Aurelio Buletti
E la fragile vita sta nel crocchio, Lugano,
alla chiara fonte, 2005
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Aurelio Buletti
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Aurelio
Buletti / E la fragile vita
sta nel crocchio |
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Aurelio
Buletti, nato a Giubiasco nel 1946 e laureatosi
a Milano, vive attualmente a Lugano, dove insegna
in una scuola media. La sua esperienza poetica inizia
nel 1973, con la pubblicazione a Lugano (Pantarei)
di Riva del sole. Successivamente pubblica
Né al primo né al più bello
(Sassari, iniziative culturali, 1979), Terzo esile
libro di poesie (Lugano, Mazzucconi, 1989), Segmento
di una lode più grande (Lugano, alla chiara
fonte, 2002), Temi (ivi, collana 10x10, 2004)
e E la fragile vita sta nel crocchio (ivi,
2005). Nel 1998, l'editrice Empreintes presenta una
traduzione francese dei suoi primi tre libri curata
da Adrien Pasquali. Da segnalare, inoltre, la pubblicazione
di un libro di racconti presso Casagrande (Bellinzona),
nel 1984: Trenta racconti brevi.
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I disegni originali che arricchiscono questa pagina,
concepiti per il cofanetto di poesie di Aurelio Buletti
dal pittore ed editore Mauro Valsangiacomo,
sono riprodotti per gentile concessione dell'artista.
Aurelio Buletti E la fragile
vita sta nel crocchio, Lugano, alla chiara fonte,
2005
Avec ce coffret, Aurelio Buletti
poursuit en quatre petits volumes édités,
illustrés et confectionnées par l'éditeur
Valsangiacomo une oeuvre très équilibrée
et stable on a pu lui reprocher de ne pas savoir évoluer),
inaugurée il y a une trentaine d'années.
On y retrouve un poète préoccupé
par le thème du temps et de sa dimension cyclique,
par la vie et la mort, par l'opposition entre matière
et forme, par l'activité poétique elle-même,
toujours sur ce ton de légèreté
subtile, volontiers autoironique ou amusée,
qui caractérise Buletti. Ce dernier se prête
au jeu de l'interview, mais il n'y poursuit pas les
pensées et les pistes proposées par
le journaliste, et décline certaines perches
que lui tend ce dernier, montrant par là qu'il
ne souhaite pas, commenter sa poésie ou de
donner des éclaircissements autres que très
techniques et concrets à son sujet. Interrogé
sur la question de l'absence d'évolution de
son écriture, il confesse n'avoir pas d'intérêt
pour cette problématique, peut-être parce
qu'il ne se sent pas capable d'écrire autrement.
(D'après les articles
et l'entretien ci-dessous)
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Quattro
poesie (Aurelio Buletti) |
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BAR MONTI
Seduti a un tavolino,
manchevoli di briciole,
nulla donammo ai passeri chiedenti:
fu il loro un iter di sola speranza.
***
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BAR MONTI
Assis à une petite table
comme les miettes nous faisaient défaut,
nous ne donnâmes rien aux moineaux quémandeurs
leur chemin ne fut que d'espoir.
***
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28.2.
Nevica
nel bianco si riposa, lievemente
l'amorosa, l'inquieta che chiamiamo
vita.
***
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28.2.
Il neige
dans la blancheur repose, légère
l'aimante, l'intranquille que nous nommons
vie.
***
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POESIA SPICCIA
La gioia è proletaria,
ricca soltanto
di ciò che mette al mondo,
il dolore è borghese,
ha sempre qualche entrata.
***
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POEME VITE FAIT
La joie est prolétaire,
riche seulement
de ce qu'elle enfante,
la douleur est bourgeoise
et réalise toujours quelque gain
***
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RIVALITÀ
Capita che chi scrive si scoraggi
e si stizzisca per la tenuità
in cui sono viventi le parole
e invidi a chi dipinge
la sostanza dell'olio.
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RIVALITE
Il arrive qu'en écrivant
l'on perde courage
et qu'on enrage pour le peu de lumière
où les mots vivent
et tu envies alors aux peintres
la substance de l'huile.
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Traduction: Le Cultur@ctif
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E
la fragile vita sta nel crocchio (Yari
Bernasconi) |
Con la raccolta E la
fragile vita sta nel crocchio, Aurelio Buletti
avanza coerentemente lungo il percorso inaugurato
più di trent'anni fa, quando a Lugano usciva
il suo Riva del sole. Quest'ultimo tassello
di un'opera fin qui equilibratissima, segna, se
non altro, un'ulteriore affermazione della poetica
bulettiana: l'identità dei versi si rafforza
attraverso l'umile e volatile comunicazione letteraria,
dove il poeta deve prima di tutto [...] salvare
l'enigma / non farsi di certezza servitore (Rima
insistita, in Vecchio vizio di scrivere in estratto,
p. 15). Ma E la fragile vita sta nel crocchio
è anche un'occasione per osservare dall'interno
la maturità di Buletti, che con mano sicura
intensifica i suoi versi attorno ad alcuni nuclei
tematici (così si spiega anche la divisione
interna della raccolta in quattro volumetti: Non
ciascuno stupore è senza voce, Pur nel
modesto chiaro dell'esistere, La scontrosa incostanza
della gioia e Vecchio vizio di scrivere in estratto),
tra cui certamente spiccano la questione del tempo
e della sua ciclicità |
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(E così sia, notte: non
passare in un amen, / ma concediti ampia a chi ti ama /
e in te cerca ristoro, / cerca più lieto / mattino.),
la Poesia e la sua scrittura (Fa una certa fatica a combinare
/ il poeta minore / le sue quattro parole da cartiglia:
/ sono poche e ribelli / e sentono il richiamo del ronzio
/ dei discorsi operosi.), Dio (Signore Dio, ci faccia
sapere / se il suo azzurro piede / calca piste e sentieri
/ o se sempre si appoggia allo sgabello / del sacro trono.
