Anna Ruchat - Stefano Lorefice
- Annalisa Manstretta
Anna Ruchat, Geografia senza fiume, introduzione
di Elio Grasso, Udine, Campanotto, 2006, pp. 72.
Stefano Lorefice, L'esperienza della pioggia, Udine, Campanotto, 2006,
pp. 54.
Annalisa Manstretta, La dolce manodopera, Bergamo, Moretti&Vitali,
2006, pp. 109.
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Retrouvez également
Anna
Ruchat dans nos pages consacrées
aux auteurs de Suisse.
Ruchat - Lorefice
- Manstretta
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Anna
Ruchat è nata a Zurigo nel 1959, è traduttrice
dal tedesco (Th.Bernhard, Celan, Dürrenmatt, Klemperer,
Mehr) e insegna alla Scuola europea di traduzione del Comune
di Milano. Ha pubblicato, per Casagrande, i racconti In
questa vita (2004, Premio Chiara e Premio Schiller).
Stefano
Lorefice è nato a Morbegno, in Vantellina,
nel 1977. Vive e lavora in Francia. Ha pubblicato Prossima
fermata Nostalgia-Platz (Edizioni Clinamen), Budapest
Swing Lovers e Cosmo Blues Hotel (Edizioni Clandestine).
Annalisa
Manstretta è nata a Stradella nell'Oltrepò
pavese, è stata redattrice della rivista milanese
di poesia "La Mosca" e ha pubblicato Viaggi
(Lietocolle, 20000) e La dolce manodopera (in Poesia
contemporanea. Ottavo quaderno italiano, Milano, Marcos
y Marcos, 2004), sezione oggi confluita nel libro omonimo.
Trois poètes sont ici présentés,
qui s'inscrivent dans un espace géographique commun
(la haute Lombardie de la "Linea Lombarda", pourrait-on
dire selon l'expression du grand critique italien Luciano
Anceschi): mais pour Anna Ruchat, Stefano Lorefice et Annalisa
Manstretta, le paysage n'est plus simplement une donnée
extérieure, soumise à l'analyse du regard.
Entre le corps de ces poètes et le paysage s'instaure
un dialogue très personnel et séduisant, qui
ammène à des émotions intimes (l'amour
heureux ou malheureux, la séparation, la maternité)
tout en les inscrivant dans une géographie textuelle.
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Anna
Ruchat / Geografia senza fiume |
ISBN 88-456-0790-9
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La prima cosa al mattino
è
dimenticarti
angelo
con
le ali di ferro,
Uscire dal sonno e tirare
la carta del giorno. Tazze della colazione appoggiate
sul tavolo, passi nel corridoio e voi
che andate a scuola.
Ma ancora
c'è qualcosa di me che non entra
nel tempo
un punto di resistenza che rifiuta
la
tua assenza
e
aspetta
e aspetta
al di qua delle voci.
Anna
Ruchat, Geografia senza fiume, introduzione
di Elio Grasso, Campanotto, 2006, pp. 72
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Stefano
Lorefice / L'esperienza della pioggia |
in ritardo
come un biglietto che ho ancora in mano
il mio amore dovuto
come un rischio di pioggia che non vuole passare
le mie due stanze: la sala-cucina e la camera
il letto a due piazze dentro
e i tuoi gesti
che prima o poi li accolgo
ci si stanca presto del sonno
quasi che rubi il tempo per tutto
le mani chiuse
per lo scarto dell'abbandono
le spalle giù nei vicoli
quelli in ombra
che non hanno memoria
se non di passi
Stefano Lorefice,
L'esperienza della pioggia, Udine, Campanotto,
2006, pp. 54.
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ISBN 88-456-0780-1
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Annalisa
Manstretta / La dolce manodopera |
ISBN 88-7186-322-4.
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Non ho potuto venire da te.
Sto su piastrelle ordinate
su una sedia chiara,
la stagione distesa ed ampia
mi manda un benessere di cieli
un po' di fiato nel cortile senza voce.
Talvolta in questa luce escono
le mamme senza testa, s'affacciano.
I loro piccoli sono tranquilli
seppelliti sotto laghi allungati
o monti, non le vedono.
Tornano in casa
gonfiano i cuscini dei divani
preparano la cena ai bambini.
Annalisa Manstretta,
La dolce manodopera, Bergamo, Moretti&Vitali,
2006, pp. 109.
