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Editoriale

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La rivista «Viceversa letteratura» da anni magnifica la ricchezza transculturale e multi-linguistica della letteratura elvetica. Questo significa che privilegia il dialogo sul dibattito, il consenso sul dissenso? Oppure che è una compunta teoria di altarini a onore e gloria dei «nostri prodi», letterati elvetici in odore di santità multiculturale? «Viceversa Letteratura» fa un discorso educato nel paese del consenso?

Una rivista ha senso e rilevanza non tanto per il prestigio degli autori presentati, quanto nella sua capacità di mettere in relazione, stimolare gli incontri, i dibattiti, e – perché no – anche qualche choc salutare. Se la letteratura induce alla calma, alla riflessione approfondita, ai passi di velluto, la sua stessa essenza è paradossale: «Il poeta è un anello della atena della tradizione e al tempo stesso è solo, legato e libero, dipendente e audace», afferma Andri Peer a pagina 153 del presente numero di «Viceversa».

Nella messa in evidenza delle differenze, non ci interessa tanto il principio di una generica tolleranza quanto appunto l’individuale, il
particolare, che a guardarlo da vicino sempre interroga noi stessi, e che, fattosi lingua, distingue lo scrittore.

Gli scrittori presentati nell’edizione del 2009 sono lo specchio di questa libertà: Frédéric Pajak costruisce i suoi libri tra scrittura e disegno, facendo dialogare figure distanti e sensazioni note; Rafik ben Salah inventa un francese mescidato coi colori e coi suoni della Tunisia natale, per poi attaccare giocosamente il mito nazionale di Guglielmo Tell, ripromettendosi d’ora in poi di essere uno scrittore svizzero; Jürg Laederach traduce scrivendo o scrive traducendo; Jürg Schubiger è uno scrittore per l’infanzia i cui apologhi trasognati interpellano filosoficamente gli adulti; Tim Krohn rivendica una scrittura post-moderna, in un sapiente saliscendi tra dialetto glaronese e raffinatezze stilistiche, quanto alle due voci femminili presentate, Eveline Hasler si tiene sapientemente in bilico tra storia e psicologia, Rose-Marie Pagnard tra musica e narrativa…

I due Focus e il Dossier speciale sono anch’essi tutt’altro che tranquillizzanti: quello dedicato alla cultura in mutazione della Svizzera italiana osa una visione problematica, ancorché nebulosa, di questo contesto culturale (una visione a tinte fosche a cui si oppone decisamente, poche pagine dopo, una più positiva disanima dell’annata letteraria in Ticino); il capitolo dedicato agli scrittori retoromanci mette poi il dito su una problematica ancora irrisolta: può una letteratura che difende un territorio modesto e una lingua minacciata aprirsi alla modernità senza tradire la sua dimensione identitaria? Il dossier speciale sui «Luoghi reali e utopici della letteratura elvetica» disegna infine una cartografia (fatta di analisi colte ma anche di testi d’autore) in cui la Svizzera, con i suoi idilli e le sue sicurezze, non si trova sempre esattamente nel luogo in cui la si attende.

Conclude il numero, come di consueto, una dettagliata panoramica della produzione letteraria dell’anno ormai alle spalle: non una fredda compilazione, ma uno sguardo critico, che assume il punto di vista di una redazione e di una rete di collaboratori che amano il dibattito, il confronto e (questo sì) la valorizzazione di una letteratura – quella elvetica – sempre più ricca e viva di quanto si possa credere.

 

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