voci e la
loro diversità sono stati tanto rassicuranti. Mentre
si attende da Casagrande la pubblicazione di un'opera di
Massimo Daviddi, le due sillogi recentemente pubblicate
(Bianconi e Monopoli) confermano alcune linee di forza e
alcune tendenze della giovane poesia svizzero italiana.
Se il definirle troppo chiaramente può forzarci la
mano nella ricerca d'incapsulamenti definitori, ci sembra
non di meno interessante ammettere che le affinità
formano un vero tessuto, una zona di crescita poetica coerente.
E sarebbe peccato non prestarvi attenzione.
Davide Monopoli, per cominciare, pubblica questo a titolo
provvisorio sotto l'insegna alla chiara fonte
del pittore ticinese Mauro Valsangiacomo. Dagli stessi torchi
era uscito più o meno un anno fa uno dei rari frutti
del raffinato e pluriennale artigianato poetico di Aurelio
Buletti, "poesia elegantissima, a volte 'dotta'
(o ironicamente tale) esercitata su una materia umile e
quotidiana (
)" (Mengaldo). E nella stessa
direzione di levità, si aggiunga, da qualche anno
muove un altro dei giovani poeti ticinesi, figlio del precedente,
Elia Buletti, che ha affidato in modo particolare i suoi
testi a letture-performances con un gruppi musicali, in
un gioco sottile di travaso tra parola detta e parola cantata
(che lascia forse qualche dubbio sulla reale permanenza
- ma non è un giudizio di valore - della parola scritta).
Vive a Bologna, poi, ma è legato alla cultura ticinese
anche per le sue collaborazioni in ambito teatrale (per
la compagnia luganese del Teatro d'Emergenza), Lorenzo Buccella.
E può anch'egli iscriversi in questa movenza, forse
con più decisi addentellati con l'avanguardia italiana
e con le esperienze di scrittura espressiva (e parlata)
di poeti appena un poco più anziani di lui, come
Rosaria Lo Russo o Gabriele Frasca.
Anche Monopoli "guarda alla scrittura come una festa"
(lo dice la noticina biografica della sua plaquette)
e potrebbe unirsi in un gruppo alquanto compatto con i giovani
compagni, sotto il segno della bella definizione di Merleau-Ponty:
"l'écrivain travaille à l'envers:
il n'a affaire qu'au langage et c'est ainsi que soudain
il se trouve environné de sens". Si potrebbe
anzi dire che la riflessione metalinguistica sia tra i temi
dominanti della sua poesia, nell'attenzione spasmodicamente
tesa al "rumore del testo nel suo farsi",
dove la "pagina bianca era il campo di battaglia"
(e citiamo dalla prima e dall'ultima poesia della raccolta).
Se si avvertono in questi versi sapientemente cesellati
(sempre "da dirsi") l'influsso di poeti
d'avanguardia come Sanguineti (in particolare nei suoi lati
più bio-ironici, come in Postkarten), è
fors'anche perché questa poesia ha la tendenza a
nascondersi dietro un accenno di gozzanismo: non tanto nelle
atmosfere, che sono tutt'altro che crepuscolari e nostalgiche,
quanto in una volontà un poco esibizionista (ed è
un paradosso) di vergognarsi "di essere un poeta".
Vale a dire, ed in parole un po' corrive, di lanciare il
sasso e di nascondere la mano, di tendere il verso e minimizzare
l'io lirico. Ma sarebbe un far i conti senza l'oste, perché
- nonostante qualche vezzo giocoso di troppo (le parentesi
godardeggianti: "rin(n)tocca", "(e-/in-/pro-)segue"),
là dove Monopoli trova il vero punto d'appoggio che
gli evita l'ozio degli sfarfallamenti, è in una decisiva
presa in considerazione della "carnalità
del verbo, / il desiderio che la parola si faccia infine
carne", fino all'ammissione di una necessità
della poesia come risposta precisa a un'angoscia esistenziale
(per ora, ma si dica per ora, giovanilmente autobiografica):
"scrivo per vivere, non per altro - e soprattutto
per ricordarmi / che sono vivo". Affermazione che
non può non ricordarci una celebre "spiegazione"
dell'atto creativo che dobbiamo a Didier Anzieu: "apporter
une cohérence et donc un soilagement au besoin de
cohérence que nous avons". In estrema sintesi
una resistenza alla dis-identificazione: "(
)
fino a che anche la carta canti, e la vita passi, / poter
provare a dare vita, a dare voce, poter / provare il mio
ritmo, la mia bocca, la mia / voce (
) sospendere quel
/ tempo in sospeso, contare quel che pende, che pesa, il
/ resto mancia, se parte resta in lancia, quel che / resta,
e quel che passa - il resto, alla sabbia": sono
versi - con un'eco lontana, ma come in levare, di Beckett
- di questo libro del Monopoli. Se allora una sezione della
raccolta s'intitola minimalia, non è certo
perché il giovane poeta voglia scancellarsi, quanto
piuttosto perché sembra alla ricerca di una voce
le cui trasparenze sono ricercate come un sorso d'acqua,
per calmare una sete profonda, inestinguibile, quella che
gli dice "che la vita / era indissolubilmente legata
all'espressione", e che sembra indicargli una precisa
responsabilità del dire: "far sgorgare la
vita attraverso la / scrittura del mondo, attraverso la
sua voce" (il titolo, nonostante il vezzo parentetico,
è eloquente: "(auto)(bio)(grafia)").