/ Se lei indaga ancora volentieri / o se sta fisso.),
la vita e la morte (Mi dicevi: ne muoiono a migliaia,
/ ma ciascuno per sé, ingiustamente. / Ogni giorno,
ogni dove, / ma più in certe parti. / Ti chiedo:
anche di sabato, / quando pare la vita indispensabile /
e pure una vacanza da se stessa? / Sì, certo, anche
di sabato. Incredibile.). E sempre dall'interno si può
ammirare con quale sicurezza Buletti valorizzi quello che
probabilmente è il carattere centrale della sua poesia,
vale a dire la grande e continua contraddizione fra la materia
e la forma, fra la leggerezza e la pesantezza. Pier Vincenzo
Mengaldo in questo paradosso ha visto la "lacerazione
fra cultura e vita e società"; io, personalmente,
preferisco vederci una ricorrente speranza, cantata nel
primo Riva del sole, dove [...] nell'orto incolto / il
vecchio trova / l'odorosa erba salvia, e giunta oggi
nell'ultima luminosissima raccolta:
Non ciascuno stupore è senza
voce
e così ti parlai.
Yari Bernasconi
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Quattro
domande ad Aurelio Buletti (Yari
Bernasconi) |
E la fragile vita sta nel crocchio (con la
dicitura Poesie brevi 2000-2004) è il titolo
della sua ultima raccolta di poesie, un cofanetto che si
divide in quattro libelli: Non ciascuno stupore è
senza voce, Pur nel modesto chiaro dell'esistere, La scontrosa
incostanza della gioia e Vecchio vizio di scrivere in estratto.
Come mai ha scelto di presentare la raccolta in questo modo?
I volumetti, vista l'assenza di elementi espliciti, sono
interscambiabili fra loro?
Il punto di partenza è stato
di natura pratica: da Vals (Mauro Valsangiacomo) ho saputo
che stampare le poesie brevi in quattro volumetti veniva
a costare meno che stamparle in un unico volume (si evitava
di dover procedere alla rilegatura). Su questo punto di
partenza sia Vals che io abbiamo cercato di ottenere un
risultato interessante: io ho diviso le poesie per "argomenti
principali", Vals ha fatto i disegni, cinque, quattro
per i volumetti e uno per il contenitore; ha anche studiato
e ideato il contenitore, che aveva già sperimentato
con l'antologia dei giovani poeti (un numero precedente
della collana quadra) ma che ha qui modificato.
L'ordine dei volumetti del contenitore è a scelta.
Io ho preso quello che mi è arrivato dalla tipografia,
ma non è l'unico possibile; probabilmente non c'è
nemmeno un ordine che vada meglio di un altro.
Quali sono i temi (lei stesso
ha parlato di una divisione in "argomenti principali")
che più si sviluppano all'interno della sua raccolta?
Che genere di rapporto intercorre fra un'esperienza vissuta
-l'occasione- e i suoi temi prediletti (particolarmente
aneddotico, per esempio, mi è parso il volumetto
Non ciascuno stupore è senza voce)?
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I temi più facili
da indentificare sono quelli di Non ciascuno
stupore è senza voce, che raccoglie
poesie scritte per Gio (Gio sta per Giovanna)
e che è, anche, in un certo senso, la continuazione
della prima parte del precedente libro del 2002
(Segmenti di una lode più grande)
e di Vecchio vizio di scrivere in estratto
che raccoglie le poesie che si potrebbero dire
sullo scrivere e in particolare sullo scrivere
poesia (nella seconda parte dei Segmenti si
trovano diverse altre poesie sul tema). Per quel
che riguarda La scontrosa incostanza della
gioia vi si parla di Dio, di amore, di grazia,
di armonia e di altre simili inquietudini. |
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Pur nel modesto chiaro dell'esistere
cerca di seguire il tempo che si srotola nei giorni e nelle
stagioni. Su quale rapporto vi sia fra le esperienze vissute
e i temi prediletti non so bene cosa dire: del resto, in
generale, non ho le idee molto chiare su quello che ho scritto
e su quello che scrivo, non sono nemmeno un "poeta
dotto" capace di dare spiegazioni chiare e convincenti.
