Dopo Registro dei fragili, 43 canti, del 2009, e L'opposta riva, pubblicato nel 2006, Fabiano Alborghetti propone presso l'Arcolaio di Forlì una nuova raccolta di dodici testi, riuniti sotto il titolo Supernova e tenuti insieme da una trama tanto delicata quanto intensa. Il libretto, se dal punto di vista delle modalità del canto si allontana dai precedenti lavori, non se ne distanzia invece per l'empatia con cui tratta il tema della malattia. Un'empatia che è strettamente legata all'impegno civile della scrittura di Alborghetti. Il poeta riesce infatti a combinare, pure nell'esiguo spazio di pochi versi, un respiro subito articolato, grazie alle immagini forti e al fraseggio prosastico, prosciugato, dai suoi aspri, e a una chiara, schietta posizione dell'io poetico, che incarna chi accompagna, o sta accanto alla persona colpita: una posizione che si vuole partecipativa, ma anche, ci sembra, che non vuole nascondere nulla della propria impotenza di fronte al disagio dell'altro.
Le smisurate dimensioni dell’universo presenti nel titolo, nell'illustrazione di copertina e nella nota incorniciano le dodici poesie che si radicano profondamente nell’umanità e testimoniano la sua sofferenza: «Il panico esplode, irradia / ti ferma: congelata sei ferma / in ascolto della paura». L'autore inserisce in una equilibrata prospettiva la paura ad essa legate, l’impotenza di fronte alla fragilità svelata in una persona cara, ed evoca attraverso suoni, ripetizioni non insistenti, ma a loro modo terapeutiche per quanto il dire una parola, il sentirla e il vederla materializzata, può in qualche modo lenire un dolore: «Il sonno pieno dentro il farmaco / perché il farmaco sostiene, protegge, cura. // [...] il farmaco l'hai preso come fosse una preghiera». Anche gli avverbi di tempo, «oggi», «ora», si ripetono o vengono sottolineati ponendoli a fine verso:«Ogni giorno / oggi il giorno»; e la narrazione si svolge prevalentemente al presente, sia quella di un tempo sospeso indotto dal medicamento che contiene: «Quella stasi dove tutto è controllato», sia l’arresto del tempo, l’annullarsi nel punto zero di cui però si ha piena, lancinante coscienza: «Il panico esplode, irradia / ti ferma», «Particola /d’insetto dentro l’ambra [...] // Riconoscerti guardando controluce», benché «Il tuo tempo è sempre dopo, quando avanza/ se ti avanza».
«Allora mi prende l'angoscia che anche al di là della barriera del collasso gravitazionale il tempo continui a scorrere: un tempo diverso, senza rapporto con quello rimasto al di qua, ma ugualmente lanciato in una corsa senza ritorno. In questo caso l'implosione in cui mi getto sarebbe solo una pausa che mi viene concessa, un ritardo frapposto alla fatalità cui non posso sfuggire», fa dire Italo Calvino a Qfwfq, nelle Cosmicomiche (L'implosione, 1984). Anche Supernova proietta a suo modo il lettore in questo paradosso affascinante e terribile. Che l'esperienza dell'attacco di panico riproduce in tutta la sua violenza, anche se in scala umana: «anche l’ombra nera che ti mangia il fiato / il battito mancato quando tutto torna indietro». Nella nota a chiusura del libro, l'autore cita una frase dall'articolo di wikipedia in italiano dedicato alla supernova («L'esplosione di una supernova è caratterizzata da un'emissione luminosa tale che può uguagliare per un periodo di tempo limitato la luminosità della galassia che la ospita»), nella quale però fa un'operazione significativa: sostituisce «esplosione» con «implosione», evidenziando dunque la centralità del fenomeno, non solo per la sua portata stellare – in astrofisica, l'implosione, il collasso di grandi stelle, è parte del sistema di fenomeni che interessa le supernovae –, ma anche come metafora di un crollo fisico e emotivo. Un crollo che in fin dei conti, non si riduce all'incenerimento, all'annullamento, ma – così come le supernovae elaborano nuovi elementi a partire dalla loro trasformazione – è anche produttivo, quello di portare in sé le risorse per uscire dal buco nero, e ripartire: «Quanti rami tagliati / pareva un danno. Il tronco nudo / è un corpo monco, una specie di solitudine. // Radici sotto, emergono di tanto in tanto. / Altezze contrarie, profondissime: / senza ordine, senza nome crescono. // Ogni radice è racchiusa da un grembo»
Roberta Deambrosi
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