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Giornale del Popolo

  Jean-Louis Kuffer: la letteratura come arte dell'incontro, di Jean-Michel Olivier

La passione condivisa - le note di lettura di un giornalista-romanziere
Jean-Louis Kuffer: la letteratura come arte dell'incontro

Di Jean-Michel Olivier

Jean-Louis Kuffer è senz'altro uno dei più noti critici letterari della Svizzera Romanda: giornalista per il quotidiano losannese "24heures" ha fondato - e tuttora dirige - la rivista di critica "Le Passe-Muraille". E' autore di una dozzina di libri, tra cui il romanzo Le viol de l'ange (1997) e il libro di racconti Le maître des couleurs (2001).

Il suo nuovo libro, Jean-Louis Kuffer, Les Passions partagées - lectures du monde (Orbe, Bernard Campiche Editeur, 2004) raccoglie i suoi appunti di lettore dal 1973 al 1992. In che modo è nato?

Il progetto di queste Passions partagées risale agli anni '73-'74. Fu allora che la forma mi è diventata chiara: una combinazione tra il diario personale e testi più elaborati, con toni molto diversi - lirici oppure critici, intimisti o discorsivi - relativi alle mie letture, agli incontri o ad altre esperienze che mi hanno forgiato. Quest'idea di un "libro da soma", che frammischia i generi in un unico flusso discorsivo, corrisponde al mio bisogno di conciliare aspetti diversi se non antagonisti della mia percezione della scrittura, in continua oscillazione tra l'apollineo e il dionisiaco, tra il cerebrale e l'affettivo, tra il nord e il sud, l'ondulatorio e il corpuscolare e via discorrendo. La forma frammentaria delle Foglie cadute di Vassilij Rozanov, le Mille e una greguería di Ramon Gomez de la Serna o il Diario di Jules Renard sono state il mio punto di riferimento in quegli anni. Recentemente ho trovato questa formula ne La pazienza dell'arrostito di Guido Ceronetti. Ma potrei citare anche i Journaliers di Marcel Jouhandeau o L'Etat de poésie di Georges Haldas, le cui epifanie familiari hanno a che fare con la stessa presenza concentrata che, da parte mia, chiamo "état chantant". Il libro esiste dunque dal 1973 e ho continuato a svilupparlo, cambiando più volte il titolo. Nonostante le stasi di questo lavoro, ho sempre continuato a sognare un libro che fosse una sorta di sintesi poetica dei miei anni di formazione.

Quel che colpisce, nel suo libro, è l'idea molto bella che la lettura (prima ancora che la scrittura) sia una strada verso l'altro, fatta di attenzione, di costante ascolto - il senso più autentico della condivisione. In che modo l'esperienza silenziosa e solitaria della lettura modifica (e ha modificato) la sua visione del mondo?

A dire il vero tutto è per me lettura e mi sforzo di trarre da ogni cosa un bene. I libri mi hanno accompagnato sempre e ovunque e continuano ad farlo, anzi sempre più. Ma m'impregno anche dell'atmosfera di un Buffet della stazione o di un viaggio in treno, tanto quanto della lettura di un libro o di una conversazione con gli amici. La mia "visione del mondo" è probabilmente la somma di tutto ciò. Detto questo, per tornare al silenzio e alla solitudine che lei ha evocato, la mia esperienza fondatrice di "lettore del mondo" risale alle prime camminate solitarie nella bosco, durante le quali mandavo a memoria le poesie di Baudelaire o di Nerval, di Verlaine (il mio preferito) o di Apollinaire. Avevo 13-14 anni e ho avuto in questo modo la misteriosa percezione di essere l'individuo che sono e non un altro. In seguito, le parole di René Char e di Gustave Roud, intorno ai 18 anni, e poi quelle di Charles-Albert Cingria, a venticinque, hanno risvegliato in me una musica che mi appartiene…

Il suo libro dimostra che la letteratura non è soltanto una "passione gelosa" ed elitaria (Mallarmé), ma che apre la strada per decifrare il mondo, e permette numerosi incontri. Un libro sfocia sempre necessariamente in un incontro?

Dipende da cosa intendiamo con questa parola. Quando lo incontrai la prima volta, nel 1973, Georges Haldas insistette molto sul fatto che desiderava un incontro e non un'intervista. E così è stato: quel primo pomeriggio passato al Domingo di Ginevra (cui accenno effettivamente all'inizio del mio libro) fu un incontro indimenticabile. Ma è anche vero che ho incontrato Haldas nei suoi libri più che nei caffè ginevrini o nelle serate passate a casa di amici comuni. E gli incontri con Philippe Jaccottet o Gustave Roud si riducono a due momenti di grande presenza umana. Pierre Gaspari e Joseph Czapski sono stati amici, più che "scrittori", "artisti". Eppure il loro incontro ha contato per me più di quello con numerosi scrittori e artisti. I ritratti che ho inoltre realizzato (Pierre Jean Jouve, Lucien Rebatet, Vladimir Vokoff, Patricia Highsmith, in particolare) erano come una "sporgenza" del personaggio, in risonanza con la lettura dei loro libri. Se avessi voluto fare del "turismo" letterario, avrei potuto degustarne cento altri, ma non è mai stata la mia idea. Qua e là, forse. Mi sono lasciando andare anche a parlare dello "zoo" letterario, dove la specie Tournier sta accanto alla specie Sulitzer (oggi potrei aggiungere gli Houllebecq, i Beigbeder)… Ma in fondo - e per me è un valore assoluto - credo come Proust che il "vero io" dello scrittore sia nell'opera e che l'individuo ci può raramente dare di più di quest'ultima.

Passions partagées si chiude con un bellissimo omaggio - in forma di Requiem - a sua madre…

I miei genitori non erano grandi intellettuali. Ma ci dicevano: "Ascolta…", oppure "guarda!". Ed è stato la prima condivisione, per la vita.

Adattamento italiano: Le Cultur@ctif Suisse

L'intervista completa (in francese): http://www.culturactif.ch/livredumois/juillet04kuffer.htm


Page créée le 22.07.04
Dernière mise à jour le 22.07.04

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