1. Premessa
Sarebbe fin troppo prevedibile, in
una breve premessa di questo tipo, che il relatore di turno
si scusasse anticipatamente per l'inevitabile imprecisione
delle sue parole. L'argomento scelto, per sua natura, obbliga
infatti a semplificare eccessivamente la situazione descritta,
come sempre accade quando si cerca di definire le condizioni
letterarie di un intero paese: oggetto sfuggente, eccessivo,
di fronte al quale è pressoché impossibile
assumere una posizione di imparzialità, e che
richiede pertanto, secondo le buone maniere dell'oratoria,
tutta una serie di scuse preliminari - che propongo però
in questo caso di dare per scontate -. Ben differenti, infatti,
e assai maggiori, sono le difficoltà che pone la
particolare situazione politica e culturale svizzera rispetto
a quella di molti altri paesi europei; al punto che, come
si vedrà, proprio su questa particolarità
dovrà insistere il nostro discorso. Nel 1945 un critico
italiano della statura di Gianfranco Contini tentò
con successo di allestire un panorama della letteratura
italiana contemporanea destinato ad un pubblico francese;
il ricco articolo, intitolato Lettre d'Italie (che non fu
poi pubblicato dalla rivista che l'aveva richiesto, e che
si legge attualmente nel volume Altri esercizi, Enaudi,
Torino 1972), iniziava appunto mettendo in luce le difficoltà
insite nell'operazione e nel momento storico. La guerra,
appena terminata; l'esilio subito dal critico, che aveva
passato alcuni anni in Svizzera; l'impossibilità
insomma di documentarsi in maniera completa su un'attività
letteraria editorialmente e geograficamente dispersa. Eppure,
malgrado queste difficoltà, Contini poteva coraggiosamente
affermare che
Il y aura donc bien des lacunes
dans ce panorama, mais, il faut s'empresser de le dire,
des lacunes purement anecdotiques et documentaires, et
qui ne sauraient porter sur l'ensemble du paysage: cela
dans la mesure où il est demeuré, plus nettement
encore qu'en France, identique à lui-même.
(p. 267)
Nel caso nostro, al contrario, le
lacune non saranno per nulla semplicemente anddotiche: parlare
in termini culturali della Svizzera significa infatti rinunciare
in partenza a quel "paesaggio d'insieme" a cui
appunto poteva riferirsi Contini; e fare dunque i conti
con un oggetto di riflessione non tanto eccessivo quanto
a dimensioni, ma forse inesistente proprio come oggetto,
come realtà descrivibile. Il concetto di "letteratura
nazionale", per quanto traballante sotto gli scossoni
della storia, continua in qualche modo a garantire la possibilità
di ragionare sull'ltalia, o sulla Francia, o sul Portogallo;
ma è di poca o nessuna utilità nel caso di
paesi, come la Svizzera, in cui la compresenza di lingue
e culture diverse rende l'idea stessa di «nazione",
almeno in campo letterario, assai meno riconoscibile, o
comunque estremamente mutevole. Da questo punto di vista,
ogni descrizione globale della realtà culturale elvetica
non può fare a meno di considerare questa complessità
e questa diversificazione interna, privilegiando quindi
l'aspetto problematico piuttosto che quello meramente descrittivo,
e soprattutto spostando l'asse del discorso da quello «degli
autori e delle opere" a quello del dibattito culturale
e politico. Si potrebbe riassumere questo primo scoglio
teorico con le parole di Herbert Luthy (La Suisse à
contre-courant, in «Revue économique franco-suisse»,
1961): «décidément rien n'est simple
dans ce pays».
Ma alle difficoltà oggettive
dell'argomento bisogna ancora aggiungere quelle relative
alla posizione dell'osservatore-relatore:
«Heimat oder Domizil?»,
si chiede Kurt Guggenheim riflettendo sulla condizione dello
scrittore svizzero di lingua tedesca in rapporto ai luogo
in cui vive ("Artemis», Zürich-München,
1961). Patria o domicilio? Luogo culturale, memoria storica
ancorata nella realtà di un paese con il quale si
stabilisce un rapporto profondo, poco importa se nelle forme
dell'adesione o del rifiuto, o piuttosto semplice località
di residenza, teatro di una scissione interiore tra il "cittadino",
indiscutibilmente "svizzero" e lo scrittore, tutto
sommato estraneo alla nazionalità politica, e almeno
idealmente parte di un'altra comunità culturale,
che fa capo alla Germania, alla Francia o all'ltalia? Naturalmente,
a questa domanda ogni scrittore risponderà in termini
personali, e ogni epoca tenderà ad accentuare questo
o quell'aspetto della questione, sicché per esempio
sarebbe molto diverso riflettere su questo aspetto del problema
riferendosi alla prima metà del secolo, e in particolare
all'epoca della seconda guerra mondiale, quando la situazione
svizzera non poteva non contrapporsi a quella, ben più
tragica, dell'Europa, e in particolare della Germania nazista
e dell'Italia fascista; ma, ragionando sul presente, risulta
difficile credere che la Svizzera, in quanto entità
storica e culturale, riesca a suscitare nei "suoi"
scrittori non dirò il fascino mitologico che emana
dal primo testo di Mensagem (o rosto con que fita è
Portugal: e quale metafora sarebbe poi necessaria per la
Svizzera? Il cuore o lo stomaco?), ma forse neppure quella
coscienza di un destino che mi pare di cogliere, sia pure
in negativo, nelle parole di Nuno Judice (Adagio, p. 65):
O problema da literatura, de resto,
residia nesse divórcio entre o criador e o público
esclarecido. Esperava-se de cada livro que viesse trazer
uma revolução nao se sabe em quê -
na linguagem, nas ideias, no conteúdo, na história;
e, no film de contas, via-se que todos amdavam a escrever
a mesma coisa, que se resumia à frustração
de ter nascido no país e de ter de viver contra
ele.
