Renato Martinoni
Il tramonto degli dei, Storia e romanzo di
Cervo Bianco, Balerna, Edizioni Ulivo, 2004, pp. 126
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Renato
Martinoni / Il tramonto degli
dei |
ISBN 88-88530-16-9
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Ai primi di dicembre del
1924 arriva nel Cantone Ticino un personaggio eccentrico
e pieno di fascino. Si fa chiamare "Altezza il
Principe Tewanna Ray", ma molti preferiscono
il suo nome indiano: Cervo Bianco. Il "Capo"
pellerossa, che ha recitato in un film accanto a Rodolfo
Valentino, è reduce da una trionfale tournée
che - con il suo costume variopinto, le sue danze,
i suoi canti - lo ha portato sulle scene di mezza
Europa. Dice di avere attraversato l'Oceano per cercare
sostegni alla causa del suo popolo; racconta di essere
proprietario di vasti territori gonfi di petrolio;
in Italia, dove ha trascorso sei mesi (fra crociere,
bagni di folle deliranti, sontuosi ricevimenti, pantagruelici
bagordi) ha distribuito in regalo somme fantastiche
di denaro avute da due contesse stregate dal suo charme.
Ma l'uomo che attraversa il confine elvetico non è
più lo stesso che due anni prima era sbarcato
in Inghilterra. E' malandato, solo e senza il becco
di un quattrino. Il Fascismo, che lo aveva osannato
coprendolo di onorificenze, lo abbandona al proprio
destino. L'autorità giudiziaria lo sta tenendo
d'occhio. La commedia inscenata sta insomma per concludersi.
IL venditore di olio di serpente riesce ancora ad
aggirare la buona fede di qualcuno (e a rubare il
cuore a più di una donna). Poi viene processato
e finisce in prigione. Quindi si eclissa per sempre,
sparendo in quel nulla da cui era misteriosamente
uscito.
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Renato
Martinoni (1952) è ordinario di letteratura
italiana all'Università di San Gallo. Ha insegnato
nelle Università di Zurigo e di Losanna. E'
professore invitato di Letteratura comparata presso
l'università Ca' Foscari di Venezia. Scrittore
e traduttore, ha pubblicato edizioni di testi e studi:
sul collezionismo d'arte in epoca barocca; sul Settecento
riformatore; sulla poesia in dialetto; sulla letteratura
di viaggio; sulle relazioni fra la cultura letteraria
italiana ed europea; su autori moderni e contemporanei.
Fra i volumi recenti da lui curati: Cento anni
di poesia nella Svizzera italiana con Giovanni
Bonalumi e Pier Vincenzo Mengaldo, Locarno, Dadò,
1997; Antologia degli scritti di Piero Bianconi,
Locarno, Dadò, 2001; Dino Campana, Canti
Orfici e altre poesie, Torino, Einaudi, 2003.
Sul versante creativo ha pubblicato un romanzo, Sentieri
di vetro, Venezia, Edizioni del Leone, 1998. Per
le Edizioni Ulivo: Dialoghi eretici (1999)
e Il nome della pietra, racconti del lago (2002).
Il
tramonto degli dei, Storia e romanzo di Cervo Bianco,
Balerna, Edizioni Ulivo, 2004
Renato Martinoni est professeur
de littérature italienne à Saint-Gall
et auteur d'essais couvrant l'ère baroque,
moderne et contemporaine. Dans ce petit livre, il
raconte l'étonnante histoire vraie de Tewanna
Ray, alias Cerf Blanc: un chef Cherokee tantôt
emplumé, tantôt amidonné, qui
attirera à lui les foules, les femmes et les
gouvernements dans une bonne partie de l'Europe des
années 1920. Porté au pinacle par l'Italie
fasciste, distribuant magnanimement des sommes astronomiques
obtenues d'une comtesse par ses charmes, il est démasqué
et jugé au Tessin en 1925: le tout a été
une prodigieuse mystification et Cerf Blanc, de son
vrai nom Edgar Laplante, américain, se voit
condamné à la réclusion, laissant
derrière lui d'importantes dettes et des découverts
bancaires.
