Jean Starobinski
Les enchanteresses, Paris, Seuil, 2005, pp.
271
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Jean Starobinski
dans nos pages consacrées aux auteurs de Suisse.
Jean Starobinski
/ Les enchanteresses
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ISBN 2020519798
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C'est folie de croire au merveilleux,
si l'on a tiré la leçon des mésaventures
de Don Quichotte. Pourtant le goût du merveilleux
a persévéré, pour le plaisir
du spectacle. En s'alliant à la musique, en
faisant appel aux fables anciennes et aux conventions
du théâtre, la poésie a inventé
un nouvel espace de fiction : l'opéra. Toutes
les figures du désir et de l'égarement
passionnel peuvent y être jouées et déjouées.
Toutes les autorités aussi peuvent y être
mises en péril. Les enchanteresses tiennent
sous leur domination les héros qu'elles ont
dévoyés. Mais leur triomphe ne dure
pas. Elles sont les incarnations de l'art qui multiplie
les plaisirs et qui sait aussi combien sa souveraineté
est précaire. C'est en écoutant les
enchanteresses que Jean Starobinski va à la
rencontre de quelques auditeurs à l'exigence
inquiète : Rousseau, Stendhal, Hoffmann, Balzac,
et Nietzsche. De ses lectures, l'auteur revient chargé
de découvertes intellectuelles éclairantes.
Et de quelques problèmes. Le dix-neuvième
siècle romantique a-t-il voulu retrouver une
vision religieuse du monde que les Lumières
du siècle précédent avaient cherché
à supplanter ? L'air d'opéra, qui soulève
tant de passions, apparaît bien comme le lieu
des transferts du sacré à l'expérience
la plus intime de soi, parfois aussi aux appartenances
nationales. Or à la sacralisation de l'art
correspond en retour une esthétisation du religieux,
phénomène complexe qui ne cesse de se
manifester sous nos yeux, avec des conséquences
parfois inquiétantes. Les lecteurs sentiront
que les enjeux esthétiques évoqués
dans ce livre intéressent de près l'évolution
des sociétés modernes " avancées
".
Jean
Starobinski, Les enchanteresses, Paris, Seuil, 2005,
pp. 271
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A
écouter |
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Starobinski:
l'incanto del testo (Pierre Lepori,
Giornale del Popolo-Rete2) |
Per ascoltare
l'intervista completa
(e il commento dello storico
della filosofia Carmelo Colangelo):
Laser, 8-9 gennaio 2006,
RSI-Rete2
Libramente,
sito letterario della Radio Svizzera Italiana
Si chiama Les enchanteresses,
le incantatrici, ed è proprio il caso di dirlo: il
nuovo libro di Jean Starobinski - intellettuale ginevrino
di fama mondiale - è un incanto. Pubblicato nell'ottobre
2005 dall'editore Le Seuil, il libro raccoglie una serie
di ritratti di grandi eroine liriche, analizza i capolavori
dell'opera, segue a volte la storia di un'aria celebre ("Ombra
adorata, ascolta" di Zingarelli); ci conduce in
un viaggio tra le parole e gli incanti della musica. E'
d'altronde da sempre uno dei grandi pregi della scrittura
saggistica di Starobinski: la libertà di lasciarsi
condurre dalle occasioni del testo, dagli improvvisi echi,
spostandosi di epoca in epoca (con una predilezione certa
per l'Illuminismo, tra ragione e follia), con rigore ed
erudizione enciclopedica, ma senza pregiudizi. La sua è
stata definita critica tematica o storia delle idee. E',
anzitutto una scuola di lettura e in questo caso di ascolto.
Perché, Jean Starobinski, un saggio sull'opera e
sulla musica?
Si tratta di temi già presenti
- anche se non centrali - in altri libri, come Gli emblemi
della ragione o L'invenzione della libertà,
scritti negli anni Sessanta e Settanta. L'amore per la musica
e per l'opera non mi ha mai abbandonato. Nel corso degli
anni Ottanta, Huges Gall, direttore del Grand Théâtre
di Ginevra, mi ha chiesto di scrivere alcuni testi destinati
a meglio far capire agli spettatori i nodi tematici e stilistici
delle opere presentate: sono così nati molti dei
testi confluiti in questo volume, a cui ho voluto aggiungere,
in apertura, un grande saggio dedicato al rapporto tra canto
e seduzione. Nei testi dedicati alle singole opere - dalla
trilogia di Da Ponte-Mozart all'Elettra di Strauss;
dalla Poppea di Monteverdi all'Arianna e Barbablù
di Dukas - si trattava non tanto di interpretare l'opera,
quanto di mostrare quale era la posta in gioco - in particolare
nel rapporto tra testo e musica - quali categorie del pensiero
uno spettacolo andava a smuovere, in che modo la partitura
rappresentata proponeva questioni che oserei dire "di
vita o di morte", vale a dire un dissidio fondamentale.
