Vincenzo Todisco
risponde alle domande di Elena Spoerl
Vincenzo Todisco, del suo primo libro,
Il culto di Gutenberg, edito da Dadò, esiste già
la versione tedesca. Anche Quasi un western, recentemente
edito da Casagrande, sarà tradotto?
Quasi un western è il mio
secondo libro di narrativa. Sì, anche questo come
il primo (Das Krallenauge è il titolo tedesco de
Il culto di Gutenberg), sarà trodotto da Maya Pflug
per la Rotpunktverlag.
Complimenti, é raro per un esordiente
essere subito tradotto.
Il primo libro è una raccolta
di racconti. E' stato trodotto solo il racconto omonimo,
il più lungo, che era quasi un romanzo breve. Certo,
mi ritengo fortunato perché, soprattutto dall'italiano
in tedesco, è molto difficile essere tradotti. E'
stato davvero un bel colpo.
E' intervenuta la Collana Ch?
Sì, ha segnalato il primo
libro per la traduzione. Ma poi è stato l'editore
di lingua tedesca a voler continuare.
Parliamo di Quasi un western. Vita
vera e parodia, realtà e fantasia: nel suo romanzo
si legano, si alternano, si compenetrano. La vicenda ricorda
il film Trueman show.
Sì, soprattutto nel finale
quando il professor Whyte, il protagonista, arriva in piazza
e capisce che è stato vittima di uno scherzo paradossale.
In una versione iniziale, il libro finiva proprio lì,
con quella scena che - è vero - presenta analogie
con il film. Poi discutendo con la commissione editoriale
ho capito che era meglio un altro finale.
Nel romanzo si narra una leggenda
indiana secondo la quale i nascituri, accompagnati da uno
spirito, scelgono i propri genitori e quindi anche il contesto
della loro nascita. Perché?
La leggenda viene assunta da Whyte
quale sua personale teoria scientifica. Nel libro propongo
due modi di affrontare la vita. Il primo è quello
dell'intuizione e della fantasia, il secondo quello della
scienza, della razionalità (che poi si rivela una
montatura). A noi, donne e uomini della post-modernità,
forse mancano un po' la fantasia, i miti, le leggende, tutto
quello che non è empirico. Manca una certa spiritualità.
Ci parli di Whyte, un personaggio fortemente
connotato.
Whyte è stato il punto di
partenza del romanzo. Tutto è iniziato con l'immagine
(che mi si è quasi imposta) dello scienziato che
cavalcava attraverso il deserto. Ho scritto allora di Whyte
che "vive la propria vocazione come una missione",
o di come lo si riconosca quale scienziato già dal
passo e dalla calligrafia; l'ho descritto mentre annota
le sue osservazioni. Così ho voluto caratterizzare
il protagonista. All'inizio Whyte dialoga ma non si sa con
chi parli. Solo verso la metà del romanzo chi legge
capisce chi sia l'io-narrante.
E del linguaggio, cosa può dirci?
Quando ho capito che la storia stava
diventando, appunto, proprio quasi un Western sono andato
a rileggermi i fumetti di Tex per recuperarne il linguaggio;
non l'ho ripreso in modo diretto ma facendone una parodia.
Prendiamo ad esempio lo scherzo: nei dialoghi ripeto spesso
"vuoi scherzare?" oppure "non sto scherzando!";
questo è sì un modo di riprendere il linguaggio
"da duri" dei personaggi western, ma è
anche un ammiccamento a chi legge, un avvertimento; infatti
alla fine tutto si rivela essere uno scherzo. Whyte arriva
a Dreamtown e proprio coloro che gli dicono "non stiamo
scherzando" si stanno prendendo gioco di lui. Il linguaggio
offre una chiave di lettura.
Poi c'è l'idea dei bambini
che non vogliono nascere, di tutte le donne gravide e tristi
di Dreamtown, chiuse in una casa senza finestre, in prolungata
attesa di una nascita incerta. Un'immagine terribile.
In termini realistici sì,
essere incinta e non poter mai partorire sembra terribile.
Ma leggiamovi la metafora in funzione della narrazione:
è la vita che si rifiuta, che non vuole proseguire,
perché attorno tutto è menzogna e falsità.
Fuori da Dreamtown si sta preparando l'apocalisse. Ho voluto
riprendere quell'atmosfera che c'è stata con il passaggio
del millennio e poi con l'11 settembre. Oggi mi sembra più
vivo che in altri tempi questo sentimento di fine. Per tornare
al romanzo, mancando questa dimensione mistica e spirituale,
i bambini non vogliono nascere. Non c'è più
un vero aggancio alla vita.
Personaggi come Flor de Lys e la
squaw, o il sindaco GS e George Stonewood, si rivelano alla
fine essere la stessa persona. Hanno una doppia identità?
Sì, perchè sono tutti
chiamati a svolgere anche un ruolo di finzione. Nel romanzo
ci sono due storie parallele, e alla fine, quando tutto
si svela, c'è la rivincita del protagonista beffato.