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Piccola
geografia poetica e corporea (Pierre
Lepori) |
Tre libri con una loro sofferta leggerezza,
una loro maturissima levità. Non ci sfugge la misteriosa
geografia che li unisce. O allora, piuttosto, forse, abbiamo
voglia di unirli in una geografia del tutto personale ed
aleatoria. Gli autori stanno in pianura ma guardano l'innalzarsi
dei boschi non lontani (in un caso "verso Sud",
verso gli Appennini), vivono su un confine, talvolta lo
valicano, come se fosse la cosa più normale dell'esistere.
Anna Ruchat
è ticinese, nata a Zurigo, cresciuta a Roma, vive
a Pavia; traduttrice di vaglia, narratrice densa e sublime,
con Geografia senza fiume pubblica un primo significativo
volumetto in versi. Stefano
Lorefice viene dalla
Valtellina, lo sconfinamento nei Grigioni è per lui
consueto, ma vive in Francia e ora pubblica, sotto la stessa
insegna di Ruchat, L'esperienza della pioggia. Annalisa
Manstretta è nata
a Stradella, l'Oltrepò pavese è il suo orizzonte,
la copertina del suo La dolce manodopera (una fotografia
di Fulvio Roiter) mostra filari di vite, un podere.
Non è
certo indispensabile stabilire una cartografia, disporre
i poeti con etichette come si fa nell'orto. Tuttavia: come
non ricordare che la poesia del secondo Novecento ha avuto
in Italia, tra il proseguire della vena ermetica e uno sguardo
costantemente rivolto a Montale, le sue "etichette"
più fortunate (entrambe dovute all'Anceschi) nella
Neo-avanguardia e nella Linea lombarda? E
che in quest'ultima il passaggio dalla geografia alla poetica
è stato chiaramente individuato: nei motivi formali,
nelle atmosfere "nebbiose", nell'attenzione al
confine duplicato dalla passione per la traduzione.
I tre
piccoli libri che abbiamo di fronte non son più nella
linea lombarda di Sereni o Orelli (che d'altronde l'ha "sfondata"
per arricciamento linguistico già ai tempi di Spiracoli).
E nemmeno nell'epigonismo sabianamente onesto di Risi o
Buffoni. I paesaggi sono forse gli stessi, gli orizzonti
sono ancora lì - tra il lago e la montagna - ma scrutati
in un modo ben diverso. O forse nemmeno, non scrutati, sentiti,
a pelle. La visione è ormai dentro ("le parole
/ non dette sono / luoghi / di una geografia interna / e
non ancora / rilevabile", Ruchat); ciò si
iscrive con dolce potenza nel verso è una presenza
fisica, corporea. Non a caso le due sezioni del libro di
Lorefice portano il titolo "Corpo/città"e
"Corpo/frontiere", mentre è quasi
con determinazione volitiva, etica, che Manstretta si sogna
paesaggio: "Impariamo la giusta idea di limite /la
generosità degli argini / lo stare fermi dei campi
(
)".
Certo,
ognuno di questi poeti ha una sua costellazione personale:
in Anna Ruchat si sente, ad esempio, la necessità
di una poesia civile - che la collega a Pusterla, a Fortini
- specialmente quando, nella sezione finale del volume,
introduce un piccolo racconto in prosa, quello dei due bimbi
che muoiono nel carrello di atterraggio di un Airbus,
per fuggire alla miseria della Guinea (si tenga presente
tuttavia che l'aereo è tutt'altro che un tema autobiograficamente
neutro, per l'autrice). Ma lo sforzo costante di queste
poesie sembra essere quello di trasformare - di vivere -
le fratture (familiari in particolare) con "naturalezza",
cioè inserendole, vivendole, nella geografia: "Pioppi
/ per sette anni / e poi il granoturco / la passeggiata
col cane / dopo il pranzo domenicale / sembrava per sempre
// (
) oggi c'è il granoturco nei campi / davanti
alla casa dei tuoi / e l'orizzonte lungo della pianura".
Il punto d'appoggio di questa metalepsi conoscitiva è
certamente (nei tre poeti) la casa: così s'intitola
una sezione del libro di Anna Ruchat. Vera fragile pelle
in cui far convergere l'ansia del tempo e la solitudine
degli inverni: "Ecco questa è la mia casa.
/ Ancora faccio la pendolare / in una geografia di carta
e di stoviglie / tutta ricoperta di binari. // Ma c'è
più ordine di un tempo, guarda / a destra gli anni
del silenzio / di qui l'infanzia con i suoi muretti / a
secco / e le mele morsicate / sulle tante soglie".