Il che dà all'apparente leggerezza del dettato di
Monopoli tutt'altra struttura, tutt'altra tenuta.
Uguale tensione irrisolta, ma fruttuosa, percorre la prima
prova poetica di Vanni Bianconi (1977), che trova posto
nell'Ottavo quaderno di poesia italiana diretto da
Franco Buffoni, sede prestigiosa se si pensa che alcuni
dei più importanti nuovi talenti della poesia italiana
hanno trovato nascita in questa fucina (la lista è
lunga ma si potrebbero citare perlomeno Del Bianco, Santi,
Nove o Elisa Biagini). Sede eclettica per scelta - in quest'ultima
livraison trovan posto le forti carnalità di
Fabrizio Bajec o la lieve serenità di Annalisa Manstretta
- e in cui ogni silloge presentata è coerente come
un piccolo libro, e si fregia di un'introduzione di un poeta
"laureato". Non a caso Bianconi è introdotto
da Fabio Pusterla: pur in piena libertà di movenze,
non è sbagliato cogliervi una sorta di continuità,
così come non si potrebbe negare il benefico influsso
che Pusterla ha avuto su un'altra giovane voce, quella di
Tomaso Bontognali (di cui il Cultur@ctif ha pubblicato alcuni
inediti lo scorso gennaio).
Di più: Pusterla è senz'altro il punto d'abbrivio
ideale di tutta questa giovane generazione: da un lato per
la sua disponibilità personale e personalizzata al
dialogo. D'altro canto, perché si tratta di un poeta
che rappresenta una singolare e riuscita fusione: in lui
convivono, dialogano, un dettato montaliano di grande raffinatezza
(e scelta tradizione), temperato da una modestia metafisica
chiaramente ascrivibile alla linea lombarda, insieme all'attenzione
alle più forti esperienze della poesia europea, senza
particolari pregiudiziali tematiche o stilistiche. Sicché
la sua poesia si può muovere in una prospettiva al
contempo interiorizzata (di profondità biografiche
o geologiche), e con la forte volontà di partecipazione
sociale (con toni illuministi d'ascendenza pariniana, oppure
più caldamente corali sulla linea manzoniana). Come
si vede: una poesia della responsabilità, ma anche
della libertà, con l'unico dovere dell'onestà,
unica cosa che "resta da fare ai poeti",
secondo Saba.
Se Bontognali prosegue allora il discorso pusterliano nella
direzione di uno scavo carsico e nelle immagini geologiche,
Bianconi tenta invece una poesia che si vuole prensile della
realtà nel suo affastellarsi, nel suo interrogarci,
in una sorta di "monologo interiore, (
) un
discorso mentale che procede per salti, a mezzavoce"
(Pusterla). Come annota il prefatore, la disposizione cronologica
delle poesie mette ancor più in risalto il cammino
dell'io lirico dal dentro al fuori, l'assunzione di responsabilità
non soltanto nei confronti del magma interiore ("Copre
parti del mondo / e tocca l'acqua, / ognuno"),
come un Orfeo che non può e non deve più voltarsi:
"Però leggendomi indietro non troverei queste
/ ma parole quasi più politiche / che quasi recriminano
di mancare, adesso". Fino al punto in cui la poesia
tracima nella terza persona del singolare e diventa sguardo,
compassione. Sono forse le "Tre poesie di primavera"
il punto culminante di questa ricerca, che tende poi un
poco a sbriciolarsi, a disarticolarsi e a stemperarsi in
un linguaggio credulmente mimetico nell'ultima lunga poesia
della raccolta ("La Svizzera è un paese rosso
come / è la speranza, rosso come è / la fottuta
speranza, sì, speranza").
