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Friederich Glauser
Outsider, Traduzione di Gabriella de' Grandi, Bellinzona, Casagrande, 2008.

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  Friederich Glauser/ Outsider

 

Friederich Glauser - Outsider

ISBN 9788877134905

 

Bambini innamorati e subito feriti nei sentimenti, adolescenti in fuga, trentenni persi e irriverenti al cospetto dello psichiatra. Il tema eterno della ribellione all’autorità in quattro racconti inediti di Friedrich Glauser.

Se è grazie ai suoi romanzi gialli che Glauser gode oggi di un vasto pubblico anche in Italia, sono i suoi racconti autobiografici come Gourrama (Sellerio, 1990) e Gli o cchi di mia madre (Casagrande, 2005) che l'hanno fatto entrare a pieno diritto in quella famiglia di grandi scrittori outsider a cui appartengono Robert Walser e Franz Kafka.

Friederich Glauser, Outsider, Traduzione di Gabriella de' Grandi, Bellinzona, Casagrande, 2008.

 

  Gabriella de’ Grandi legge la sua prefazione a Outsider

 

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Gabriella de'Grandi legge la prefazione di Outsider

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  Extrait

Brano tratto dal racconto Outsider , in Friedrich Glauser, Outsider , a cura di Gabriella de' Grandi, Bellinzona, Casagrande, 2008, pp. 56-61.

[...]

Perché me la sono svignata dall'ospizio? Ah, quella è stata una storia divertente. Gesummaria, che risate. All'inizio no. Non è uno spasso dormire in una camerata con tutti quei vecchi rimbambiti che puzzano e scaracchiano. E poi arriva certa gente a fotografare queste rovine dell'umanità, e in mezzo ci sei anche tu. È piacevole secondo lei? Però forse avrei resistito. Ma c'era una ragazza, si chiamava Blanche, una povera disgraziata, era stata a servizio in casa di un contadino e il figlio del contadino l'aveva messa incinta e le aveva promesso di sposarla. E quando doveva partorire, il figlio del contadino le aveva detto che lei era ancora troppo giovane. Poi aveva fatto la balia nella famiglia di un pastore. Era una buona vacca da latte. Eh eh. E alla fine l'avevano messa all'ospizio, non potevano chiuderla subito in una casa di correzione.

Una domenica ero andato a fare una passeggiata, solo soletto. Mi ero seduto ai piedi di un tiglio, il tempo era bello anche se era già ottobre. Il tiglio era giallo. Cadeva una pioggia di foglie. Lei, Blanche, passò di lì con un'amica. Scambiammo qualche parola. Poi l'amica disse che doveva andare via subito e che non voleva disturbarci. Blanche rimase con me, e sotto il tiglio ci raccontammo le nostre vite. Si faceva sera e noi restammo seduti per un po' in cima a un pendio, al sole. Il sole è bello, sa. Dà calore. Ma a volte lo detesto, il sole, soprattutto quando è tagliato da sbarre di ferro.

Mentre stavamo tornando per un sentiero nel bosco ci venne incontro un'infermiera, arrivava dall'ospizio. Blanche si spaventò, scoppiò a piangere, non faceva che dire: ormai è tutto finito, l'infermiera penserà che abbiamo fatto l'amore, lei non lo avrebbe sopportato, non sarebbe più tornata all'ospizio. Eppure eravamo innocenti come colombe, ci eravamo solo raccontati le nostre storie, e ne avevamo avute di cose da dirci. Continua a ripetere che non vuole tornare indietro, che vuole morire. Morire, faccio io, qui non si muore. Possiamo metterci in cammino, andare via. No, disse Blanche, lei non vuole più vivere. Allora la consolai, le parlai. Non avevo pensato seriamente di andarmene. Sì, avrei lasciato quell'ospizio prima o poi, cibo cattivo, niente paga... Ma dopo appena due settimane era troppo presto. Blanche insisteva che non sarebbe tornata e non avrebbe subito quella vergogna (ma quale vergogna, mi dica lei, se non avevamo nessuna colpa), allora io le dissi: e va bene, alziamo i tacchi... e avevamo solo dieci centesimi in tasca.

