Angelo Casè
Taedium vitae, Lugano, G. Casagrande, 2005,
pp. 302
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Angelo Casè /
Taedium vitae
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ISBN 88.7795.165.6
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"... E guardandoti
sulla foto, ragioni come ragiona l'anziano
di casa e impreca tra sé, le guaste separando
dalle mele sane, gli acini sodi da quelli mùcidi"
(da Come ragiona l'anziano)
Angelo
Casè (Locarno, 16 dicembre 1936 - Minusio,
10 marzo 2005), maestro di scuola elementare per oltre
quarant'anni (Gordola, Locarno, Minusio), è
stato poeta, narratore (perlopiù per ragazzi)
e critico (ha collaborato alla Radio della Svizzera
Italiana, oltre che a diversi giornali e riviste).
Grande appassionato d'arte (all'attivo anche diverse
pubblicazioni), ha diretto per sette anni la Galleria
Pannelle 8 a Locarno. Cinque le sue opere poetiche
principali: Il silos (Locarno, Carminati, 1960),
I compagni del cribbio (Milano, Mondadori,
1965), Le precarie certezze (Varese-Lugano,
Ed. Cenobio, 1976), Al dunque (Locarno, Il
Trespolo-SPSAS, 1986) e Taedium vitae (Lugano,
G. Casagrande, 2005).
Angelo
Casè, Taedium vitae, Lugano, G. Casagrande,
2005, pp. 302
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Angelo Casè (Locarno, 1936
- Minusio, 2005), a été instituteur, poète,
auteur de récits pour la jeunesse et critique.
Taedium vitae rassemble des poèmes écrits
entre 1986 et 1997. Le titre latin renvoie à une
forme d'ennui, d'indifférence pessimiste aux problèmes
de l'existence. Pourtant, c'est plutôt d'une quête
des racines et d'un ultime examen de conscience qu'il s'agit,
dans ce livre très cohérent. Stylistiquement
et thématiquement très proche des précédents
livres de Casè, Taedium Vitae révèle
aussi quelques faiblesses: notamment dans l'impression que
chaque poème corrige le précédent en
se superposant à lui, ou dans la versification qui,
parfois, semble s'effilocher, comme si la langue ne parvenait
pas à contenir la tension qui cherche à s'y
exprimer.
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Taedium
vitae (Yari Bernasconi) |
Ci si potrebbe facilmente lasciare avvolgere dalla nostalgia
nello scrivere dell'ultima, testamentaria opera di Angelo
Casè, che, poco prima di morire (il 10 marzo del 2005,
all'età di 68 anni), aveva deciso di lasciare sulla
sua scrivania - un po' come nei film che non si riguardano
- un fascicolo con il materiale pronto alla stampa: "il
dattiloscritto delle sue poesie, completo di glossarietto,
[...] e le note critiche", indica l'editore in una nota.
Il libro, che comprende le poesie scritte tra il 1986 e il
1997, è stato pubblicato l'anno scorso da Giampiero
Casagrande, ed è intitolato Taedium vitae.
""Taedium vitae": indifferenza e insofferenza
verso i problemi dell'esistenza propria e altrui; accentuato
pessimismo che allude a disgusto del vivere, rafforzando
uno sconforto morale, un crollo psicologico, ai quali è
difficile reagire", spiega Casè nel Glossarietto.
Le quasi 300 pagine della raccolta, però, non sembrano
specchiarsi in questa definizione, e anzi: il vigore e l'insistenza
dei versi sembrano proiettare la locuzione latina in una
sua versione parallela che arriverei a definire ad hoc.
Prendiamo l'ultimissimo componimento, Sarà giocoforza,
in un certo senso quello dell'addio:
Del gelo tormentoso s'è stancato
il calicanto - fiorito
d'incanto, nell'orto è un totem antico.
Un'ardua
menzogna ci tocca inventare per sfuggire alle ambigue
angherie: l'età non perdona. Presto / tardi, sarà
giocoforza
svelarci l'inganno, se tra i rami un oriolo
il nascondiglio ad amaca ci rivela col canto
insistito. Col senno di poi, arbor sancta ciascuno
si sente, nato / morto per donare i misteri dei grani
al rosario. E se lo sconcerto ricusa l'esiguo
gorgheggio, incontroversa l'opzione finale rispicci tra
noi.