L'impossibilità di definire
con precisione l'argomento di cui si dovrebbe parlare, e
il rischio che il sentimento di estraneità e di inappartenenza
scavino una voragine troppo profonda per consentire ancora
uno sguardo sufficientemente lucido, sono dunque le due
difficoltà di partenza. Anzi, sono qualcosa di più:
la posta in gioco, e il tema stesso di cui parlerà
questa relazione. Forse, persino, gli unici tratti abbastanza
peculiari del lavoro letterario che si svolge in Svizzera.
2. Un'immagine unitaria che si
sbriciola facilmente
Non credo esista in Portogallo un'antologia
della letteratura Svizzera contemporanea; ne conosco però
alcune pubblicate in altri paesi, e generalmente riservate
alla poesia. L'ultima in ordine cronologico dovrebbe essere
la spagnola Antologia de la poesia suiza contemporanea allestita
da Manuel Jurado e pubblicata ad Alicante nel 1992; e, per
rimanere in Spagna, si potrà ricordare un numero
della rivista di Barcelona «Hora de Poesia»
(67-68, 1990) quasi interamente dedicato a una Muestra de
poetas suizos actuales curata da Sergio Chaves. In ambedue
i casi, gli autori della scelta antologica si premurano
di avvertire il lettore che nel caso della Svizzera sarebbe
improprio parlare di "letteratura nazionale",
e che i poeti pubblicati e tradotti devono essere considerati
rappresentativi delle quattro aree culturali compresenti
sul territorio elvetico: la tedesca, la francese, l'italiana
e la retoromancia. Anche così, tuttavia, mi
domando quale immagine della Svizzera debba risultare al
lettore spagnolo, diciamo a un lettore sufficientemente
curioso per leggere quell'antologia o quella rivista, ma
non necessariamente a conoscenza della situazione geo-politica
e culturale svizzera. E poiché per esempio per uno
svizzero italiano non è poi così raro sentirsi
chiedere, in un bar di Roma o di Firenze, dove ha imparato
così bene la lingua italiana visto che di solito
parla lo "svizzero", mi domando se, analogamente,
il lettore spagnolo non riterrà, piuttosto che la
messa in guardia del curatore, l'idea di per sé ovvia
che la Svizzera possieda una letteratura propria, riconoscibile
e distinguibile dalle altre letterature europee, ancorché
frazionata in tre o quattro differenti espressioni linguistiche.
Un tale interrogativo nasce anche
da una constatazione a prima vista stupefacente: le antologie
di letteratura "svizzera" sono assai più
numerose all'estero che in Svizzera. Capita con una certa
frequenza che uno studioso straniero, magari avendo trascorso
un certo periodo di lavoro a Zurigo o a Ginevra, decida
di approntare una silloge dedicata alla Svizzera, certo
che l'inevitabile semplificazione di una realtà così
complessa sia comunque giustificata dallo sforzo divulgativo
connesso all'operazione; è avvenuto, oltre che in
Spagna, in Polonia, persino, pare, in Giappone. Ma non in
Svizzera, dove esistono, piuttosto, antologie regionali,
che danno conto della situazione letteraria della Svizzera
italiana, francese, o tedesca; oppure repertori bibliografici,
come il dizionario Ecrivaines et écrivains d'aujourd'hui
(1988) o il più recente Dictionnaire des littératures
suisses (1991), per limitarci alle ultime pubblicazioni.
Persino sul versante della saggistica il panorama non è
molto diverso: anche un'opera generalmente ritenuta
abbastanza superata, come La storia delle quattro letterature
della Svizzera di Guido Calgari (Sansoni-Accademia, Firenze-Milano
1958), non lascia alcun dubbio, sin dal titolo, circa la
necessità di considerare separatamente le diverse
componenti culturali e linguistiche del paese; e non diversamente
si comportano gli autori della successiva Die zeitgenossichen
Literaturen der Schweiz (a cura di M. Gsteiger, Kindler,
München 1974).
Ma, tornando all'ipotetico lettore
spagnolo, voglio adesso concedergli, oltre alla curiosità,
anche la capacità di leggere con grande attenzione
e perspicacia le pagine introduttive dell'antologia, così
da arrivare alla conclusione che la Svizzera non possiede
una letteratura, bensì quattro, e realizza in questo
modo, su di un piano letterario, la formula politica della
confederazione. Hanno, queste quattro letterature, qualcosa
che le distingua dalle altre letterature europee, e che
giustifichi pertanto l'aggettivo "svizzere"? In
un caso, la risposta è facile: la letteratura retoromancia
non lascia spazio a nessun dubbio critico, dal momento che
il romancio, se si escludono alcune vallate italiane sull'altro
versante delle Alpi, non è parlato né tantomeno
scritto in nessun altro luogo. Ma le altre tre? L'interrogativo
è complesso, e non certo risolvibile sulla base di
una piccola e parziale antologia; sicché il lettore
spagnolo, che ora promuoverò al rango di studente
universitario desideroso di laurearsi, poniamo, in letteratura
comparata con una tesi sulla Svizzera, decide di trascorrere
un anno di studio presso l'università di Losanna,
allo scopo di raccogliere il materiale necessario per il
suo importante studio.
