Claudia Quadri risponde alle
domande di Pierre Lepori
Rispetto al suo libro d'esordio Lupe,
questo nuovo romanzo sembra segnare una netta impennata
d'ordine stilistico. La narrazione è più libera,
frastagliata ed anche lo stile è più elaborato:
ha qualche discontinuità, ma di questa sembra nutrirsi,
farne ricchezza. Alla polifonia stilistica corrisponde una
maggiore varietà dei personaggi, ognuno con la sua
storia, in un gioco molto bello di destini incrociati. Mi
pare di scorgervi quasi un influsso cinematografico: Magnolia
di Paul Thomas Andersen (anche per una pioggia di sabbia
che ricorda quella di ranocchi), oppure la densità
umanistica dei film di Reitz o di Kieslowski; le sembra
pertinente?
Giusto per l'influsso cinematografico,
ma scambio Magnolia
Reitz e Kieslowski - che non ho visto o conosco solo in
parte - con Le goût
des autres di Agnès
Jaoui, Sous le sable
di François Ozon, The
man who wasn't there
dei fratelli Coen, L'homme
du train di Patrice Leconte,
con superba colonna sonora... Incide comunque anche il mio
lavoro in radio e in televisione che per es. mi insegna
il senso del ritmo.
Il cuore pulsante del suo romanzo
è la dolorante bellezza dei suoi personaggi, gente
comune, addirittura "di seconda scelta" (come
pensa Ute), raccolti nella luce di uno sguardo romanzesco
empatico, quasi come in un documentario di Raymond Depardon
(con la stessa pazienza per i "temps faibles").
Più che il racconto, mi sembra che in questo suo
romanzo prevalga il personaggio...
Ultimamente ho lavorato molto con
l'archivio della TSI (Televisione Svizzera Italiana) che
raccoglie le immagini amatoriali - i filmini - dei telespettatori
e dei loro familiari. Ci ho trovato tanta di quella umanità...
e la mia attenzione per i "temps faibles" , le
"persone comuni" e per i "dettagli"
si è molto rafforzata.
Un tema già presente in Lupe
e qui trattato con estrema delicatezza è quello del
passato, delle ferite per sempre aperte (i bellissimi momenti
sull'infanzia di Ute, Mari Ann che un giorno scopre che
le filastrocche della mamma non fanno più effetto,
come se avessero "la data di scadenza"): in questo
si può dire che la sua scrittura è ha un'attenzione
"psicoterapeutica" alla realtà)?
Per arrivare in fondo a una storia
ci vuole tempo e non potrei proprio avere a che fare con
personaggi che non sono intriganti. Un po' è un gioco
di specchi, c'è del narcisismo e anche un "aspetto
terapeutico", ma i personaggi hanno anche una loro
"autonomia", non si può fargli fare quello
che si vuole, diventano presenze reali. E' questo che mi
piace più di tutto della scrittura: entrare nelle
loro teste e scoprire cosa pensano, come parlano... Irritarmi,
divertirmi, commuovermi per le cose che fanno o non fanno.
(Si, anche il primissimo spunto da cui ha preso vita "Lacrima"
(nel frattempo diventato un dettaglio) non è trama,
storia, ma un pensiero di Claudio, il libraio, che ragiona
sul fatto che uno che si chiama come lui - Claudio, da claudicare,
vuol dire zoppo - e una che si chiama "Lena" come
un fiume, sono proprio male assortiti.)
I libri, la letteratura, sono un
elemento forte di Lacrima: la libreria dal nome ciceroniano
(Malatempora), il bar "Ricovero dei poeti", il
professore di lettere che cita a memoria i suoi passi prediletti;
questo libro è anche una sorta di atto di fiducia
nel potere dell'immaginazione letteraria?
Fare le cose con passione, ma contemporaneamente
prendere le distanze. E' difficile, sembrano due cose inconciliabili,
ma altrimenti il rischio è quello di diventare autistici,
di chiudersi nelle proprie competenze, nei propri interessi.
A me scrivere piace, quando leggo un bel libro sono colpita,
la letteratura mi interessa. Ma la scrittura è una
cosa, una possibilità, ce ne sono tante altre.La
natura con il suo agire, prima di tutto. Capire, poi, è
un'altra cosa ancora. E poi ho molta ammirazione per le
persone che sono capaci di fare qualcosa con le loro mani
e lo fanno con piacere. Quando i gesti sono fatti con consapevolezza
diventano atti di resistenza. Una forma di rispetto, un
atto di fiducia, un modo per dire: si può fare la
differenza. E' un modo per opporsi alla ferocia. Quindi
i libri sì, ma non solo.