Les enchanteresses si apre
e si chiude con due grandi saggi dai titoli eloquenti: "Chanter
- Séduire" e "Ombra adorata":
nel primo l'opera lirica viene presentata nel suo sviluppo
storico - nella dialettica tra incanto e dannazione, ma
anche in quella tra tradizione e innovazione estetica
Per cominciare, ho voluto rintracciare
un poco la storia dell'opera, una storia attentamente studiata
dagli specialisti. Non ho voluto, ovviamente, fare a mia
volta lo storico della musica, ma semplicemente ri-situare
il genere nel percorso della storia delle idee. L'opera
nasce infatti in un momento di grande fervore intellettuale,
in cui si assiste alla ricerca di un rapporto nuovo tra
parole e musica. I compositori fiorentini della Camerata
dei Bardi, per operare il loro rinnovamento radicale, decidono
di ispirarsi all'antichità. Quel che mi sembra primordiale,
è qui il tentativo di novità e resurrezione
al contempo. Quel che ha reso legittima, esteticamente,
la creazione dell'Opera è stata la rappresentazione
dei fatti illustri del passato. Le storie che i compositori
mettevano in musica non erano di nuovo conio; si andava
a cercare nei fasti della storia un episodio famoso da rappresentarsi
in un modo nuovo.
Impossibile abbracciare per intero
l'opera di Starobinski, segnata da alcuni grandi saggi mondialmente
noti come La melanconia allo specchio (su Baudelaire),
Ritratto dell'artista da saltimbanco, o dagli studi
su Montesquieu, Rousseau, Montaigne. La monumentale bibliografia
di Starobinski passa infatti con apparente nonchalance
- ma con un'erudizione da far mancare il fiato - dall'analisi
letteraria, alla storia delle idee o della scienza, spesso
privilegiando un tipo di approccio tematico. Ne l'Occhio
vivente il pensatore ha chiaramente definito la posta
in gioco del suo immane lavoro: la fondazione di una "critica
della relazione", capace di coordinare i metodi della
stilistica, della sociologia e della psicanalisi. Resta
il fatto che il metodo e lo stile di Starobinski sono del
tutto particolari. Ma è possibile definire un "metodo"
Starobinski?
Mi piace cambiare costantemente metodo.
Non ho un metodo vero e proprio, applicato con continuità.
E' chiaro però che un certo modo di fare ricerca
mi è più congeniale e sono affezionato a un
certo modo di procedere: si tratta, molto spesso, di tracciare
un percorso tra i testi. Di suscitare, a partire da un tema
di partenza, una serie di conseguenze e di incontri. In
questo modo si sviluppa una tematica e alla fine del percorso
arrivo a presentare una sorta di "paesaggio" attraversato.
Di fatto, però, mi considero uno storico. Mi è
capitato anche di curare edizioni di testi inediti di Rousseau,
in particolare una traduzione dell'incipit della Gerusalemme
Liberata. Occorreva stabilire la data del manoscritto
e lavorare con l'impegno dello storico sulle fonti d'archivio.
Credo che troppo spesso dimentichiamo i nostri doveri di
storici. E nello stesso tempo sono profondamente convinto
che occorra far parlare la storia, costruire un senso alla
sequenze di fatti e testi, cercare di trovare un tracciato,
di evidenziare un percorso, che ci aiuti anche a capire
meglio noi stessi e l'oggi.
Una delle caratteristiche peculiari
della magnifica opera saggistica di Jean Starobinski è
il suo stile: una lingua elastica e prensile, classica e
chiarissima, scevra d'ogni tecnicismo o vezzo universitario.
In qualche modo, come molti degli autori che ha studiato
(gli enciclopedisti), Starobinski è dunque anche
uno scrittore a pieno titolo. Fino a che punto considera
importante la scrittura, nel suo lavoro saggistico?
Certo, c'è una sorta di poesia
della poesia, nell'operato di un saggista. Mi pongo, in
questo, sulla linea di Georges Poulet, uno scrittore che
ho molto ammirato, un vero maestro di cui sono stato amico.
Poulet cercava di andare oltre l'aridità filologica,
di sviluppare un ragionamento che non fosse per il lettore
noioso e lento. Nello stesso modo, io credo all'importanza
di un lavoro che non allontani da sé il lettore:
il saggio non deve essere un prodotto universitario, scritto
solo per l'accademia. Ma nello stesso tempo, faccio anche
attenzione a non cercare di sedurre né di incantare
il lettore con lo stile. Ho l'impressione che certi filosofi
si divertano ad essere anche un poco prestidigitatori di
parole. Che inventano giochi di parole, neologismi e doppisensi
lessicali. E' un vizio tipicamente francese, che non mi
sento di condividere. Nel mondo anglosassone il saggista
è invece tenuto a un maggiore rigore formale, direi
quasi a un certo formalismo logico. Quanto a me: trovo il
francese una lingua molto bella e credo che sia nostro dovere
utilizzare le sue numerose risorse al meglio, senza tuttavia
operare forzature. Bisogna imparare a dire il maggior numero
di cose possibili, con poche parole, senza moltiplicare
i concetti inutilmente astratti. Affinché quello
che vogliamo dire possa essere espresso in modo schietto
e libero, occorre trovare un equilibrio tra stile e idee.