Penso, forse, che dalle esperienze vissute si ricavino i
temi prediletti e che poi i temi prediletti orientino in
una certa misura (fanno anche loro quello che possono) le
esperienze.
Spesso e volentieri le sue poesie
meditano sul poetare, sulla scrittura (si pensi, appunto,
a Vecchio vizio di scrivere in estratto): perché?
Di questi versi, è più importante il ruolo
metaletterario o l'intrinseco valore autoriflessivo (se
non autocritico)?
Occorre ricordare che le poesie si
scrivono in buona parte da sole. Ecco: da diversi anni mi
è capitato di scrivere poesie sullo scrivere e questa
volta ho avuto la soddisfazione di metterne alcune in un
unico fascicolo, una delle quattro parti di questa raccolta.
Non so rispondere alla seconda parte della sua domanda.
Per concludere, vorrei un suo
commento a due considerazioni contrapposte e volutamente
provocatorie: la prima, maligna e superficiale, è
quella secondo cui Aurelio Buletti è un poeta piuttosto
immobile, che non si evolve e non osa; la seconda, invece,
molto più fondata della prima, è quella secondo
cui l'ottimo poeta Buletti meriterebbe d'essere apprezzato
più di quanto non sia, specialmente in Italia.
Non è lei il primo a farmi
notare una certa immobilità di scrittura. È
un problema, quello della sperimentazione e del mutamento,
che non mi sono ancora posto e che, al momento, non mi interessa.
Potrebbe anche trattarsi di un disinteresse da difesa personale:
intuisco che non posso che scrivere così e dunque
non mi pongo il problema del cambiamento. Per quanto riguarda
l'apprezzamento degli altri e la notorietà, sono
incerto su ciò che potrei dirle. Mi fa piacere se
qualcuno mi dice di avere letto le sue poesie o se qualcuno
si interessa ad esse come studioso, come sta per esempio
facendo lei qui. Forse potrebbe farmi piacere un riconoscimento
maggiore, ma non mi pare di essere roso dal suo desiderio.
Anche la posizione di "celebre poeta sconosciuto"
(è una citazione da Saroyan) è piacevole.
Forse scrivere poesia è anche una specie di malattia
e non mi pare molto bello far conoscere a troppe persone
i propri malanni, le proprie magagne. Anche in questo caso
potrebbe entrare in gioco la difesa personale: siccome temo
di non meritare un maggiore successo, mi atteggio a disinteressato
alla fama. (Come la volpe che irrideva i galli rossi perché
non riusciva a prenderne uno). Potrebbe essere anche così,
non so, non ho molta voglia di risolvere il problema.
Yari Bernasconi
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L'ironica
leggerezza di Buletti (Gilberto
Isella, Giornale del Popolo) |
Aurelio Buletti ci ha
abituati da tempo a una poesia fondata sull'arguzia
e la leggerezza espressiva. La conferma viene
ora dal cofanetto E la fragile vita sta nel
crocchio (ed. alla chiara fonte, 2005), che
racchiude quattro libretti di componimenti brevi
scritti nel primo lustro del millennio. Ognuno
di essi sviluppa un particolare tema ( la parola,
la gioia, lo stupore, ecc.), insieme formano un
organismo dove l'immaginario dell'autore è
documentato sotto diverse angolazioni. Ma non
è solo la forma breve ( lo " scrivere
in estratto") a collegare le parti. C'è
un intento di fondo, diciamo una sorta di ritegno,
tra autoironico e scetticamente divertito, che
consente a Buletti di interpretare da una sponda
all'altra il ruolo del " poeta minore"
e con scarse risorse ( " So invece appena
appena forse scriverti/ parole " ) . |
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Un poeta che si paragona a uno "
storto larice " o sospira " in premio un mirtillo
d'argento " . Grazie a questa maschera autoriduttiva
( essa non celerà per caso un garbato pungiglione
nei confronti dei ' fratelli maggiori'?), Buletti può
percorrere senza ( apparenti) rischi un territorio tematico
per niente minore o umbratile. Al contrario. L'amore, la
vita, il cosmo stesso vi passano con passi felpati, e l'io,
che ama spesso personificare gli Enti, saluta questi grandi
attori con studiata noncuranza, tradita solo dalla schiettezza
lirica e da una sottigliezza concettuale che non può
a lungo andare non tradursi in epigramma o aforisma. Un
aforisma è ad esempio il distico " Il poeta
non snobba la realtà,/ anzi cerca di dirne le apparenze
" , con quell'immissione sorniona dell'avverbio "
anzi". L'aguteza e un'ironia sottilmente metafisica,
quasi distillata a consolazione del vivere, compongono le
tessiture maggiori, ma nella 'tetralogia' tascabile di Buletti
c'è posto per quadretti semplicemente gioiosi, appena
percorsi da un filo di malinconia. È la parentesi
rasserenante dell'idillio, animato talvolta dalla voce cristallina
della donna, è soprattutto il momento in cui la parola
dimostra, nonostante tutto, di sapere ancora invocare la
bellezza.
Gilberto Isella
ottobre 2005
Page créée le: 30.11.05
Dernière mise à jour le: 01.12.05
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