Già dalle prime pagine de
Il figlio del giorno dopo (Le fils du lendemain,
Éditions Zoé, 2006), lei evoca i tormenti e
il sospetto che l'hanno presto convinta di non avere lo stesso
padre di suo fratello maggiore. Questi dubbi si sono insinuati
in lei attraverso una voce interiore che s'immischia in tutti
i suoi gesti più intimi e che lei assimila in presenza
di una scimmia. Come pensa di essere riuscito a sbarazzarsi
di questa insidiosa e oscura presenza?
È interessante e sconcertante
percepire una "scimmia in sé". È un
viaggio intimo che può portarvi lontano e, col rischio
del naufragio, deve condurvi a riva. Sono giunto a una risposta
abbastanza chiara per vivere in pace con questa scimmia che,
sebbene resti avvolta da una fitta nebbia, è diventata
uomo. Oltretutto, ho sempre amato le scimmie.
In che cosa la scrittura del suo
racconto ha contribuito a zittire il più definitivamente
possibile questa sua angoscia esistenziale?
Sicuramente mi sento più leggero
da quando ho scovato il non-dit della mia nascita nella
sola mia forza d'intuizione, verificata nelle pipette di un
laboratorio. Quanto all'angoscia esistenziale, non mi sembra
legata al fatto stesso di esistere. Spero che me ne resti
abbastanza per proseguire il mio viaggio nella letteratura.
La letteratura ha come funzione di parlare dell'umanità
nella verità, di insegnarci di più su chi siamo.
Lungo le pagine che la portano a
narrarci con una rara ed emozionante precisione la giornata
al termine della quale riesce a chinarsi sulla tomba del suo
vero padre, ci si potrebbe domandare se e quanto a lungo ha
dovuto lavorare e ritornare su questo brano che sfila davanti
agli occhi in fretta e furia.
È un testo molto lavorato. Non
sono interessato a mettere in vetrina l'io, quello che mi
preme è la creazione di un'opera letteraria, quale
che sia la parte autobiografica.
Perché ha scelto di mettere
in esergo un brano della Lettera al padre di Franz
Kafka, elevando così il fatto di fondare una famiglia
al rango della più alta riuscita che un essere umano
possa raggiungere?
Sono un grande ammiratore di Kafka.
La sua Lettera al padre, in realtà, non è
mai pervenuta al suo destinatario ed è stata pubblicata
ben dopo la sua morte. Aveva dei rapporti molto difficili
con suo padre, un misto di ammirazione e avversione. Kafka
non si sentiva capace di assumere una paternità e sono
persuaso che la frase citata in esergo è totalmente
sincera. È difficile essere un uomo, e più ancora
essere un padre in mezzo agli uomini. "Accettare tutti
i bambini che arrivano, farli vivere in questo mondo incerto
e addirittura guidarli un poco", sono convinto, con Kafka,
io che sono tre volte padre, che è una delle più
alte riuscite a cui l'uomo possa arrivare.
Perché scegliere di pubblicare
questo libro sotto pseudonimo, se poi, senza problemi apparenti,
ha accettato di lasciarsi svelare così facilmente?
Questo è dovuto al tipo di lavoro psicologico che è
riuscito a portare a termine?
Il narratore de Il figlio del giorno
dopo si chiama Trellert e l'autore si chiama Bernard Jean.
Ma Jean-Bernard Vuillième non è morto. Non vuole
nascondersi. Assume a giusto titolo la paternità del
personaggio e quella dell'autore. La domanda da porsi ancora
è: come firmerà in futuro?
Traduzione: Yari Bernasconi
L'interview en français
: http://www.culturactif.ch/livredumois/juillet06jean.htm
Page créée le 10.08.06
Dernière mise à jour le 10.08.06
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