Lo immagino in una sala della biblioteca,
di fronte allo schermo di un computer sul quale consulta
il catalogo informatizzato delle biblioteche romande; imposta
la ricerca per soggetti, e chiede informazioni sulla Littérature
suisse. Dopo un breve ronzio, ecco cosa appare:
1. Littérature suisse
2. Littérature suisse alemanique
3. Littérature suisse alemanique d'expression française
4. Littérature suisse baloise
5. Littératute suisse bernoise
6. Littérature suisse d'expression romanche
7. Littérature suisse fribourgeoise
8. Littérature suisse genevoise
9. Littérature suisse grisonne
10. Littératute suisse grisonne d'expression italienne
11. Littératute suisse grisonne d'expression romanche
12. Littérature suisse italienne
13. Littérature suisse jurassienne
14. Littérature suisse lucernoise
15. Littérature suisse neuchateloise
16. Littératute suisse romande
17. Littérature suisse soleuroise
18. Littérature suisse tessinoise
19. Littérature suisse valaisanne
20. Littérature suisse valaisanne d'expression allemande
21. Littérature suisse valaisanne d'expression française
22. Littératute suisse vaudoise
23. Littératute suisse zurichoise
Quella che sembra una pagina satirica
di Dürrenmatt è in realtà uno specchio,
probabilmente ancora incompleto, delle differenziazioni
storiche e culturali tra le varie regioni della Svizzera;
e d'ora in poi, anche continuando a considerare come punti
di riferimento essenziali le tre grandi aree linguistiche
francese, italiana, e tedesca, lo studente spagnolo non
potrà fare a meno di provare qualche brivido di paura,
pensando a come l'oggetto del suo studio si vada progressivamente
polverizzando. Meglio, dunque, affrontare l'argomento da
un altro punto di vista, lasciando da parte le classificazioni
biblioteconomiche e analizzando i rapporti tra centro e
periferia
Ma neppure stavolta il quadro risulta
semplice; il centro non esiste, o esiste solo parzialmente.
Zurigo, senza dubbio, può essere considerato il centro
della Svizzera tedesca; ma anche Basilea reclama storicamente
la sua dignità di importante città culturale,
mentre le annuali Giornate letterarie svizzere si organizzano
a Soletta; quanto alla Svizzera di lingua francese, sarebbe
difficile gerarchizzare città profondamente diverse,
e analogamente importanti, come Ginevra, Losanna, o Friborgo;
e per ciò che concerne la campagna, come dimenticare
la sua importanza nell'opera e nella vita di scrittori come
Gottfried Keller, Robert Walser, Friedrich Glauser, o sul
versante francese Ferdinand Ramuz e Gustave Roud? Persino
un modesto e collinare fazzoletto di terra come il Giura
ha dato voce, nel corso della sua lotta per l'indipendenza,
alla poesia particolare di un Alexandre Voisard. E al sud
delle Alpi, nei territori italofoni, il panorama è
come rovesciato, ma non meno enigmatico: nessuna vera città,
nessun istituto universitario, ma Milano a un'ora di macchina
e Zurigo poco più distante, un pullulare di mostre,
pubblicazioni e iniziative culturali, mentre la cittadina
più importante, Lugano, parla il linguaggio superbo
e vagamente ripugnante della piazza bancaria di lusso.
Accettare, dunque, questa confusione
di culture e di lingue, questa assenza di gerarchie riconoscibili,
come elemento positivo, come una ricchezza in continuo movimento,
che offre e anzi impone il confronto, lo scambio, la traduzione?
Idea affascinante, che consentirebbe di ritrovare in una
piccola nazione una sorta di ideale microcosmo europeo,
di rinnovare l'antico sogno che vedeva nell'esperienza svizzera
un modello di cultura politica; forse, persino, la possibilità
di uscire dagli angusti confini nazionali, scoprendo le
potenzialità di una futura nebulosa cultura europea.
Purtroppo, però, neppure questa immagine della Svizzera
riesce a sopravvivere alla verifica: i rapporti culturali
tra le varie regioni linguistiche sono assai meno vivaci
e fruttuosi di quanto il laureando spagnolo pensava. Neppure
l'attività traduttoria interna al paese risulta particolarmente
convincente; certo, ci sono stati notevoli esempi di scambio
culturale, e un romanziere di lingua, poniamo, tedesca,
può sperare di essere prima o poi tradotto in francese.
E, tuttavia, l'intellettuale o lo scrittore che vive a Lugano
sa nel complesso ben poco di ciò che avviene a Ginevra
o a Friborgo, mentre quello di Losanna guarda piuttosto
con diffidenza, e comunque con moderato interesse, all'opera
poetica del suo collega zurighese; persino gli autori più
importanti, i classici o quasi classici del nostro secolo,
hanno sfondato la barriera linguistica e culturale venendo
tradotti, pubblicati e apprezzati, in Italia o in Francia,
e di qui rimbalzando nella Svizzera italiana o francese:
è il caso di RobertWalser, Friedrich Glauser, Friedrich
Dürrenmatt, Max Frisch, Peter Bichsel, per non fare
che gli esempi più ovvi.
Una meccanica di forze opposte sembra
a volte dominare i contatti tra le tre principali culture
del paese: ciascuna, da un lato, si sforza di definire il
proprio rapporto con la cultura nazionale di riferimento,
ed è ovviamente più interessata a quest'ultima,
di cui pretende di far parte o da cui desidera differenziarsi,
che alle sue consorelle elvetiche; e le due culture minoritarie,
d'altro canto, cioè la francese e l'italiana, guardano
con rispetto ma anche con diffidenza allo strapotere di
quella tedesca, da cui si sentono anche fisicamente minacciate.