Puntualissime le parole di Gilberto
Isella (sua la bella Introduzione), che sottolinea
come Casè, della nozione di "taedium vitae",
"insegue piuttosto le radici nascoste, la investiga
e personalizza a dovere, temprandola nel fuoco di un "esame
di coscienza" che sarà ora, per forza di cose,
inesorabile e definitivo".
La raccolta, introdotta da quattro vecchi brani "salvati"
(è la breve sezione Recuperi, 1965-1987),
è strutturata in un Preludio (diviso nelle
sezioni Fuori tiro, 1986-1987 e A ritroso, 1988-1991),
un Interludio (che consiste nel "diario/canzoniere"
Dalla clinica, 16.XII.1994-14.I.1995) e un Postludio
(Sul discrimine, 1995-1996 e il conclusivo Dies irae,
1997, primavera), un modo per evidenziare una precisa
macrotestualità (in questo caso d'ambito musicale)
e, quindi, per suggerire una lettura continua, corale, da
considerarsi non solo passo dopo passo, ma anche - e forse
soprattutto - nel suo insieme.
Non per niente, se dovessi indicare un pregio della poesia
di Casè, penserei alla coerenza della sua opera,
alla coesione, alla continuità di un discorso piano,
perseguito a testa bassa. Anche se, da un altro punto di
vista, questa caratteristica tradisce alcuni problemi. Pier
Vincenzo Mengaldo, per esempio, ha giustamente parlato della
"sensazione, che il lettore ha, di un'affannosa serialità
in cui ogni testo corregge il precedente e quasi vi si monta
sopra; e di una lingua mai rifinita e definitiva, né
mai autonoma ma piuttosto strumentale", aggiungendo:
"Qui consistono il limite ma anche il fascino di questo
poeta". E riflettendo sull'opera di Casè, questa
bipolarità mi pare sintomatica, per nulla casuale.
Si pensi a uno dei tratti caratteristici della sua poesia:
la metrica. Non c'è stato critico o recensore, che,
distrattamente o puntigliosamente, non si sia soffermato
sulla metrica del locarnese, sulla sua incredibile libertà,
dove l'incalzante - e talvolta violenta - discorsività
implode in versi che, non riuscendo a reggere la pressione,
si sfilacciano in ritmi selvaggi e dimensioni che spingono
a inarcature inimmaginabili (come in Osando / non
osando, da Dalla clinica):
S'è ammansito il male creduto
feroce, terminale. In confidenza
nell'animo mai s'è annegata l'aspra menzogna, mai
sfocato
s'è l'asperrimo dubbio. Appena l'abbaglio si spegne
del sole, rapido dal terrazzo s'invola l'uccello
canterino, altrove cercando un provvido
riparo, la pastura preferita - il viso pure tu nella penombra
ripari, reticente, corrucciato: ogni frase si spegne,
in te che, osando / non osando, da chissà
quale cruccio, fraternamente, vorresti rincuorare l'infermiera.
E dove, puntualmente, per via dei
lunghi, lunghissimi versi, compare il nome di Cesare Pavese.
Anche in questo caso, però, occorre tracciare le
giuste divisioni, mostrare entrambe le facce della medaglia:
i versi del ticinese, infatti, "non hanno la regolarità
ritmica di questi [i versi pavesiani], né contengono
in sé misure tradizionali [...]: il verso lungo è
lasciato alla sua deriva e non mima un respiro regolare,
meno che mai un "canto", ma una discorsività
che Luzi ha definito "fitta e anelante" e che
si trova via via i suoi diversi cunicoli" (Mengaldo);
nella poesia di Casè, "il modello di Pavese,
quello ben inteso di Lavorare stanca, subisce le
più inaspettate scosse" (Giorgio Orelli). Ha
ragione Isella:"Vi si oggettiva il rifiuto di un lirismo
intessuto di brevi illuminazioni nominali alternate a spazi
bianchi (nel solco di Ungaretti e di molta produzione primonovecentesca),
a vantaggio della discorsività piena, che per Casè
è il fine da perseguire all'interno dello spazio
poetico: vale a dire l'evento descritto nel suo incessante,
reale o ipotetico costituirsi, nella sua temporalità".