S'appuyant avec précision sur les documents
et les archives, Martinoni se contente d'une très
légère mise en forme narrative, propre
à rendre agréable la lecture. Il voit
dans cet épisode insolite une image avant-la-lettre
du totalitarisme médiatique, ainsi qu'un événement
révélateur de la crédulité
d'une population qui s'engouffrait dans le totalitarisme
politique. A noter que cette histoire à déjà
inspiré deux romans - parus en 1980 et en 2001
- à Ernesto Ferrero, actuel directeur du Salon
du livre de Turin.
(D'après l'entretien et
l'article ci-dessous)
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Cinque
domande a Renato Martinoni |
Le rocambolesche truffaldine avventure di Tewanna Ray alias
Cervo Bianco "Chief of the Cherockee Indians",
al secolo Edgar Laplante, hanno già ispirato due
romanzi (due versioni assai diverse di uno stesso romanzo),
di Ernesto Ferrero, attuale direttore del Salone del Libro
di Torino (Cervo Bianco e L'anno dell'indiano,
usciti nel 1980 e 2001 da Mondadori e Einaudi). Per quale
motivo ha ritenuto interessante tornare su questa vicenda
e sulla base di quali documenti originali?
Tewanna Ray è un personaggio
straordinario. Non tanto forse per ciò che è
(o che non è), quanto piuttosto per quello che riesce
a (far) costruire intorno alla propria immagine. La sua
vicenda può essere raccontata in tanti modi, anche
se c'è stato a suo tempo uno sforzo quasi generale
per cancellare la sua figura-meteora dalla Storia. Questo
è successo in particolare nell'Italia del Fascismo,
non per fortuna nella Svizzera degli anni Venti. Gli archivi
della polizia, quelli privati e le cronache dei giornali
hanno conservato molta roba interessante: lettere, rapporti,
verbali, tessere ad honorem, fotografie e via di
seguito. Non mi interessava tanto raccontare una vicenda
voyeuristicamente "borghese" (l'amore tra un falso
indiano e una giovane contessa) quanto piuttosto l'avventura
di un maliardo capace di niente e di tutto.
Nonostante il sottotitolo "Storia
e romanzo di Cervo Bianco", il suo libro si discosta
nettamente dalle biografie romanzate di Ferrero (nella seconda
la vita dell'avventuriero pseudo-indiano è osservata
dagli occhi ammirativi e delusi del suo segretario). Lei
sceglie uno stile volutamente cronachistico, da cronistoria
più che da romanzo. E' un modo per "giocare"
intellettualmente sul senso del romanzesco? Di mettere in
scacco una certa idea (anche molto ticinese, si veda per
esempio Mario Agliati) di storiografia raccontata? Oppure
ancora di dichiarare che la storia, anche quella universitaria,
è sempre racconto, sempre romanzo?
Sono arrivato alla scrittura narrativa
dopo parecchi anni dedicati alla storia culturale e alla
filologia. Vorrei comunque ricordare con Rousseau che si
può fare la storia "en réflexion"
oppure "en narration". Questa seconda possibilità
mi affascina molto (del resto c'è chi, da tempo oramai,
specie nell'ambito della comparatistica, considera la scrittura
storiografica come una forma di creazione letteraria). Il
sottotitolo del libro - "Storia e romanzo di Cervo
Bianco" - indica i due estremi dentro i quali si muove
la narrazione. Non voglio certo negare che, scrivendo un
testo di bellettristica, mi sento portato a riflettere intorno
al fenomeno della narrazione. Dopo tanto sperimentalismo
fine a sé stesso, dopo tanto bla bla intellettualistico,
dopo tante astrazioni pseudo-metafisiche credo sia giunto
il momento di tornare a raccontare e, per chi ne ha le doti,
a narrare. Raccontare vuol dire fondarsi, almeno all'inizio,
sui documenti; e guardare (con ironia, certo) alla realtà.
Se le avventure italiane di Cervo
Bianco si svolgono in un paese facile a credulità
ben più gravi (siamo nel 1924 del delitto Matteotti),
in Ticino il falso indiano è accolto dapprima con
scetticismo campagnolo, indi con una particolare crudeltà,
durante il processo per truffa che si svolge a Lugano. Ne
esce l'immagine non tanto del "paese dell'iperbole"
denunciato da Chiesa, quando di una piccola Mahagonny in
cui prima si sogna (il bengodi) e poi si punisce. Il sognatore
- diverso un poco stregone - è rapidamente rigettato
nel ridicolo. Come interpreta queste differenze?