Un esempio abbastanza significativo di questa situazione
può essere costituito dai premi letterari di carattere
nazionale, che vengono generalmente quadripartiti, cioè
assegnati contemporaneamente in ognuna delle aree culturali
da una giuria a sua volta rappresentativa di ciascuna di
queste aree; se per disgrazia il premio è unico,
la giuria fatica a prendere una decisione, dal momento che,
salvo lodevoli eccezioni, i suoi membri possono giudicare
solo i prodotti della cultura a cui appartengono. Neppure
le associazioni di categoria, il cui statuto oscilla tra
quello del gruppo culturale e quello del sindacato di scrittori,
riescono a diventare un reale punto di scambio interculturale;
lo ammette per esempio Monique Laederach, scrittrice e poetessa
della Svizzera francese, e a lungo tra le principali animatrici
degli "Srittori svizzeri del Gruppo di Olten":
Le Groupe d'Olten est plutôt
organié comme un "syndacat", et son activité
porte surtout, actuellement, sur les questions de contrats,
de droits d'auteur, etc. Les écrivains romands
ont un peu de peine à trouver de l'interêt
à ces activités. En outre, ils savent généralement
peu l'allemand, ce qui rend les contacts directs entre
écrivains difficiles. La plupart d'entre eux éprouvent
qu'il y a schisme total entre les auteurs alémaniques
et nous. (David Bevan, Ecrivains d'aujourd'hui, Editions
24 Heures, Lausanne 1986, p. 115)
Le fanno eco, in un discorso più
generale, la filosofa Jeanne Hersch
Il y a une méfiance réciproque.
Nous croyons trop que chaque région de la Suisse
protège sa littérature, si bien qu'on ne
se fie pas entièrement au jugement des autres.
On ne se fait pas assez confiance. (In Manfred Gsteiger,
La nouvelle littérature romande, Bertil Galland/Ex
Libris, Vevey, Lausanne et Zurich 1978, p. 188)
e il critico Manfred Gsteiger
Mais on pourrait presque admettre
qu'il règne dans les relations des littératures
suisses les unes par rapport aux autres une loi de complémentarité,
plutôt qu'une loi d'identité. La distance
reste considérable entre elles, et on ne peut parler
d'un consensus entre la Suisse germanique et la Suisse
latine. [...] Il va absolument de soi que, pour l'auteur
suisse, la vie littéraire de l'étranger
occupe une place beaucoup plus importante que les écrits
et problèmes de ses compatriotes d'une autre langue.
(Ibid, p. 195)
A questo punto un certo scoraggiamento
comincia a pervadere l'animo coraggioso, ma non ancora temprato
dalle avversità dell'analisi letteraria, del giovane
studioso spagnolo. L'idea originaria di una letteratura
svizzera si è dapprima scissa in un quadrilatero
piuttosto complesso; poi ha rivelato una figura solida sfaccettata
e difficilmente riconducibile ad una forma definita; infine
è parsa frantumarsi in una ridda di situazioni poco
o nulla comunicanti l'una con l'altra. Si potrebbe cercare
di individuare, all'interno di una produzione letteraria
così diversificata, almeno qualche tematica comune,
un'ispirazione, un sentimento, una tensione identificabile
come tratto caratteristico? Si potrebbe, ed è già
stato fatto; con risultati, bisogna dire, non particolarmente
convincenti. Se il critico letterario ha la voglia e la
pazienza di trasformarsi in una sorta di entomologo della
letteratura, può anche avere l'illusione di infilzare
sui propri spilloni alcuni elementi caratterizzanti, particolarmente
evidenti sul piano tematico e ideologico; Si parlerà
allora di una tendenza al realismo e al pragmatismo, di
un interesse per la critica sociale e di costume, o per
converso di un facile ripiegamento su posizioni meditative
e intimistiche di una generale diffidenza verso le forme
più tangibili e rischiose dell'avanguardia, eccetera
eccetera; e si cercherà di spiegare l'emergere di
una siffatta casistica ora con l'influsso storico del calvinismo
e della riforma protestante, ora con quello della religiosità
di matrice cattolica (anche da questo punto di vista, infatti,
i territori elvetici sono notevolmente differenziati l'uno
dall'altro), ora con l'assetto solido, benestante e soddisfatto
di uno stato borghese che facilmente scatena al suo interno
una reazione critica radicale.
Il fatto è che simili griglie
interpretative risultano sempre un po' rigide, un po' troppo
preconfezionate; e le piccole opere letterarie, o i singoli
autori, faticano a trovarvi la loro giusta pronuncia. Dürrenmatt
sarebbe qualificabile come svizzero per l'acre sarcasmo
che trasforma gran parte della sua opera in una satira corrosiva
della società contemporanea? Può darsi; ma
si tratta, verosimilmente, dell'ultima preoccupazione di
un qualsiasi lettore di Dürrenmatt, che riterrà
più urgente e più interessante misurare le
scelte del suo autore con i parametri della letteratura
tedesca del Novecento. La poesia di Philippe Jaccottet,
con la sua pronuncia umile e apparentemente quotidiana,
con il suo interesse per la luce di un paesaggio, per la
fatica di ogni giorno, va spiegata con le origini vodesi
di questo poeta, che in gioventù avrebbe assorbito
la severa eticità protestante, oppure con le opzioni
e le letture effettuate dall'autore all'interno della letteratura
francese ed europea durante i quarant'anni di vita e di
lavoro traduttorio tra Parigi e il sud della Francia? E
se anche questi due esempi, e i molti altri che si potrebbero
aggiungere, suonassero troppo particolari, vuoi per l'eccezionalità
dei risultati letterari, vuoi per la loro eccessiva contemporaneità,
cos'altro si potrebbe concludere se non che l'ipotesi entomologica
risulta adatta o solo per i mediocri o solo per determinati
periodi storici?