Da cui la "deriva" del verso di cui diceva Mengaldo.
Ecco che, allora, chiuso Taedium vitae, è
forse naturale il sentimento contrastante, quel sentirsi
combattuti o colpevoli d'eccessiva perentorietà per
aver riordinato ancora una volta la poesia di Casè
in due cassetti ben distinti: da una parte, i versi che,
"nei componimenti migliori, appaiono giusti e sicuri
come i rami di un albero" (Orelli); dall'altra, delle
misure ansimanti che paiono piuttosto una poesia sfuggita
chissà come alla prosa.
Yari Bernasconi
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Revue
de presse |
[...] Se nella parte iniziale si
riscontrano squarci di poesia civile o d'impegno ecologico,
un po' nella scia della produzione anteriore, man mano che
ci si addentra nell'opera è la dimensione esistenziale
e introspettiva a prevalere. Il titolo latino è solenne,
come si addice a un'opera testamentaria. L'aura di questa
solemnitas si estenderà poi a una manciata
di citazioni tratte dalle Scritture e disseminate un po'
ovunque, quasi a ribadire un patto originario con la morte
e con quella lingua che per eccellenza le conferisce sacralità:
il latino, appunto. Ma indubbiamente anche a sottolineare
il legame antropologico con il cristianesimo, legame che
si esprime al meglio, come è naturale, nel registro
escatologico e funerario. Significativo ad esempio il titolo
dell'ultima sezione, Dies irae, dove il "sussulto
finale" e l'ombra "impietosa" della morte
incombono su una solitudine senza rimedio. [...] Associando
vita a tedio il titolo mette tacitamente l'accento su una
condizione che già di per sé si proietta oltre
il vivere, chiamando in causa il radicamento della morte
dentro le fibre più tenaci della vita, l'heideggeriano
Sein zum Tode. E sùbito alla mente ci viene il nome
di Leopardi. Proprio perché Leopardi aveva tolto
ogni patina di banalità alla consunta formula classica,
riscoprendo in tutta la sua ampiezza semantica il concetto
di "noia", accomunandolo a quello di nulla, ma
rendendolo altresì partecipe dello spirito della
modernità e dei suoi contrassegni più salienti,
come la crisi del senso, il dubbio metafisico, i dilemmi
che si generano a catena senza speranza di soluzione. Anche
il mondo di Casè sottintende quesiti ontologici ed
esistenziali di tale natura. Quesiti che potranno al limite
sfociare in "precarie certezze", come suona il
titolo di una sua importante raccolta. E dove il latente
ossimoro dovrà valere anche in relazione al senso
del morire. Poiché se la morte è certa in
quanto evento, incerto e precario rimarrà sempre
il suo significato. [...] La compattezza tematica della
raccolta trova una perfetta omologia al livello stilistico
e formale. Si tratta di ben 257 componimenti, tutti monostrofici
e svolti su ampie tessiture sintattiche, caratterizzati
dall'uso del verso libero lungo, coerentemente con un'opzione
metrica fatta propria fin dalle prime prove e mai messa
in causa. A cosa attribuire questa lunga fedeltà?
Penso che il verso lungo, in Casè, abbia sempre agito
da freno contro gli eccessi del lirismo, sia nelle forme
della rarefazione verbale di ascendenza ungarettiana, sia
in quelle dell'immaginismo concettoso caro a un certo ermetismo.
È stata una scelta d'orizzontalità, e dunque
di discorsività, fin dai Sessanta, anni in cui la
poesia italiana si dibatteva tra lo sperimentalismo delle
neoavanguardie e il recupero di una colloquialità
prosastica. Sorprende, in Taedium Vitae e nei lavori
precedenti, la forte tensione dialettica tra lingua e realtà.
I dati realistici di partenza, ben visibili, sono presto
attratti da un vortice sontuoso di metafore e similitudini,
fino a trasfigurarsi entro scenari a loro volta in continua
evoluzione.
Gilberto Isella
29.10.05
Page créée le: 13.10.06
Dernière mise à jour le: 17.10.06
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