Significa intanto che c'è
una bella differenza fra la società democratica,
sia pure essa provinciale, dove le falsità possono
essere in parte almeno denunciate, e il mondo grande e perverso
dei totalitarismi (quelli ideologici, prima, quelli mediatici,
poi) che usa gli eventi per fini propri, e che poi sovente
non sa più distinguere fra realtà e finzione,
anzi fra verità e menzogna. Finché il falso
"Chief of the Cherockee Indians" serve al sistema,
il sistema - cioè il Fascismo - in Italia lo venera
come un dio disceso dal cielo; quando la sua immagine si
sta rivelando sporca, ma soprattutto diventa troppo visibile,
tanto da fare ombra ai grandi capi, ecco che lo si elimina
brutalmente.
La figura di Tewanna Ray è
complessa e affascinante. Nonostante le follie irrazionalistiche
che scatena, non possiamo impedirci di trovarlo un poco
tenero, soprattutto quando arriva a Bellinzona sifilitico
e patetico. Il suo libro non sembra invece dimostrare una
particolare empatia nei confronti dell'"imputato Laplante",
osservato anzi nell'impietosa secchezza della cronaca. E'
una scelta dello storico, dell'intellettuale, del romanziere?
Lo studioso ha un proprio modo di
scrivere, e di parlare al proprio pubblico dei lettori.
Da qualche anno in qua - pur senza venire meno al mio mestiere
- sento il bisogno di scrivere anche diversamente, e di
parlare anche a un altro tipo di pubblico. Mi è capitato
varie volte di dovermi confrontare con la biografia (di
aristocratici seicenteschi, di eruditi settecenteschi, di
esuli ottocenteschi, recentemente del poeta Dino Campana).
Conosco per esperienza diretta i meccanismi mentali che
accompagnano questi lavori. Tewanna Ray non è un
raffinato collezionista di opere d'arte, non è un
paziente studioso di storia letteraria, non è un
intellettuale lontano dalla sua patria, non è un
grande poeta "pazzo". È solo un abile mentitore
(abile con la parola e con i gesti), spietato con gli altri
e con sé stesso. Possiamo guardare a lui con simpatia,
ma non con sentimenti di compassione o di compartecipazione.
E poi c'è un fatto che mi pare importante: durante
il processo a suo carico il falso Indiano dice che tutto
è stato teatro, che lui si sente attore di una messinscena
dove ognuno - anche chi lo ha portato in tribunale e lo
farà mettere in prigione - ha recitato la sua parte.
Come finirà la tragicommedia? Questo chiede "Cervo
Bianco" ai giudici che lo condanneranno, agli avvocati
che lo accusano, alle contesse che lo hanno viziato, alle
migliaia e migliaia di persone che lo hanno osannato.
Il ruolo (e la temperie) del fascismo
nella folgorante carriera di Tewanna Ray è abbastanza
evidente. La truffa è una sorta di cartina di tornasole
di una società pronta ai facili entusiasmi e con
qualche senso di colpa coloniale (non a caso Delio Tessa
ne trae una satira antifascista). A più riprese lei
insiste - nella sua cronaca della truffa di Cervo Bianco
- su possibili parallelismi con i fenomeni massmediatici
attuali. E' davvero possibile comparare queste due epoche
- il 1924-25 e il 2004 - e considerare la vicenda di allora
come un monito contro i persuasori occulti di oggi?
Credo proprio di sì. Anzi,
il falso Indiano anticipa con intelligenza - ecco l'aspetto
più straordinario della sua storia - le perversioni
della società dei messaggi gridati alla televisione.
"Cervo Bianco" è simbolo ante litteram
di un mondo mediatico che crea i personaggi dal niente e
poi li usa o li getta a seconda delle necessità.
E di un pubblico pronto a esaltare o a denigrare da un momento
all'altro. È una metafora dell'oggi, insomma. Una
meteora profeticamente comparsa con un secolo di anticipo
sugli eventi contemporanei.