Sulla base, più o meno, di
questo ragionamento certamente discutibile, lo studioso
spagnolo decide di tentare l'ultimo sforzo, e di riconsiderare
separatamente ogni grande regione linguistica svizzera in
rapporto alla cultura di riferimento: un tentativo di indagine
a cavallo tra sociologia e semiologia, dalla quale sarà
forse finalmente possibile ricavare qualche dato positivo.
Nel frattempo, il giovane studioso spagnolo ha letto, non
senza apprensione, la pagina di una rivista della svizzera
italiana, "Bloc notes" (14, dicembre 1986, p.
35) in cui, introducendo un dossier dedicato alla letteratura
regionale e alla dialettologia, una redattrice ricorda le
parole di Pierre Bourdieu, dedicate alla letteratura belga:
Tout tient dans une question de
mots: Faut-il dire littérature belge ou littérature
"belge", littérature belge de langue
française ou littérature française
de Belgique ? Enjeu du débat: existe-t-il une littérature
belge ?
La questione, solo in apparenza futilmente
terminologica, è stata ampiamente dibattuta anche
in Svizzera, soprattutto nell'area italofona e francofona.
È possibile parlare di una letteratura della Svizzera
francese, o italiana, o tedesca, come di realtà almeno
parzialmente autonome, distinte dalla letteratura francese,
italiana e tedesca? La risposta a questo interrogativo,
lo si intuisce facilmente, non sarà facile, né
definitiva; essa dipenderà dall'intrecciarsi di numerosi
fattori, tra cui quello propriamente letterario, quello
relativo alle condizioni culturali, editoriali e persino
economiche di ogni regione, e quello infine di carattere
politico culturale. E, forse, appunto nell'oscillazione
tra un sì deciso e un no altrettanto fermo si potranno
cogliere alcune delle caratteristiche mutevoli ma costanti
che definiscono, se non una letteratura nel suo insieme,
almeno la condizione culturale e psicologica in cui si dibattono
i suoi autori.
3. Il rapporto con la patria culturale
Si potrebbe cominciare da un esame
superficiale della situazione editoriale. Per esempio confrontando
le bibliografie in appendice a due interessanti volumi,
dedicati rispettivamente alla Svizzera tedesca e a quella
francese. Il primo, di Walter Schiltknecht (Le roman contemporain
en Suisse allemande, L'Age D'Homme, Lausanne, 1974), offre
un ampio e approfondito studio del romanzo svizzero di lingua
tedesca tra il 1959 e il 1973, ossia nell'epoca in cui i
due più celebri autori svizzeri, Frisch e Dürrenmatt,
avevano ormai raggiunto una posizione di assoluto prestigio
in patria e all'estero. Alla vasta bibliografia dei quindici
autori considerati (Heinrich Wiesner, Werner Schmidli, Walter
M. Diggelmann, Jürg Federspiel, Hugo Loetscher, Jörg
Steiner, Otto Walter, Paul Nizon, Adolf Muschg, Herbert
Meier, Erika Burkart, Peter Bichsel e Christoph Mangold),
l'appendice unisce anche una tavola dei principali romanzi
apparsi tra il 1959 ed il 1973: ebbene, scorrendo questi
due repertori, si nota agevolmente che una gran parte delle
opere sono state pubblicate dai principali editori germanici,
spesso in edizioni che appaiono contemporaneamente in Svizzera
e in Germania.
Profondamente diversa la situazione
dei venti autori romandi, poeti e romanzieri, intervistati
da David Bevan nel già citato volume Ecrivains d'aujourd'hui:
Georges Bourgeaud, Nicolas Bouvier, Maurice Chappaz, Pierre
Chappuis, Jacques Chessex, Jean Cuttat, Vahé Godel,
Anne-lise Grobety, Philippe Jaccottet, Roger-Luis Junod,
Monique Laederach, Jean-Marc Lovay, Jacques Mercanton, Jean-Pierre
Monnier, Jean Pache, Anne Perrier, Georges Piroué,
Alice Rivaz, Pierre-Alain Tâche e Alexandre Voisard.
Certamente, anche in questo caso un numero non irrilevante
di opere ha potuto essere pubblicato in Francia; ma il peso
e la distribuzione della Francia all'interno del catalogo
è ben diverso da quello della Germania. Intanto,
laddove Germania può significare Colonia, Monaco,
Francoforte o Berlino, Francia risulta sinonimo di Parigi,
a causa di una centralizzazione culturale ed editoriale
ben nota, nel complesso poco propensa ad accordare spazio
alle periferie, e che solo negli ultimi decenni ha cominciato
ad essere realmente messa in discussione. Ma soprattutto,
il luogo di pubblicazione tende a suddividere gli autori
considerati in due categorie: quelli che pubblicano prevalentemente
in Francia, e quelli che si affidano invece all'editoria
locale. Naturalmente, non ci si stupirà di osservare
che la maggior parte dei libri di Philippe Jaccottet, che
vive a Grignan, nel sud della Francia e che ha saputo dare
alla cultura francese le traduzioni di Hölderlin, Rilke,
Musil e Ungaretti, siano apparsi a Parigi da Gallimard;
assai più interessante sarà invece la scelta
di campo, o l'accettazione di un'oggettiva lontananza della
capitale, che caratterizza totalmente o tendenzialmente
l'opera di quasi tutti gli altri scrittori. Come spiegare,
per non fare che l'esempio più significativo, che
quasi l'intera opera narrativa di Jaques Mercanton, scrittore
di sicuro respiro europeo, amico personale di James Joyces,
rinomato saggista e professore universitario, abbia visto
la luce tra Losanna, Ginevra e Neuchâtel?
