Sesterno, pubblicato nel
novembre del 2005 da Book Editore, è il suo ultimo
libro di poesie. Cosa rappresenta la scelta di dividere
il testo in sei sezioni quasi uguali (rispettivamente di
7, 8, 8, 6, 8 e 7 poesie), evidenziate soprattutto dal titolo
inequivocabile della raccolta (appunto Sesterno)?
La raccolta ospita una scelta di
poesie scritte fra il 1994 e il 2003. Si tratta di testi
nati autonomamente, senza che da parte mia vi fosse la preoccupazione
di obbedire a un disegno preordinato. A un certo punto ho
iniziato a organizzare i componimenti; il risultato finale,
dopo numerose aggregazioni intermedie, è stato un
insieme formato da sei gruppi di poesie. Il titolo si rifà
perciò alla stessa intelaiatura della raccolta (sesterno
è, nei manoscritti e nei libri a stampa, un quaderno
composto di sei fogli). Ciascuna parte reca un titoletto
cui è affidata la funzione di 'propagatore tematico'.
L'iniziale Svuotata ogni abitazione vorrebbe esprimere
il desiderio di giungere a scrivere a partire da una situazione
in cui sia stata fatta tabula rasa, per quanto possibile,
di ogni materiale residuo (a proposito del 'togliere il
superfluo' mi vengono in mente diversi precedenti, fra i
quali Arvo Pärt e la sua Tabula rasa; o, ancor di più,
il sempre attuale Juan de la Cruz). Nella seconda sezione,
Impulsiva (utilizzo il termine innanzitutto nel suo
significato primo 'che imprime una spinta, che comunica
un impulso'), trovano posto poesie dove il ritmo assume
spesso un ruolo preminente. A spinte antitetiche rimanda
il segmento successivo (Lusinghe o dissuasioni);
e all'insegna del contrasto si annuncia pure la sezione
intitolata Onice insonne (ossimoro collocato nel mezzo della
raccolta: l'onice, secondo gli antichi e anche moderni lapidari,
è pietra che dovrebbe proteggere dall'insonnia e
dagli incubi notturni), la cui veste stilistica mi sembra
vicina a una sorta di recitativo o Sprechgesang.
Torna in Nondimeno uno strepito la fisionomia sintattico-fonico-ritmica
che contrassegna le precedenti parti; è infine il
turno degli Spaiati enti, testi forse accostabili
ai grappoli di note che in àmbito musicale vengono
chiamati cluster. Un'altra annotazione: le varie sezioni
risultano legate fra di loro tramite connessioni di vario
tipo (tematico, linguistico, ecc.), con conseguente produzione
di senso 'a distanza'.
La raccolta Sesterno sembra
una naturale continuazione del suo secondo libro, Diafonie:
l'effetto visivo e la sintassi incalzante prendono il sopravvento
sul valore semantico delle parole, disposte talvolta in
vertiginosa successione. Il primo libro, invece, Ricognizioni,
appare senz'altro più narrativo, più aneddotico
degli altri, ricco di spunti che sembrano rifarsi all'Orelli
delle Sinopie (per fare un esempio, in Primavera:
Orbene questo signore mi fa di solito dei gran saluti
/ e mi domanda in quale giorno della settimana ci troviamo
a essere, / confonde spesso il giovedì col venerdì,
si scusa, / specialmente quando è bel tempo.).
Perché la scelta, elaborata a suo tempo e confermata
con quest'ultima fatica, di cambiare atteggiamento poetico?
Che genere di evoluzione vede all'interno di questo cambiamento?