Il mondo della creazione e della fantasia arriva a smascherare
tutto e a trionfare sulla menzogna. E' la seconda storia
che fa emergere le vere identità ed è così
che alla fine si scopre chi è nel torto e chi nella
ragione. Perfino l'identità del narratore si scopre
solo più avanti; solo addentrandosi nel racconto
il lettore può capire che l'io narrante è
il cavallo.
Todisco, lei accenna pure all'attesa,
tematizzandola nelle gravidanze che si prolungano o nel
personaggio di Mr. Doc, l'eterno giocatore che aspetta di
vincere finalmente una partita conto Sestesso. Quale ruolo
attribuisce all'attesa nella vita?
Il romanzo vuole essere uno specchio
della nostra vita moderna, nella quale le coordinate stanno
diventando vaghe. L'attesa si prolunga sempre di più,
fino a che Whyte perde il conto dei giorni. Voglio esprimere
quello che sta succedendo nella nostra società: stiamo
perdendo il senso del tempo, e anche quello dei luoghi.
Dreamtown è un posto che non esiste. In questo momento
della nostra civiltà, pensiamo a internet, siamo
dovunque ma non siamo più da nessuna parte. Possiamo
far tutto in tempo reale, un tempo talmente reale che non
è più nemmeno tempo. C'è una dilatazione
delle due dimensioni (spazio e tempo) che ci disorienta.
Nel romanzo, il tempo si ferma e lo spazio si muove. Accenno
infatti anche a un deserto in pendenza.
Poi nel capitolo 41, la rivelazione,
ci ricorda trasmissoni televisive come Sei su candid camera
o Il grande fratello, vero? Lei infatti menziona reality
show
In quel punto la storia scoppia e
c'è lo smascheramento. Si capisce che tutto era una
montatura e Whyte non è stato altro che un burattino.
E certo, sottintendo anche una critica alla televisione,
dove oggi ogni cosa dev'essere spettacolo, l'audience è
tutto, e se ci sia qualità o meno diventa secondario.
Ha scelto di terminare con un pronunciato
happy end.
Sì, alla fine è il
mondo della fantasia e dell'autenticità ad avere
la meglio sulla menzogna. Perdente è il mondo falso
di Dreamtown, mentre le storie inventate continuano ad avere
una ragione d'essere. E' in quelle storie, in quell'altro
modo di affrontare la vita che scorre la linfa vitale. Alla
fine Dreamtown crolla, come la falsità. E' forse
troppo ottimistico?
Leggiamo in quarta di copertina "
capovolgimento satirico dell'esoterismo, del new age, del
falso scientismo". Si riconosce in queste parole?
Sì. Il libro contiene una
parodia della scienza, di quella scienza che oggi pretende
di poter spiegare tutto. Prendiamo l'altro scienziato, quello
che studia il deserto, che rappresenta il dopo-apocalisse.
Oltre il deserto, lontano da Dreamtown, già l'apocalisse
si sta preparando; dopo, tutto sarà deserto. E lo
scienziato crede di poter far ricrescere l'erba nel deserto!
E' come dire: possiamo tranquillamente distruggere, tanto
la scienza può rigenerare; non è importante
come trattiamo il mondo, tanto la scienza saprà ricrearlo.
Come è nato e cosa le ha dato
Quasi un western?
Sto lavorando a un altro libro, a
un grande romanzo che mi impegna parecchio. Niente di metafisico,
dato che si svolge in luoghi e tempi definiti, quindi una
storia che richiede un importante lavoro di documentazione.
E' un modo di scrivere totalmente diverso. Quasi un western
è nato in un momento di pausa per fatica durante
il grande romanzo. E' nato per la voglia di raccontare e
basta, come sfogo, l'ho scritto di getto, la fabula e l'intreccio
erano la cosa più importante, ero libero da qualsiasi
costrizione e perfino senza un disegno preciso.
Come s'intitolerà il grande romanzo?
Per ora il titolo di lavoro è
Tutti i rumori della vita.
Todisco, lei è molto produttivo:
si dedica alla scrittura a tempo pieno?
Tutt'altro! A Quasi un western ho
dedicato due anni, mentre a tempo pieno sarebbero bastati
alcuni mesi. Al grande romanzo lavoro dal 1999. Ho tempi
di gestazione molto lunghi. Scrivo tutti i giorni, ma a
volte solo 10 minuti. Lavoro a tempo pieno, invece, quale
insegnante alla scuola universitaria pedagogica dei Grigioni
e ho una famiglia con molti bambini. Ma con una buona dose
di disciplina riesco sempre a scrivere. Ho appena terminato
anche un libro per ragazzi, Angelo e il gabbiano, che sarà
presto presentato in Ticino per l'anno europeo delle persone
disabili.
Elena Spoerl
Page créée le: 01.10.03
Dernière mise à jour le 01.10.03
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