Il confronto tra le due aree culturali,
che non è ora possibile approfondire come meriterebbe,
suggerisce dunque l'esistenza di un rapporto assai diversificato
con la cultura di riferimento; da una parte la Svizzera
tedesca può dialogare senza particolari difficoltà
con una Germania culturalmente molto decentrata, in una
situazione che vede una città come Zurigo porsi agevolmente
su un piano di parità con Francoforte o Stoccarda;
in questa prospettiva, lo scrittore della Svizzera tedesca
può considerare con scarsa o nulla animosità
la propria nazionalità elvetica, e può usare
o sentirsi attribuire la qualifica di "svizzero"
senza grandi patemi d'animo. Si aggiunga, ora, per completare
il quadro, la posizione geograficamente, demograficamente
ed economicamente maggioritaria della Svizzera tedesca in
seno alla Confederazione Elvetica; l'esistenza di una dialettalità
diffusa nelle forme dello Schwyzertütsch, gelosamente
difeso e a cui qualcuno propone persino conferire la dignità
di lingua autonoma; la presenza sul territorio di numerose
e notevoli istituzioni culturali, e infine l'importanza
di una tradizione letteraria antica e riconoscibile, che
ha saputo da tempo partecipare attivamente, e non certo
in modo provinciale, al dibattito culturale tedesco (basterà
ripetere ancora una volta il nome di Gottfried Keller?);
si aggiunga tutto ciò, e non parrà strano
che la monumentale opera di Werner Gunther, dedicata sostanzialmente
alla poesia svizzera di lingua tedesca, non solo si possa
tranquillamente intitolare Dichter der neueren Schweiz,
ma non senta il bisogno di dedicare neppure una riga della
sua introduzione all'esistenza o meno di una letteratura
svizzera. Da questo punto di vista, il problema non esiste,
o è trascurabile.
Ben diversa la condizione dello scrittore
svizzero francese; e dal momento che sarebbe ora troppo
complesso riassumere le varie modulazioni storiche del suo
rapporto con Parigi (sempre oscillanti tra il desiderio
di arrivarci, uscendo da un paese che sente come provincia,
e il fiero riconoscimento di una propria identità,
non provinciale ma regionale, proprio in contrapposizione
all'egemonia parigina), basterà affidarsi ad alcune
delle dichiarazioni raccolte da David Bevan.
Così Jean Pache, per esempio,
ricostruisce la propria vicenda editoriale parigina :
C'était dans les années
soixante, dans la première vague de snobisme parisien
à l'égard des "populations disséminées"
qui parlaient français. Elle toucha d'abord la
Suisse romande. Je n'étais pas le seul intéressé
d'ailleurs: Chessex, avec son premier ouvrage en prose,
La Tête ouverte, a paru dans une collection parallèle.
La collection blanche éditait le premier roman
de Roger-Louis Junod... Paris commençait donc à
s'intéresser à l'extérieur; après
il y a eu les Canadiens et les Belges - je ne sais plus
dans quel ordre -. On observa une manière de "tournus".
Avec un oeil un peu sarcastique, on peut reconstruire
l'histoire et voir que le parisianisme n'a jamais cédé
devant quoi que ce soit, mais s'est reconverti chaque
fois en fonction des autres. Les écrivains qui
ont à peu près mon age, cinquante ans -
un peu plus, un peu moins - ont eu de la chance, comme
ceux qui furent dans les affaires. Le livre n'a pas fait
bande à part. Je crois pourtant que les difficultés
sont en train de devenir beaucoup plus grandes pour le
livre comme pour le bâtiment. Dans une société,
ce sont ces domaines qui semblent menacés d'abord
dans toute crise.
Pour ce qui est de la seconde partie
de la question - l'existence ou non d'une littérature
"romande" - j'ai une vue assez particulière,
bien que je ne sois pas seul de mon opinion. Moi, je n'y
crois pas. La Suisse romande, comme d'ailleurs l'ensemble
de la Suisse, est une association d'intérêts
de hasard - et parfois d'affinités, parce qu'il
ne faut pas les nier - mais il y a autant de divergences
entre un Valaisan et un Vaudois, un Vaudois et un Genevois,
un Genevois et un Neuchâtelois qu'il y en a par
rapport à l'ensemble de la Suisse. J'entends que
nous avons peut-être en commun un langage, mais
le fédéralisme est ce qu'il est... Je ne
considère pas qu'il y ait une littérature
romande, ou alors elle est régionaliste et ne m'intéresse
pas. En revanche, il y a des gens en Suisse romande, comme
sans doute au Québec, en Belgique, ou dans les
pays francophones de l'Afrique et d'ailleurs, qui construisent
une oeuvre littéraire francophone - elle vaut ce
qu'elle vaut - tributaire de près ou de loin d'un
héritage culturel qui nous vient - qu'on le veuille
ou non - d'abord et en grande partie de la France. Ce
n'est pas une question de soumission à un pouvoir,
c'est un état de fait. (pp. 149-50)
Sinteticamente categorico, anche
Jacques Mercanton smentisce l'esistenza di una letteratura
romanda :
On ne peut pas parler d'une littérature
romande, parce qu'une littérature se définit
par la langue dans laquelle elle est écrite. Or,
il n'y a point de langue romande et il n'y en a jamais
eu. Ainsi, donc, le terme de "littérature
romande", même si on en fait emploi assez souvent,
n'a aucune signification.