"La possibilità di una vita" (verso che
fa eco al libro di racconti, In questa vita, dell'autrice)
è dunque la ricerca di un'iscriversi col corpo nello
spazio (dove però il corpo già è spazio),
attraversato con emozione, diremmo addirittura con tenerezza.
Tenerezza
che si ritrova nel dettato più sereno ma non meno
intenso di Annalisa Manstretta, che accetta la sfida di
mettere la parola "dolce" (così
poco ambìta in un'epoca di cinismo) nel titolo della
sua raccolta. Se per Ruchat infatti le stanze poetiche sono
abitate dal tema dell'assenza, del distacco, della separazione,
Manstretta iscrive al centro di un reticolo di sguardi (sempre,
come detto, incarnati), la figura dell'uomo amato, evocato
ovunque, presente addirittura nelle sue assenze: "Ma
se l'uomo che cammina di spalle / ti somiglia, ne nasce
un'estate / crescono viali di chilometri / dappertutto si
fanno fiere". Ed è presenza molto fisica,
questa dell'altro amato ("allegra comunità
dei nostri gesti"). Certo - come ben dice l'introduzione
di Milo De Angelis - quella di Manstretta è pur sempre
una poesia dominata dallo sguardo (ed anche, aggiungeremmo,
dall'udito), ma che a differenza di Umberto Fiori (prefatore
di una precedente pubblicazione di Manstretta) non si preoccupa
di problematizzare il guardare, perché lo vive come
una dimensione corporea, come una "naturalezza":
"A volte ti guardo negli occhi / e vedo una valletta
nivale / un posto gelato". La natura metamorfica
delle cose prende talvolta il sopravvento sull'individuo,
come nella parte iniziale della sezione "Gli spazi
che formano la vita" (le cui foreste in cammino
possono ricordare l'ultimo Majorino). Qui però l'io
poetico non rinuncia mai ad iscriversi negli spazi, anche
quando il "paesaggio non ti tratta con tenerezza",
o è un "mondo di giganti". La serena
dimensione conoscitiva di questa poesia è sempre
quella di un corpo nello spazio, addirittura geometricamente
collocato: "Sto su piastrelle ordinate / su una
sedia chiara (
)".
Il paesaggio
è forse più interiorizzato (e metaforizzato)
nella poesia - di grande tenuta formale - di Lorefice: "mi
faccio la strada / nell'intreccio dello scrivere, coi polmoni
/ di corsa"; l'orizzonte è mutato, il poeta
traccia i suoi versi sul corpo della città, tra subway,
pub, fermate dell'autobus. Il corpo non è più
solitario - o amante o materno o abbandonato - ma quasi
sfregato da centinaia di volti e voci, urla di quartiere
"da gente che ha una frenesia di fame / manca il
fiato per capire i nostri angeli muti (
)".
Il tono di Lorefice è più concitato, le sue
parole sono come spintonate dall'assiepamento carnale che
lo circonda. Qui vige una sempre dichiarata esulcerazione
vitale e la parola "dolore" è spesso al
centro del suo mondo. Ed è forse per questo che la
seconda sezione del libro tenta un ripiegamento per "annusare
gli angoli e il sale che resta al centro". In questo
paesaggio "interno notte" di nuovo si iscrive
l'amore, nella sua declinazione più problematica
"amore dalla mani spezzate", contessuto
di distanza, d'impossibilità. Un amore sempre sul
crinale dell'incomunicabilità, anch'essa definita
geograficamente: "consapevole che il non detto è
rispetto / come un lago minore / dove tutto sta rannicchiato
/ compreso / senza attese (
)"). I passi lontani
di un nonno che accetta le "radici profonde del
silenzio" sui sentieri di montagna sono allora,
per il poeta, un orizzonte quasi perduto, oltre i doppi
vetri di una stanza corporea segata dal freddo di un dialogo
impossibile. Un mondo volutamente, ardentemente lontano
dalla serenità di Manstretta o dalla cocciutaggine
tenera di Ruchat, ma un mondo iscritto, incarnato, nella
geografia di un corpo. Ed ogni testo, poi, diventa corpo
(e viceversa).
Pierre Lepori
© Culturactif, luglio 2006
Page créée le: 14.07.06
Dernière mise à jour le: 14.07.06
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