Nel suo stile di scrittura, così
come nella scelta di situazioni e personaggi lei si avvicina
ad alcuni giovani scrittori italiani (penso a Marco Desiati,
Matteo G.Bianchi, Marco Mancassola e in genere a tutta la
generazione post-tondelliana). Si sente vicina a quel che
si pubblica oggi in Italia?
Desiati, Bianchi, Mancassola... idee
di lettura che lei mi dà e che apprezzo. Ma di nuovo
scambio, senza voler dire che assomiglio a qualcuno di questi
nomi, ma solo che mi piacciono: Michele Mari, Silvana Grasso,
Giosué Calaciura, Roberto Alajmo, Erri de Luca, Pietro
Spirito... Comunque ho una visione frammentaria della situazione
letteraria in Italia, per dire se mi sento coinvolta. Ma
immagino di no, scrivere si scrive da soli, e non ho molti
contatti. Mi sento più coinvolta come lettrice, forse.
Questo secondo romanzo ha anche una
dimensione regionale, seppur velata: un luganese si riconoscerà
senz'altro nella salita alla Cattedrale, nella funicolare,
nei salami appesi in via Nassa. Come ha trasfigurato questi
luoghi quotidiani nel suo romanzo, qual è la loro
importanza?
Più andavo avanti con
Lacrima più prendeva
forma e forza l'idea di un libro in cui tutto succede lungo
una verticale, in pochi metri. La salita alla cattedrale
è una via di Lugano che mi piace e che conosco bene,
e vi ho fatto riferimento. Ma scrivendo è diventato
un luogo al di fuori dello spazio, per me Lacrima non è
ambientato a Lugano. Così come li vedo, tra l'altro,
i luoghi e le atmosfere del libro sono più "scalcinati",
più "decadenti". Per ironia, prima che
il libro uscisse, ha davvero aperto una libreria vicino
alla funicolare, ma non si chiama "Malatempora".
(Già nel primo libro, Lupe,
il luogo del racconto era un assemblaggio di luoghi reali
- in Capriasca, Onsernone, Maggia, Blenio, Riviera... -
che ha finito per esistere autonomamente nella mia testa.
Potrebbe essere Ticino ma non lo è necessariamente.
Ho bisogno di vedere i luoghi con precisione per portare
avanti la storia, spesso faccio degli schizzi; del "Poeti",
il bar di Lacrima,
ho fatto il disegno degli interni, per es. Non ho bisogno
della stessa precisione per i volti dei personaggi, invece.
E' strano: Ute, per es., che è il personaggio di
Lacrima a
cui sono più legata, non so esattamente che faccia
abbia...)
In un universo guidato dall'empatia
per i personaggi - anche i più goffi, coloro che
si nascondono, come il pingue Giano (gost di una giornalista
psicologa) o il perfido Spinne, non sono giudicati - alla
fine del romanzo sembra profilarsi una sorta di polo
dei cattivi": Ute ingessata nella sua rabbia che aguzza
la sua matita (metafora di un scrittura usata male"?),
Abel che trama sotto la superficie della sua cultura...
perché?
Nessun "polo dei cattivi",
in realtà. Lacrima
è un libro di tante solitudini, diverse e più
o meno sfumate. Spinne, il "laido" docente di
tedesco, è emarginato per il suo aspetto e i suoi
modi. Ute, la cameriera, è la più sola, perché
le ferite dell'infanzia non le sono servite a maturare una
visione più umana della vita e delle persone. Non
sa cogliere le occasioni positive e per questo rimarrà
sola, senza il conforto di un rapporto sereno con se stessa,
perché non si stima. Quanto all'altro "cattivo"
- Abel, il professore con il nome da vittima sacrificale
- diciamo che la sua pretesa di essere diverso e migliore
degli altri (più che la sua inclinazione a fare del
male) ha solleticato una qualche musa della scrittura in
animo di rappresaglia... Alla fine la sua sicumera subisce
un brutto colpo, la sua memoria lo tradisce, il tempo è
passato anche per lui.
Il finale del libro, folgorante,
commovente, inaspettato, è aperto: non sapremo se
Claudio ha ritrovato Pablo (morto o no in Africa), se Cosimo
riuscirà a salvare Mari Ann dai suoi fantasmi e dall'anoressia.
Semplicemente: la vecchia ossuta che fa la tirchia per un
cappotto di seconda mano si lascia invitare da Cosimo a
bere un caffè: un dettaglio, un gesto inaspettato
e in minore", ma che nella sua semplicità
può cominciare a trasformare il mondo. E viene voglia
di offrire un caffè a Claudia Quadri.
Pierre Lepori
© Le Culturactif Suisse
24.09.2003
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