Più analitico, ma non più
incoraggiante, Philippe Jaccottet :
Ma réponse ne sera peut-être
pas la plus encourageante pour votre projet... Il me semble
qu'il y a eu une littérature romande, qu'on peut
appeler "romande", autour de Ramuz, beaucoup
plus qu'il n'y en a maintenant. C'est-à-dire qu'à
mes yeux Ramuz et son groupe sont les seuls qui aient
vraiment pensé qu'on pouvait faire quelque chose,
qu'on devait faire queqlue chose de différent de
la littérature française. [...] Il me semble
qu'il n'y a pas eu de véritable suite à
celà. L'apport de Ramuz a été important
dans la mesure où il a atteint, lui, un certain
statut, ce qui est encourageant pour tout écrivain
romand. Mais au-delà, je ne pense pas qu'il y ait
aucune véritable influence poursuivie, dans la
mesure au moins où on n'a pas continué dans
cette direction d'une autonomie par rapport à Paris.
Non solo nelle vicende editoriali,
dunque, ma più in generale nel rapporto tra regione
linguistica e cultura nazionale di riferimento, ossia nell'ambito
della modellizzazione culturale, bisognerà individuare
gli aspetti più profondi e interessanti delle tre
principali aree linguistiche svizzere, riconoscendo l'esistenza
di una dialettica costante tra apertura e chiusura che,
unitamente alla marginalità geografica e all'oggettiva
estraneità politica, attraversa l'intera storia della
cultura in questo paese, privilegiando ora l'appartenenza
ad una grande cultura nazionale (tedesca, francese, italiana),
ora l'affermazione, che può assumere valenze positive
o negative, a seconda delle circostanze e dei punti di vista,
di una propria identità regionale. Messa in questi
termini, la faccenda riguarda insomma non solo e non tanto
le vere o presunte peculiarità stilistiche, tematiche
o ideologiche di una vera o presunta "letteratura svizzera
di lingua francese, italiana o tedesca"; ma anche e
soprattutto l'atteggiamento di fondo che ogni scrittore,
ogni area culturale e ogni epoca storica assume nei confronti
della cultura nazionale di cui, volente o nolente, fa parte.
Neppure la Svizzera italiana, di
cui sin qui non si è ragionato, sfugge alla morsa
di questa condizione; anzi, è destinata a viverla
in maniera ancor più radicale e drammatica. Infatti,
le dimensioni e l'assetto della Svizzera francese sono in
qualche modo sufficienti a garantire la sopravvivenza culturale
su scala regionale (tre importanti città universitarie,
oltre alla bilingue Friborgo; un pubblico potenziale di
almeno un milione di abitanti; la presenza di numerosi editori
di buon livello e di discrete dimensioni; basterebbe rammentare
che un colpo decisivo al monopolio editoriale parigino è
stato portato proprio dalle edizioni losannesi L'Age D'Homme,
che pubblicano, insieme a molti testi svizzeri, una collana
di letteratura slava tra le più ricche ed importanti
su scala europea), mentre si è già accennato
alla situazione favorevole e in qualche modo privilegiata
della Svizzera tedesca. La Svizzera italiana, al contrario,
possiede dimensioni assai più modeste e uno stato
di salute culturale molto meno rassicurante: nessuna struttura
universitaria, una popolazione largamente inferiore al mezzo
milione di abitanti, un'editoria non priva di meriti ma
a tutt'oggi incapace di far giungere le proprie pubblicazioni
sul mercato italiano. Ciò non impedisce che, anche
in quest'area, fioriscano pubblicazioni di carattere letterario
e saggistico; ma impone ai loro autori una scelta obbligata.
L'opzione regionalistica, infatti, non offre in questo caso
nessuna possibilità di reale sopravvivenza, e le
regole del gioco sono imposte, in maniera più netta
di quanto possa avvenire nelle altre regioni linguistiche,
dalla situazione letteraria e editoriale italiana. D'altra
parte l'Italia è culturalmente assai diversa dalla
Francia, e la vicinanza, non solo geografica ma proprio
culturale, di un polo come Milano (ma non molto più
distanti si trovano Torino, Firenze o Genova) può
agevolare notevolmente il lavoro dei singoli autori. Non
sarà dunque stupefacente osservare che uno dei maggiori
poeti italiani viventi, Giorgio Orelli, sia svizzero, e
risieda nella cittadina di Bellinzona; o che la produzione
narrativa di Giovanni Orelli, edita per lo più tra
Milano e Torino, possa costituire una tappa significativa
del romanzo italiano del dopoguerra.
Certo è che, per lo scrittore
svizzero italiano, la scissione quasi schizofrenica tra
patria di residenza e luogo ideale della scrittura è
pressoché inevitabile; e che, misurata all'interno
di quest'area, la domanda di Guggenheim richiamata all'inizio
di questa conversazione (la Svizzera: "Heimat oder
Domizil") rischia di essere, su di un piano letterario,
una domanda retorica. Si potrebbe però aggiungere
che, al di là della ricerca letteraria individuale,
la Svizzera italiana potrebbe avere un ruolo importante
all'interno della cultura italiana, se sapesse proporsi
all'interno di essa come tramite ideale verso l'Europa centrale.
