Dubravko Puek, nato a Zagabria, vive a Lugano da
decenni e, oltre a essere poeta (ricordo l'ultima sua opera,
Effetto Raman, Locarno, Dadò, 2001), svolge
diverse attività culturali (tra le altre cose, traduce
con dedizione diversi poeti croati). Cosa l'ha portata a
pubblicare "Viola"? Come è nata l'idea
di questa rivista, e cosa l'ha resa realizzabile?
Innanzi tutto, molto prosaicamente,
una piccola somma che sono riuscito a mettere da parte.
Poi la voglia di fare un qualcosa che non c'è nel
panorama editoriale ticinese e soprattutto un qualcosa di
totalmente mio: una sorta di diario delle mie frequentazioni
e dei miei amori artistici, letterari, musicali, dedicando
molto spazio al mio amatissimo e maltrattatissimo Est. L'idea
risale al 1978 ed è rimasta nel cassetto per quasi
trent'anni. Sono soprattutto i motivi finanziari ad averne
bloccato l'uscita; non però la pubblicazione della
collana "Laghi di Plitvice" che ha proposto per
oltre vent'anni poesia e prosa italiana e croata. Tra le
pubblicazioni vorrei ricordare i libretti di De Libero e
Caproni, di Cergoly e Tentori, Ortese e Guidacci, op
e Quien, Pfanova e A.B.imic. Poi, e questo riguarda
in particolare l'area italofona, molti dei poeti e amici
tra quelli pubblicati e quelli che stavo per pubblicare
(Betocchi, Vigolo) ma sono morti. E ho ritenuto conclusa
una stagione, non solo mia. Una nuova ho voluto aprirla
con questa rivista che guarda al mondo con taglio leggero,
ma con contenuti importanti.
La rivista contiene interventi di vario genere e non di
carattere puramente letterario: un'intervista con Jochen
Gerz, una traduzione di un classico della letteratura svizzera
come Walser, un omaggio a Carol Rama, delle traduzioni poetiche
da Eugène Guillevic e Marija Cudina, un inedito di
Sergej Roic e un saggio su Ubaldo Monico. Quest'eterogenia
non mi sembra casuale...
Infatti, non è casuale. Sono
trent'anni che lavoro con pittori e musicisti e ritengo
questo lavoro tutt'altro che complementare. La poesia è
ben presente anche in questi ambiti, e un incontro in questo
senso mi pare oggi imprescindibile. Ma lo ripeto, la rivista
ha un taglio fortemente personale e autobiografico; qui
ci sono le mie esperienze e le mie scelte per il presente,
per il futuro, per il passato in funzione del futuro
La rivista vuole lavorare sulla contemporaneità e
(brutta parola) sulla "creatività", dando
spazio solo alla voce dei protagonisti delle arti. Infatti,
come vede, non ci sono recensioni, la saggistica è
ridotta all'osso (e nel primo numero riguarda un artista
scomparso, Ubaldo Monico). In poche parole niente accademia
e niente giornalismo. Questa è una rivista che vuole
occuparsi solo di poesia, della poesia che si può
cogliere nella realtà.
La sua rivista esce in un ambiente culturale che lei
conosce molto bene, cioè quello non certo rilucente
di un Ticino un po' periferia, un po' minoranza. In questa
dimensione, cosa funziona e cosa non funziona, attualmente,
nella Svizzera italiana?
Il discorso sarebbe lunghissimo e,
forse, impopolare. Ad ogni modo quel che non funziona l'ha
già accennato bene lei. La minoranza, la periferia
da cui deriva la diffidenza verso tutto e tutti (soprattutto
in questi tempi difficili e instabili) e anche una malcelata
punta di xenofobia. Il fatto che il Ticino prenda a modello
per tutto (a livello estetico, comportamentale, politico)
il locale Ottocento mi sembra una cosa grottesca. C'è
una malsana nostalgia per il "buon tempo antico"
(per inciso, era buono per chi?) in cui la vita scorreva
all'ombra del campanile, non c'erano forestieri, le dieci-quindici
famiglie si spartivano tutto (come d'altronde avviene ancora
oggi). Mi sembra di ricordare che il Ticino abbia conosciuto
l'emigrazione, anche quella più dura, estrema, ma
tende a dimenticarselo: in America latina, in Australia
e, guarda guarda, nell'est europeo. Al proposito oggi (grazie
anche alla nascita di certe formazioni politiche?) si sentono
discorsi raccapriccianti
Sono situazioni che si colgono
nel quotidiano, ma il passo dal trasportarle nella cultura
è davvero breve
Ma, lo ripeto sempre, il mondo
è grande e non ha gerarchie. Sono ugualmente importanti
tutti
Per questo la rivista non dimenticherà
nessuno: toccherà l'Est, l'Africa, i paesi arabi,
l'Asia
Quando uscirà il prossimo numero di "Viola"?
Può fare qualche anticipazione?
Il prossimo numero uscirà
nella primavera del 2007. Fino al momento di andare in macchina
la pubblicazione può mutare contenuti proprio perché
desidero che il "ritmo interno" e la leggerezza
del primo numero siano mantenuti. Insomma, questo è
il suo profilo e questo farà sì che nella
rivista non potranno trovare spazio cose magari anche importanti.
Presenterà un dossier di un notevolissimo artista
ticinese residente a Lione, Fernando Baccalà, che
opera sotto lo pseudonimo Bill Forrest. Per la poesia, se
non sarà pronto il contributo dedicato all'Armenia,
saranno presentati almeno due croati: il surrealista Radovan
Ivic, che vive a Parigi e che è stato sodale
e amico di Breton, e Nikola op, tra i maggiori poeti
del Novecento europeo, cui solo la prematura scomparsa di
Wystan Hugh Auden, mentre stava traducendolo, ha impedito
un vasto e indiscutibile riconoscimento internazionale.
Ci saranno poi due poeti italiani: il romagnolo Gabriele
Zani che sostengo fin dai suoi esordi, e quasi certamente
Giampiero Neri che non ha bisogno di molte presentazioni,
essendo una delle voci più belle della poesia contemporanea
della penisola. Per la prosa: cinque racconti del serbo
Duan Velickovic, tradotti da Sergej Roic, che hanno
sullo sfondo la recente guerra nei Balcani. L'intervista
questa volta è dedicata alla musica, al compositore
goriziano Fausto Romitelli, che Vito Calabretta aveva incontrato
poco prima della sua prematura scomparsa avvenuta nel 2004.
Yari Bernasconi
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