Così tagliammo la corda, a poco a poco si fece buio. Blanche camminava a fatica, zoppicava leggermente, credo che una volta fosse caduta dal fienile e l'anca era rimasta un po' rigida. Mentre camminiamo a piccoli passi sulla strada asfaltata, chi ci viene incontro in automobile e ci abbaglia coi fari, tanto che non vediamo più niente? L'amministratore dell'ospizio. Non lo riconoscemmo. Solo quando la macchina si fermò capimmo che cosa stava capitando, dalla sua voce. Ci chiese dove volevamo andare. Io dico: «Abbiamo fatto una passeggiata». «Tornate subito indietro!» sbraita, risale in macchina e parte. Che imbecille. Invece di darci un passaggio. Noi continuammo come se niente fosse, attraversammo il Giura e passammo il confine francese. Sì, perché nei dintorni di Berfort Blanche aveva un fratello, volevamo andare da lui.

Ma sbagliammo strada, eravamo già in Francia, c'era la nebbia, ci spostavamo solo di notte, facemmo un lungo giro e all'improvviso ci ritrovammo in Svizzera. Avevamo girato in tondo. Eravamo da qualche parte nella zona di Porrentruy, credo, pioveva, non avevamo il cappotto e non c'era molto da mangiare. E quando si ha fame non si ha voglia di amare. Blanche mi faceva pena, perché con quell'anca paralizzata camminava a fatica. Così la portavo a cavalcioni per alcuni tratti. Avevamo rubato qualche cipolla davanti a una casa e per due giorni avevamo mangiato solo quelle. Continuavamo a camminare, dormivamo accanto a un grande fuoco che accendevo nel bosco, tagliavo ramoscelli di betulla per farne delle scope e le cose andarono meglio, perché le scope si vendevano bene. Avevo raccattato anche un vecchio zaino, non so più dove. Eppure quella settimana nel bosco fu bella, sa, era già novembre. A volte andavo nei villaggi vicini a comprare qualcosa. Un giorno il gendarme mi corse dietro, io riuscii a farmi capire e gli raccontai che abitavo a Porrentruy, in rue de Delémont. Mi credette. Ma noi ce ne andammo in gran fretta. Nel bosco avevo fatto anche una poesia. Sì, scrivo poesie e so pure dipingere: ritratti e paesaggi. Però se non hai conoscenze non serve a nulla, no?, nessun mercante d'arte compra i tuoi quadri. I poliziotti hanno più gusto. Per loro li facevo su commissione. E un quadro, uno e cinquanta per uno e venti, lo avevo venduto addirittura per cento franchi. Vuole sentire la poesia? Mi ricordo solo la prima strofa, il titolo era «Proletari». Ascolti con attenzione e non sorrida, è una bella poesia.

Infuria e mi sfiora il vento notturno
i riccioli bruni,
la luna irraggia il cielo di luce,
la cingono d'ombra le nubi.
È quiete ovunque, dorme la natura,
le angosce dell'uomo lontane.
Brezza sussurra alla mia fronte ardente,
vedo il mattino arrivare.

Fa bene a trascriverla, ma avrei potuto dargliene una copia. Il resto non me lo ricordo più, o almeno non di preciso, e le dirò una cosa, in questa poesia tutto è importante, ogni parola, ogni virgola.

Vuole sapere come andò a finire la storia con Blanche? Finì come tutte le mie storie. Andammo insieme da mia madre, e la mia sorellina mi tradì. La mocciosa non sapeva quello che faceva. La polizia mi prese subito, mia madre disse che Blanche era sua figlia, che era malata. Blanche era a letto. Ma la sera andò in paese, anche lei era ricercata, e la riconobbero perché zoppicava. La portarono dentro il giorno dopo. Era un carcere piccolo, il gendarme chiuse un occhio. Lei era finita nella cella vicino alla mia e il gendarme lasciò le porte aperte.

Io tornai in galera, Blanche dovette lavorare un anno a Hindelbank con provvedimento amministrativo. Due anni dopo scappai di nuovo e la cercai in tutti gli istituti del Canton Berna. Avevo scritto al pastore da cui era stata come balia perché mi dicesse dove si trovava adesso. Mi rispose che Blanche era impiegata presso un istituto bernese, era libera, ma lui aveva il divieto di dire dove fosse, distinti saluti, i migliori auguri e che Dio la benedica e le apra gli occhi, pastore Merkl. Fu gentile a rispondermi. Bussai alle porte di tutti gli istituti, anche se la polizia li aveva avvisati che mi sarei fatto vivo per avere notizie di Blanche. Eppure riuscii a trovarla. E quella sera parlammo. Ma non volevo che fosse infelice per causa mia... Ripresi il cammino... Lei mi aveva dato dieci franchi. Era tutto quello che aveva. Questa fu dunque la storia di Blanche. Eh sì.

[...]

Questo brano è pubblicato per gentile concessione dell'Editrice Casagrande di Bellinzona.

 

Page créée le: 16.12.08
Dernière mise à jour le: 16.12.08

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