Stavamo concludendo la stesura di quest'articolo, quando
la posta ci ha riservato un'altra sorpresa: il bel blu oltremare
del libretto di Oliver Scharpf. Uppercuts: termine
preso a prestito dal linguaggio della boxe (un "colpo
al mento sferrato dal basso verso l'alto" c'informa
il De Mauro), che sta bene ad indicare un'altra prospettiva
letteraria rapida, guizzante, quasi in risposta alla celebre
polemica innescata alcuni anni fa da Alessandro Baricco,
sulla relativa lentezza della letteratura rispetto al cinema.
E si entra subito in un'atmosfera cinematografica - "tra
alberghi da due lire", "un cinema porno
abbandonato" e la "stazione termini"
- in questa prima raccolta di Scharpf, pubblicata dalle
faentine edizioni Moby Dick (in una collana, Le nuvole,
che ha già raccolto le poesie tradotte di Sylviane
Dupuis, ed anche gioielli, come i versi straordinari Evelyne
Schlag, tradotti da Riccarda Novello).
Bref, Scharpf è un altro figlio del suo tempo. E
lui pure nella rapidità non manca di ambizioni, come
ci svela la nota liminare: "Paul Valery da qualche
parte scrisse: è Dio che ha soffiato il primo
verso. Ecco, l'uppercut è un po' il tentativo
di riacquistare questo soffio". Numerate progressivamente,
le sue poesie, dalla voluta brevità, sono perciò
lampi di luce su un tempo assolutamente contemporaneo, su
luoghi sempre indicati con precisione. Esse tentano, proprio
nel loro baluginare istantaneo, di dar pregnanza e fulgore
al quotidiano. Un po' come quei barboni, in Piazza De Ferrari
a Genova, che sono "come bozzoli, / in attesa di
un indizio di farfalla". Non manca neppure - come
in Monopoli - una scoperta tensione auto-riflessiva, spinta
verso la dichiarazione di poetica: "basta con i
libri di poesia / se proprio si vuole / allora deve essere
qualcosa che si avvicini / a un nome scritto sull'inguine
di una spiaggia / un attimo prima che una lingua di spuma
/ lo lecchi via". Nella loro torsione linguistica,
nel loro cipiglio sardonico, il più delle volte questi
versi incidono il reale con giustezza, traendone un succo
per ora asprigno, forse un giorno ben più aspro e
disincantato. Anche se permane il rischio di una leggera
esibizione (nelle scelte linguistiche dal basso: il match
Bach/Birra non ricorda forse ancora quel Nietzsche/Camicie
del buon Gozzano?), rischio che accomuna i tre poeti qui
considerati.
Ma è pur sempre il rischio di una poesia in ricerca,
che al di là delle scelte formali, lancia le sue
parole come un amo, come una sorta di sonda, il più
delle volte tra i rovi intricati di un sentiero inesplorato.
E c'è in questo qualcosa di estremamente sano, di
arrischiato, che fa passare in secondo piano una certa incertezza
dello stile. Quel che traspare dalla poesia di Bianconi
e Scharpf, come da quella - già più solida
- di Monopoli, è la voglia di provare anche il gusto
del verso sbagliato, anche una direzione che magari verrà
abbandonata. E di porre con ciò il lavorio poetico
sulla carreggiata dell'esplorazione dei possibili, nella
ricerca di una coerenza non già bell'e fatta, ma
testata sulle parole, sulla pagina, poesia dopo poesia.
In questo senso, la giovane poesia della Svizzera italiana
promette di riservarci ancora sorprese e stimoli.
Pierre Lepori
© Le
Cultur@ctif Suisse (2004)
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Antologia
della durata (Giovanni Orelli) |
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Bisogna essere
grati a Davide Monopoli per averci affettuosamente
fatti conoscere i 6 fascicolini, scheiwilleriani,
stampati impeccabilmente da Vals (= Mauro Valsangiacomo,
" alla chiara fonte " , Viganello, 2004,
in un bel cofanetto raccolti, con questo titolo
collettivo: Antologia della durata. E Monopoli,
che sa il fatto suo, vi premette sua nota, per
sé e per i sodàli, intorno al "
a che servono i poeti? " . Domanda cui, una
volta di più, sarò alla 1003, conviene
rispondere come Jules Romains a un suo titolo:
Serpente: " troppo lungo ". |
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Ma rimprovero subito a curatore (
Monopoli) e editore ( Vals) il non aver fornito una riga
che sia una riga di informazione, in un angolino qualunque,
su chi sono questi giovanissimi campioni della giovane poesia
" ticinese " .
