Imprudenza di Ganimede
Poco più giovane del Gitone di
Petronio, Ganimede implora Giove di liberarlo dai vecchi che lhanno
svilito.
Corpi che mi faceste a buchi di giorno
Io vomito la vostra aria di casa!
Se solo un portamento da fanciulla mi salva dal penare
E questo il frutto del vostro amore...
Dove andrò mai a far morire il profilo mio troppo danzante?
Vi detesto, oh mani che voi credete alate
Strette fredde e maculate...
Vi odio, occhi che mentono agli oggetti trasparenti!
E voi, baci dai denti salati
Che, dileggiando i morti, finite i morenti!
Dallaggeggio viscoso di rossori ed allarmi
trasuda stomachevole questo madore di armi...
Quando il sudore brilla sulla loro cute
Queste braccia compassate, queste braccia la cui morsa graffio
Credonono dunque, così, sfavillare di lacrime?...
Che mai cercano in me questi vecchi coltelli di sangue?
Quale inguaribile ferita?...
Più ruvide sulla mia nuca, oh barbe, che la stoffa di saio
Sotto il vostro mantelluccio mi raccuccio ma assente...
Mirrigidisco! Ma il mio destino resta innocente!
Fiati che tatuate le mie scapole di anelli
E che cagliate colle vostre paternali paciose
Questi ricci che mia madre tesseva in fulvi fili,
Aliti striati di conati di erbe odorose,
Se mi estàsio, sarà soltanto allacme del disgusto.
Giove! Giove! Maestro delle alte menzogne!
Solo padre che mai osò spingere i sogni
A dirotto sul calore dei suoi figli prediletti,
Nel cielo ove selevano queste mie braccia
Liberami tra i molti rapimenti benedetti!...
***
Fino al culmine dellaria questa nebbia di vergogna!...
Ganimede invano si distende a strapiombo sulla sera:
O passi! Trampoli di ogni vicenda!...
Nella sua mente, sale, oh come sale!
Stretto da braccia bianche sbocciate da un uccello nero.