Mona Chollet, giornalista di origine
ginevrina che viva a Parigi, gestisce da anni un sito internet
stimolante e un po' anarchico (www.peripheries.net),
dove ama gettarsi "sugli autori in modo appassionato
e violento, mandando a quel paese tutti gli apparati critici".
"Periferie" letterarie
nella rete
di Francesco Biamonte
Nata a Ginevra nel 1973, Mona Chollet
ha studiato giornalismo a Lille, per poi trasferirsi a Parigi.
Penna vivace e intelletto vigile, piena di energia e di voglia
di riflettere, Chollet ha un modo del tutto particolare di
associare la lettura dei testi letterari alla critica sociale
e culturale. Prolissa, non si sente in dovere di farla breve.
Nel suo sito si trovano dunque pagine e pagine di riflessione
sui libri che la ispirano: una sorta di rivincita sugli obblighi
di rapidità ed efficienza del giornalismo. Grazie ad
uno stile fluido e piacevole, riesce però a convincerci
e ad appassionarci delle sue riflessioni.
Mona Chollet, lei è giornalista:
per quale motivo ha voluto creare questo sito così
singolare, così lontano dai canoni del giornalismo
attuale?
Il sito è nato prima del mio
ingresso nella vita professionale. Thomas Lemahieu ed io lo
abbiamo fondato durante il nostro periodo di studi alla scuola
di giornalismo di Lille. Era un momento in cui i nostri sogni
e la nostra idea di questo mestiere si scontravano con la
realtà della pratica quotidiana, con le esigenze del
mercato. Avevamo dei sogni, degli ideali, e scoprivamo un
mestiere, con tutto quanto di più prosaico comporta,
con le sue piccinerie. Con il sito, ci siamo offerti uno spazio
in cui fosse possibile evitare gli obblighi che la nostra
attività giornalistica "ufficiale" comportava:
gerarchia, rendimento, adattamento a un certo tipo di lettore,
dipendenza dall'attualità nel suo senso più
restrittivo
Soprattutto, uno spazio dove coniugare il
piacere della lettura e la passione per l'attività
intellettuale con uno sguardo critico sull'attualità.
Passioni malaccette, alla scuola di giornalismo, dove eravamo
considerati "intellettualoni" dai nostri compagni
e non certo per farci un complimento. Una volta entrati nella
scuola, molti di loro smettevano di leggere tutto quel che
non aveva a che fare con i media: al limite leggevano i fast-book
di altri giornalisti o qualche romanzo di moda
. Questo
produceva una mentalità estremamente povera, deprimente,
un vocabolario limitato al gergo giornalistico, molti pregiudizi,
frasi fatte buone ad ogni impiego, il tutto abbellito da qualche
gioco di parole, di cui magari l'autore era assai fiero, ma
che personalmente mi lasciavano basita.
Perché avete scelto per il
vostro sito il titolo "Periferie" e soprattutto
il sottotitolo "scali al margine" (escales
en marge)?
Il titolo riflette la convinzione che
i discorsi più pertinenti e le situazioni più
significative non sono per forza di cose laddove i media di
massa li cercano. Abbiamo, ad esempio, realizzato molte interviste
con intellettuali o artisti (che noi chiamiamo "uomini
di bene") che sono raramente interpellati dalla stampa,
lontani dalle luci della ribalta, ma il cui lavoro ci sembra
essenziale. Autori che hanno modificato il nostro modo di
vedere o - addirittura - di stare al mondo. Senza voler cadere
in uno "small is beautiful" troppo sistematico,
siamo tuttavia coscienti di riflettere punti di vista minoritari.
Il vostro sito integra in modo appassionante
lo sguardo sulla letteratura in un discorso politico e sociale.
Potrebbe in qualche parola spiegarci il posto che occupa la
letteratura nel vostro sguardo sul mondo?
Credo di avere un approccio al contempo
estremamente rispettoso ed irrispettoso della letteratura.
Non ho mai potuto veramente abituarmi al modo in cui se ne
parlava all'università: con una sorta di pesantezza,
di prestigio che paralizza, con citazioni, convenzioni universitarie,
pose; con linguaggio estremamente codificato
Qualche
volta ho potuto assistere a un corso entusiasmante, in cui
il lavoro critico permetteva di aumentare ulteriormente l'impatto
dell'opera; altre volte ho però avuto l'impressione
che il fine inconscio era piuttosto di annichilire l'opera
e il suo impatto su di noi. Mi torna alla mente, in particolare,
un seminario su Corinna Bille
Insomma, l'approccio "inquadrato"
della letteratura mi ha più scoraggiato che stimolato.
Quel che preferisco, dunque, è precipitare su un autore
in modo appassionato e violento, mandando a quel paese tutti
gli apparati critici.
Lei definisce la Svizzera un "paese-bozzolo,
che è sempre rimasto al riparo da tutto". Non
lo sembra un po' un cliché?
Oh sì, certamente, è
un cliché
Ma un cliché estremamente
vero! Quando stavo a Ginevra, avevo l'impressione di vivere
molto protetta, e il fatto di lasciare la Svizzera mi ha confermato
in quest'idea. Soprattutto quando sono finita nella regione
del Nord-Pas-de-Calais, sconvolta dalla disoccupazione! La
violenza sociale, a cui non ero abituata, è stata uno
schiaffo in pieno viso. Eppure non è questo che mi
ha colpito in modo particolare: ho trovato la città
di Lille accogliente, colorata, viva, calorosa
In Francia,
per strada, nei contatti quotidiani, ho trovato i rapporti
umani più naturali, più spontanei, più
ludici. E' ovviamente una situazione a doppio taglio: secondo
me, la Svizzera protegge da tutto questo, ma ci toglie anche
qualcosa. E' vero che nei giorni in cui sono scoraggiata,
posso invertire i termini di questa opposizione
Ma la
maggior parte del tempo, non rimpiango di essere partita.
Questo equilibrio da cercare, tra lavoro interiore e implicazione
sociale, contemplazione e azione, preservazione e rischio,
è l'ossessione che ho cercato di sviluppare teoricamente
nel mio libro La tirannia del reale. E forse, in fondo,
è una preoccupazione molto svizzera!
Adattamento italiano LeCultur@ctif Suisse.
La versione integrale in francese:
www.culturactif.ch/invite/chollet.htm
Page créée le
07.12.04
Dernière mise à jour le 07.12.04
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