Il mio primo libro, Ricognizioni,
accoglie poesie scritte negli anni Settanta. Come dice il
titolo, si trattava per me di mettere in atto una serie
di esplorazioni: sul piano individuale (cercare delle risposte
a domande che mi ponevo e mi pongo), collettivo (tentare
di 'capire' il mondo, la società), stilistico (quali
forme, quale lingua usare). In parecchie di queste poesie
è presente una dimensione narrativa tangibile. Ma,
a ben guardare, le cose raccontate (con il frequente ricorso
alla figura dell'ironia) si rivelano per lo più di
scarso rilievo e quasi sempre si risolvono in una finale
dissolvenza; fatto che nella sua prefazione Giovanni Raboni
non ha mancato di sottolineare ("La vita come spettacolo
continuamente interrotto e ripreso
"; "
e si proietta nella mente del lettore qualcosa come un'istantanea,
un fotogramma o, al massimo, una brevissima, fulminea sequenza
dove gesti, volti e sorrisi, raggruppamenti di oggetti e
incidenze di luce assumono la sospensione
che caratterizza
la silenziosa imminenza di una catastrofe"). Ancora
a proposito di questo 'sguardo', credo abbia esercitato
su di me una notevole influenza La passeggiata di
Robert Walser, pubblicata in italiano da Adelphi nel 1976.
Una realtà insomma, quella di Ricognizioni,
non di rado frammentata e aggrovigliata (anche sul piano
sintattico: sintomatica è la poesia Il luppolo):
aspetti questi che si ritrovano nelle raccolte successive.
Quanto alla componente narrativa, in Diafonie e poi in Sesterno
essa è decisamente passata in secondo piano, o è
venuta meno; la realtà percorrendo questi due libri
ci si imbatte in testi, mi sembra, più complessi
e multiformi. In ogni attività (non soltanto artistica)
si registrano, in misura più o meno marcata, dei
cambiamenti, dei mutamenti di rotta. Qualcosa del genere
è avvenuto anche nella mia poesia; e ciò in
modo imprevedibile, assecondando esigenze interne. Sono
così nate composizioni forse più essenziali
e 'radicali'.
Pier Vincenzo Mengaldo, nell'antologia
Cento anni di poesia nella Svizzera italiana, afferma
che il passaggio da Riconizioni a Diafonie "comporta
un approfondimento quasi ad absurdum della poetica
dello sguardo oggettivo portato sulla realtà aleatoria,
per frammenti. Ma comporta anche un processo di riduzione
drastica che dà luogo ad oggetti poetici ancor più
gratuiti ma per compenso sempre più precisi e cesellati.
Qui pure la loro forma tende allo stampo unico, preconfezionato,
anche per una sorta di scommessa, e la metrica, esatta,
è però piuttosto una metrica per l'occhio
che per la recitazione interiore". Cosa pensa dei concetti
di "oggetti poetici ancor più gratuiti"
e di forma che "tende allo stampo unico, preconfezionato"?
E in che misura ci si ritrova?
Ogni poesia è per me un organismo
in cui parole, suoni, ritmi, timbri, movimenti della sintassi,
immagini, simboli, motivi prendono consistenza e s'intrecciano
per dar vita a un insieme che affonda le proprie radici
nel vissuto personale. In questo senso il testo poetico
costituisce, per quanto mi riguarda, non un'entità
gratuita ma, al contrario, una risposta necessaria al desiderio
di interrogare, di scrutare se stessi e il reale. Le caratteristiche
degli aggregati verbali così ottenuti sono state
sintetizzate da Stefano Agosti nella prefazione a Diafonie:
una "realtà plurima, diffratta, esibita in violente
situazioni di simultaneità, situazioni che risultano
comprensive di campi o elementi disparatissimi quali il
tecnologico (anche computerizzato) e il corporale (anche
speculato dall'interno), il reperto oggettuale (quotidiano
o tecnico) e il dettaglio naturale (animale, vegetale, atmosferico)".
Questi elementi si ritrovano (mi pare accentuati) in Sesterno,
raccolta dove intervengono (credo) ulteriori componenti.
Quanto alla 'forma', essa si configura in stretta correlazione
con le indicazioni e i segnali che provengono dal proprio
'interno'. Non esiste quindi una forma a priori;
essa nasce e si modella gradatamente, con largo intervento
della dimensione artigianale ed empirica, dando seguito
a istanze e impulsi che chiedono di essere ascoltati e tradotti
in parola. Naturalmente, la realtà formale che va
prendendo corpo dovrà essere avvertita dal sottoscritto
come consona alle proprie inclinazioni: fra queste metterei
la propensione all'essenzialità, il rigore tematico
e l'aspirazione a operare entro coordinate pienamente contemporanee.
Yari Bernasconi
© Le Culturactif Suisse, 2006
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