La quale giovane poesia, pur con un vizietto di fondo, perdonabilissimo,
di succhiarsi forse un po' troppo, il proprio signor Pollice,
resta pur sempre un numero su cui puntare, sulla ruota "
Svizzera italiana " : con fiducia puntare.
Allora: chi è Alessandro Tedesco: da dove viene,
" chi fur li maggiori tui " ( Inferno X, 41),
che mastica, che fa? lui che è pure capace di dare
un ritratto non allegro di una certa gioventù di
oggi, tanto di Quartino quanto di Konolfingen o Abbiategrasso,
in un epigramma dal titolo ( epigrammatico pure lui, come
la causa) Solo: Solo nel mio assenteismo, godo di una certa
popolarità, di un certo folclore intrinseco. Sarei
proprio curioso di saperne, anagraficamente, qualcosina
di più. Alessandro Tedesco non è ( ancora)
Schönberg di cui un fan voleva sapere se e come si
faceva il nodo della cravatta, ma... Allora: chi è,
che fa? ha già fatto la prima comunione, il Flavio
Moro che ora è più che apprendista- stregone
nello spiazzare il lettore con suoi collages tira- schiaffi-
applausi: vedere, per credere, il suo collage " politico
" , il " dionisiaco " : non è possibile
qui per elementari ragioni di spazio ( spazio è denaro)
trascriverli, e me ne spiace.
Allora: chi è Daniele Bernardi, uno che, dice di
lui, scava dentro " l'anemia falciforme " che
" forma " le / falci per falciare le forme "
. È un punto di vista che può parere fatto
su con giuochi di parole che i contadini antichi ( giovani,
nella natura, direbbe Leopardi) in loro concretezza approverebbero.
Perché l'autore vuol dire, credo, così a me
mi pare, in sostanza: scrivi col sangue, non con la falce.
E chi è l'altro Bernardi, con nome ancora più
biblico, Giona: quanti anni ha, li avrà fatti i primi
nove venerdì del mese? ha un conto in banca ( anche
se il Joyce, Giacomo, a cento anni giusti dal suo Bloom's
Day, mi manda al diavolo, e giustamente, con queste investigazioni
su certo privato degli auctores: e beveva? e aveva delle
- impagabile il partitivo - delle amanti?): il quale Giona
Bernardi, in una sorta di autoritratto ( titolo Intorno
all'Urlo) osa scrivere: Se di Munch si ricorderà
l'urlo di me mi posso dire che si fregheranno lo sbadiglio.
Lo sbadiglio o " dello " sbadiglio. Questo NON
è il problema.
E chi è Elia Buletti ( il padre, Aurelio, da Omero
prendendo, nella sua sempre generosa umiltà, direbbe
" non fu sì forte il padre " ) il quale
Elia Buletti per tanti di noi ha scritto questo A un certo
punto della notte: a un certo punto della notte ero in un
angolo e non riuscivo a tossire mi sono messo a guardare
e nessuno ha fatto caso io mi sentivo uno di quegli angeli
che nei film tedeschi tristi hanno le crisi di coscienza
e vanno in giro a bere.
Ultimo, ma non ultimo, è David Monopoli. È
anzi il primo. È lui che ha scritto una introduzione
in cui parla per sé e per i cinque sodàli.
Come è invidiabile la loro solidarietà: "
Come antichi cinesi, seguiamo linee di forza, meridiani,
mutamenti: piedi saldi e naso all'insù, gli occhi
aperti e le orecchie tese, ci teniamo al corrente. "
Cinesi, non ticinesi. Al corrente, come " nuovi barbari
" , anche come réceptionnistes e da questa metafora
ospital- ticinese conviene allegramente prendere il la per
un elogio agli arditi sei e al loro altruista stampatore,
Mauro Valsangiacomo. Intanto che lui, il David Monopoli,
per conto suo, va di posto in posto, e sempre coi libri
sotto braccio ma in realtà, con l'apprendista nel
sole, e la voglia di acchiappare qualche nube, o una rondine
del cielo.