LeCultur@ctif (PL)
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Articolo
di Michele Fazioli (Giornale del Popolo) |
Chi ha un po' d'anni sulle spalle sa chi fosse Tewanna Ray,
il mitico grande Capo indiano che, vestito da Principe dei
Pellerossa con piume sgargianti oppure fasciato da eleganti
abiti gessati all'occidentale, spadroneggiò in Europa
negli anni Venti ottenendo onori, adulazioni, denari, innamoramenti,
salvo rivelarsi poi un sublime malfattore, un imbroglione
geniale che seppe tenere in scacco folle e governi. Ne sanno
qualcosa i ticinesi, che questo bel tomo ospitarono nel
1925. E prima di essere definitivamente smascherato e catturato
proprio in Svizzera, Tewanna Ray (o Cer-vo Bianco) ebbe
il tempo di far sospirare insospettabili signore ticinesi,
di sedersi a ricche tavole patrizie, di spillar soldi a
destra e a manca e sparpagliarne altri (non suoi) in compiacente
beneficenza, di lasciar debiti scoperti e di presenziare,
applauditissimo ospite d'onore, nel "palco del go-verno"
del Teatro Sociale al co-spetto della "Bellinzona bene".
A dire il vero qualche sospetto gra-vava
da tempo su questo incanta-tore ineffabile e anche alcuni
giornali ticinesi, in controcanto rispetto ai trafiletti
entusiastici di altri, seminavano maliziosi dubbi su questo
presunto Principe pellerossa. Le vicende del talentoso truffatore
e la sconcertante catalessi di lucidità di tanti
poteri e folle vengono raccontate in un gustoso libretto
scritto da Renato Martinoni per le Edizioni Ulivo di Balerna.
Martinoni, docente di letteratura italiana all'Università
di San Gallo e attento ricercatore, ha lavorato sui documenti
con assoluta precisione. E dunque questo suo romanzo è
sì inventato nel taglio narrativo (la forma, la drammaturgia:
come quando Cervo Bianco, prima di sorridere benevolo a
qualche nobildonna di lui invaghitasi, aspira lenta-mente
il fumo di una sigaretta e accavalla le gambe con eleganza
)
ma è fedelissimo ai fatti realmente accaduti. Il
rigore documentaristico e l'agile piglio narrativo conferiscono
al libro una sveltezza di racconto, una duttilità
espositiva che danno un piacevole esito di lettura. Il romanzo
"vero" parte dall'apparizione pubblica di questo
fantomatico Chief indiano e ne descrive le gesta ardite,
tutte fondate su una credulona compiacenza. Lui, di suo,
ci metteva il suo volto bruno e intenso di seduttore, le
molte lingue conosciute, una capacità affabulatoria
eccezionale e il conto in banca della contessa Kehvenhüller
e della figlia contessina, letteralmente sedotte e stregate
dal nostro indiano, che poi non era un indiano ma mezzo
americano e mezzo belga di nome Edgar Laplante, una specie
di apolide provvisto di una deviata genialità e forse
anche patologicamente affetto da una sua mania di "grandeur".
Il libro di Martinoni narra le vicende di Cervo Bianco dai
suoi esordi in Inghilterra e poi in Francia e in Italia
(dove lusingherà, ricambiato, il nascente fascismo
in cerca di altisonanti visibilità) fino all'ultima
tappa, quella svizzera: colpito da una forma di epatite
sifilitica (il Nostro non andava per il sottile in quanto
a costumi privati) viene mandato dal medico curante a un
suo collega e amico che dirige l'ospedale di Bellinzona;
qui ritempratosi un poco, Tewanna Ray fa in tempo a sedurre
anche i ticinesi, al punto che recandosi a Lugano in visita
con il suo autista, fa una breve sosta a Rivera dove, scrive
il Martinoni, "ha offerto un rinfresco a varie centinaia
di persone che lo stavano aspettando lungo la strada. In
realtà si è dimenticato di pagare il conto,
ma il municipio decide di provvedere perché, giura
qualcuno, Cervo Bianco ha promesso di dare un sostanzioso
contributo per la costruzione dell'Asilo infantile
".
Dopo la serata di gala al Sociale, le cose precipitano,
la contessa e la contessina finalmente aprono gli occhi
e denunciano il malaticcio Cervo Bianco, che viene arrestato
alla Stazione di Bellinzona. L'ultima parte del romanzo
narra le vicende colorite e persino grottesche del clamoroso
processo, prima che il Laplante, detronizzato del suo titolo
fasullo, ritorni nel nulla da cui era giunto.
Il tramonto
degli dei, Storia e romanzo di Cervo Bianco, Balerna, Edizioni
Ulivo, 2004
Michele Fazioli
Page créée le: 24.08.04
Dernière mise à jour le 08.09.04
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