Pierre Lepori
Giornale del Popolo, 7 gennaio
2006
RSI-Rete2, 8-9 gennaio 2006
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Revue
de presse |
[
] Starobinski s'émerveille du pouvoir enchanteur
de l'opéra et de ses interprètes. Superposant
propos narratif, interprétation analytique et reconstruction
structurelle, il interroge les raisons et les vertiges de
la séduction musicale. Des pages somptueuses sur
Mozart, où l'on retrouve aussi ses figures tutélaires
de Rousseau, Baudelaire et quelques autres. On y découvre
que l'opéra nous convie à l'expérience
du sacré, ou plus exactement à la fantasmagorie
du sacré : la musique désacralise le religieux
et nous séduit de son substitut profane.
Lucien Degoy
L'Humanité
9.1.2006
[
] Le lecteur retrouvera ici
toute la culture de l'auteur. Une culture à l'ancienne,
sûre de ses références et qui ne s'égare
jamais au-dessous des genres nobles: littérature,
philosophie ou cinéma, à condition, bien sûr,
qu'il émane d'Ingmar Bergman. Facilement lisible,
du moins pour qui a fait ses humanités, l'ouvrage
annonce moins l'avenir qu'il ne clôt avec intelligence
le passé.
Etienne Dumont
4.1.2006
[
] Jean Starobinski se place
toujours au carrefour de la création sous toutes
ses formes. Ne se cantonne jamais dans l'appréhension
d'une seule expression artistique. Dans Les Enchanteresses,
c'est sur la musique, "langue universelle de la nature",
et sur l'opéra en particulier, qu'il se penche ainsi,
à travers le thème de l'enchantement... Jean
Starobinski est habité de ces airs, de ces voix dont
il cerne les charmes et les secrets...
Michèle
Gazier
28.12.2005
[
] Starobinski donne de beaux
portraits de ces femmes d'opéra, ces prime donne
se regardant aux miroirs de la séduction, de la trahison
ou de l'abandon, abîmées en leur passé...
Starobinski aime le jour et les Lumières, et son
livre baigne dans une certaine transparence mozartienne
plus que dans l'ombre romantique. Mais, dialecticien faisant
toujours jouer les contrastes et les contraires, il évoque
comme personne le Mozart nocturne, et son chapitre sur "Les
noces de Figaro" s'achève sur une note sombre
: "Les objets, en disparaissant dans la nuit, laissent
le champ libre aux voix." N'est-ce pas la plus juste
définition de l'opéra ? Pour Starobinski,
la musique est non seulement ce qu'il y a à penser,
mais le modèle de la pensée dans ce qu'elle
a d'inexprimable.
Michel Schneider
8.12.2005
[
] Sans en avoir l'air, n'est-ce
pas à une genèse de notre modernité
que Jean Starobinski nous convie, par cette esquisse d'une
histoire de l'opéra ? Derrière sa réhabilitation,
moins des librettistes oubliés que du nécessaire
entrelacement entre le compositeur de la musique et l'auteur
du livret, l'universitaire de Genève ne cherche-t-il
pas à faire du genre lyrique le lieu par excellence
de la transition entre l'ancien et le nouveau ? Comme le
contrepoint de l'art de la fugue, une ligne directrice anime
bel et bien ce flot parfois déconcertant d'érudition
et l'écriture foisonnante de ce spécialiste
des Lumières, critique et psychanalyste.[
].
Nicolas Weill
6.12.2005
[
] Ce n'est pas un hasard si
le premier ensemble s'ouvre sur un chapitre consacré
aux "opéras de Da Ponte". Starobinski,
comme il l'a toujours fait, cite souvent. A elle seule,
la manière dont ces emprunts sont enchâssés
dans le texte témoigne d'un doigté supérieur.
Ils tombent dans le fil du raisonnement sans un faux pli,
comme l'étoffe d'un bon tailleur. On se souviendra
du Montaigne : "La citation, aveu de faiblesse, récite
avec prédilection les discours de la mélancolie."
La mélancolie, vieux compagnon de l'auteur depuis
ses années de thèse, miroite certes sous les
lignes mais sans entamer une foncière sérénité,
comme si la proximité de l'humeur noire en avait
libéré l'auteur : pas de Liebestod pour son
finale [
]
Gérard
Dupuy
10.11.2005
Les Enchanteresses dont il est question
dans l'essai de Jean Starobinski le sont au sens fort, mythique:
telles les sirènes d'Ulysse, elles peuvent mener
à la mort celui qui succombe à leurs charmes.
Elles sont là depuis Pandora et Eve, à la
croisée du bien et du mal, au moment du choix. Elles
séduisent, ce qui signifie "détourner,
attirer à l'écart". De bien mauvaises
personnes, condamnables. Mais celles dont il est question
ici exercent leur pouvoir dans le domaine ambigu de l'opéra.
Un terrain dangereux pour le moraliste: il ne peut appliquer
sa loi dans un lieu qui relève de la fiction et du
merveilleux, où le sacré et le profane se
confondent et où toutes les passions se jouent et
se déjouent. On comprend que Rousseau se soit méfié
d'un tel spectacle.
Isabelle Rüf
29.10.2005
Page créée le: 07.02.06
Dernière mise à jour le: 09.02.06
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