Giovanni Orelli
23 giugno 2004
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In
barba ai vecchi gufi (Gilberto Isella) |
Una collana con giovani
poeti di valore
Da una " chiara fonte" in barba a vecchi gufi
Leggiamo sulla pagina culturale di
un giornale italiano: " È una generazione [
s'intenda quella dei poeti Cucchi e Zeichen, autori tra
i cinquanta e i sessant'anni, n. d. r.] che consente già
qualche attendibile consuntivo, e la cui corposa esistenza,
ribadita da costanti nuove uscite, contrasta drammaticamente
col quasi nulla che la segue " . Il giornale in causa
non è un improbabile " Gazzettino di Pizzoferrao"
ma l'autorevole Repubblica ( in data 12 maggio) né
chi parla è un pincopallino, bensì quello
Stefano Giovanardi coautore ( con Cucchi) della discutibile
e peraltro a sua volta autorevole " Antologia poetica
del secondo novecento" entrata nel pantheon dei Meridiani.
Sono affermazioni che cadono come angurie di ferro e che
fanno venir voglia di chiudere la partita. Chi sarebbe infatti
così masochista da perder tempo col presunto drammatico
" quasi nulla " poetico " che segue "
tale generazione? Sebbene " pensate" del genere
si commentino da sole, non escludo di tornare sull'argomento
dopo gli ardori estivi. Oggi mi limito, tanto per scavare
una nicchia dentro il " quasi " di quel disperato
nulla, a spendere ancora qualche parola in merito alla collana
poetica " alla chiara fonte", diretta con entusiasmo
e competenza dall'artista Mauro Valsangiacomo. Si tratta
di un'iniziativa editoriale che, in barba ai profeti di
sventura, sta crescendo in modo più che dignitoso
e meriterebbe di farsi conoscere oltre frontiera...
Già ho riferito sulla raccolta di Tommaso Soldini
( cfr. GdP del 31 marzo 2004). Ora mi giungono tra le mani
nuovi libretti. Rispettando l'anagrafe, comincerò
da Aurelio Buletti, autore di casa noto anche per la sua
accattivante prosa narrativa. Minimalista, a partire dal
formato, dal numero di pagine ( 10) e dallo stesso titolo
( Temi) può sembrare questa sua suite. In
realtà Buletti ci parla del tempo - quindi uno dei
massimi temi dell'umanità - e lo fa rivisitando con
ironia postmoderna e lirica levità una tra le figure
più antiche e nobili dell'arsenale retorico, la personificazione:
" Avviato il mattino,/ il tempo si disperde nei ricordi,/
non ragiona, rammemora,/ lo coglie impreparato il mezzogiorno,/
lo invita alla sua mensa,/ ma glielo fa pesare " .
Il signor tempo è una sorta di capofamiglia sornionamente
consapevole della sua decaduta nobiltà, e che ci
appare in preda all'esaurimento, forse perché paventa
la propria usura dentro l'immaginario umano.
A generazioni assai più giovani appartengono invece
Davide Monopoli e Agostino Colombo. Del primo avevo apprezzato
lo sperimentale Per altri versi ( sempre nella medesima
collana e in cofanetto con altri coetanei), per l'infinila
determinazione a uscire dai sentieri battuti. Ora, con
A titolo provvisorio l'autore sviluppa la sua propensione
per un discorso poetico autoriflessivo, che si osserva e
commenta nell'atto del suo costituirsi e significarsi. Il
dramma, per Monopoli, è l'assenza, il " baratro
e vuoto che si cerca invano di colmare a suon di parole
" , una condizione dell'essere e del dire che trova
qua e là precario risarcimento nel trascrivere tracce
di vissuto, " piccole storie" quotidiane. Di altra
natura è la poesia di Colombo ( Ci fosse un'altra
vita), che mostra di riporre fiducia in una discorsività
narrativa di primo grado e improntata al vissuto, ai ricordi
di famiglia. È per questo che qui prevalgono verso
lungo e queldizione colloquiale. Non fraintendiamo, però,
poiché il registro " basso" ci può
riservare impennate come questa: " ma in fondo sono
rimasto solo/ a guardare to che va giù per le rive
lunghissime/ di questo fiume a cui la bestia s'abbevera
ma che a me fa paura " .
Gilberto Isella
26 giugno 2004
Page créée le: 28.06.04
Dernière mise à jour le 29.06.04
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