Ma per sviluppare questo discorso, che finora è stato
purtroppo più utilizzato in termini di retorica politica
(utilizzando le simpatiche metafore di "ponte culturale"
o di "terra di frontiera"), che trasformato in
concrete operazioni culturali, sarei obbligato a presentare
la rivista letteraria "Idra", di cui sono redattore
realizzata nella Svizzera italiana ma edita a Milano e diffusa
in Italia, e che tenta di ottenere appunto un simile risultato
affiancando testi italiani contemporanei alle traduzioni
di autori di lingua tedesca o francese sin qui ignoti al
pubblico italiano. Scorrendo il sommario dei suoi quattro
anni di attività, si ritroverebbero molti degli scrittori
che ho avuto modo di citare in questa chiacchierata; e altri,
che l'ampiezza dell'argomento non mi ha nemmeno consentito
di nominare. Ma, per non dover parlare di qualcosa che mi
riguarda personalmente, e per mettere un punto fermo ad
una conversazione che temo già sin troppo lunga,
mi arresto qui, e cerco di concludere.
4. Conclusioni
Abbiamo lasciato per strada il giovane
studioso spagnolo, che è stato così utile
come guida attraverso le intricate problematiche della situazione
elvetica; e che a questo punto, dopo tutti questi ragionamenti,
avrà pure deciso come impostare la sua tesi di laurea.
Volendo per gratitudine, affidargli il compito di concludere,
provo a farlo secondo una modalità che non spiaceva
a Friedrich Dürrenmatt, il quale la utilizzò
in uno dei più "svizzeri" tra i suoi romanzi,
e cioè nella "commedia in prosa" Greco
cerca greca, che offre al lettore la scelta tra due possibili
finali. Ecco dunque le possibili conclusioni del giovane
studioso spagnolo, sotto forma di immaginarie pagine di
diario :
a) Conclusione cinica e realistica
Ho ormai concluso il mio soggiorno
in Svizzera, e ho raccolto tutto il materiale sufficiente
per stilare una tesi di laurea tradizionale e mediocre,
ma tecnicamente inoppugnabile, che mi consentirà
di ottenere senza difficoltà il massimo dei voti.
Esaminerò le tre maggiori letterature della Svizzera
(alla cui esistenza non credo minimamente, ma che è
più comodo considerare esistenti), ne studierò
i temi, la tradizione e alcune particolarità linguistiche
e stilistiche. Non mi sarà difficile, in un secondo
tempo, pubblicarla, e ricavarne una traduzione in francese
(e forse in tedesco); à ciò farò seguire
due antologie, che penso di intitolare Nueva antologia poetica
suiza e La novela suiza, per la pubblicazione delle quali
otterrò sicuramente una sovvenzione da parte dell'organizazione
culturale Pro Helvetia (ho già preso contatti in
tal senso). Queste importanti pubblicazioni, insieme a un
buon numero di articoli specialistici che andrò scrivendo,
mi dovrebbero permettere di partecipare con successo ai
concorsi universitari, e di diventare professore di letteratura
comparata.
b) Conclusione tragica
Sono stato ingannato. Non so più
nemmeno dire se è la Svizzera a non esistere, o la
letteratura. All'inizio era l'entusiasmo, la freschezza
di un libro, la profondità delle emozioni. Ma adesso?
Ragionamenti, categorie, problemi sociopolitici. Non, non
è questa l'arte che sognavo di conoscere. Non mi
laureerò. Non me ne importa più nulla.
c) Conclusione spettrale
"Non so per chi scrivo. Non
so chi sono quando scrivo. Non so chi sono quando non scrivo.
Non so neppure bene in che lingua scrivo." Ho dimenticato
il nome dello scrittore che mi diceva queste parole nella
stazione di non so quale città svizzera. Ginevra?
Soletta? Locarno? Che importa. La letteratura che mi interessa,
e che ritrovo persino o soprattutto in un paese strano come
la Svizzera, è quella che ha perduto se stessa, e
accetta di non ritrovarsi. Quella che vive in esilio, che
teme di non avere futuro, che si definisce nel proprio non
definirsi. Osservo come curiosità (o è qualcosa
di più) che una delle opere pubblicate in Svizzera
negli ultimi anni e più famose in tutta Europa è
la trilogia della disperazione di Agota Kristof. Agota Kristof
non è svizzera, ma cecoslovacca. È una cecoslovacca
in esilio che non parla della Cecoslovacchia. È una
donna che vive in un paese straniero e scrive romanzi sulla
vita senza parlare della sua vita. È una scrittrice
che dice spietatamente la verità mentendo. È
una scrittrice costantemente altrove. Anche se probabilmente
la mia tesi sulla letteratura in Svizzera non sarà
accettata, la inizierò parlando di Agota Kristof.
A voi, infine, la scelta
Conferenza tenuta a Lisbona, presso
la Casa Fernando Pessoa, nel 1993. Da allora, naturalmente,
alcune cose sono mutate nel panorama svizzero cui si allude
nel testo, nuovi libri sono apparsi, anche in relazione
alle problematiche culturali accennate. In particolare,
comunque, si deve almeno osservare che la situazione della
Svizzera italiana è cambiata, rispetto alla succinta
descrizione che qui se ne fa, almeno in una cosa: da alcuni
anni esiste una università, per ora strutturata in
tre facoltà (Architettura, Economia, Scienze della
Comunicazione). Questa novità non modifica, per ora,
il ragionamento qui proposto: i rapporti tra università
e letteratura sono, al momento, sostanzialmente inesistenti,
e l'influsso che un polo universitario potrebbe culturalmente
esercitare sul territorio non è ancora visibile.
Fabio Pusterla
in Hesperos
Page créée le: 30.04.02
Dernière mise à jour le 30.04.02
|