Massimo Daviddi
L'oblio sotto la pianta, prefazione di Giovanni
Orelli, Bellinzona, Casagrande, 2005, pp. 120
Version imprimable
Retrouvez également
Massimo Daviddi
dans nos pages consacrées aux auteurs de Suisse.
Massimo
Daviddi / L'oblio sotto la
pianta |
ISBN 88-7713-421-6
|
Il barone di Münchausen
che cerca di emerge da una trappola di fango tirandosi
su per i suoi stessi capelli: è questa l'immagine
proposta da Giovanni Orelli nella prefazione per riassumere
la nuova raccolta di poesie di Massimo Daviddi. Poesie
in versi, ma soprattutto poesie in prosa, ovvero
brevi, folgoranti "prose ritmate". I fili
che legano questi testi sono quelli eterni dell'amore
e della pietas per chi soffre, cui si aggiunge un
bisogno quasi ossessivo di interrogare il male, la
malattia, di scavare con le unghie nella terra per
disseppellirne il senso, le ragioni profonde. Ancora
dalla prefazione: "dietro "gli aspetti più
brutti e ciechi della realtà" si nasconde,
o cerca di nascondersi, il settenario che è
un po' la spia di un desiderio struggente della grazia.
Settenario come punto di fuga". Il che non significa
allontanarsi né dalla vita di tutti i giorni
né dalla Storia.
Massimo
Daviddi, nato a Firenze nel 1954, vive fra
Mendrisio, Chiasso, Milano. Si occupa da tempo di
formazione degli adulti in ambito organizzativo, accompagnando
persone e gruppi nelle loro riflessioni umane e professionali.
Attualmente è responsabile per il Comune di
Chiasso del progetto, "Chiasso, culture in movimento".
Nel 2000 ha pubblicato la raccolta poetica Zoo
Persone, con una prefazione di Fabio Pusterla
(Edizioni Ulivo).
Massimo Daviddi, L'oblio sotto
la pianta, prefazione di Giovanni Orelli, Bellinzona,
Casagrande, 2005, pp. 120
|
|
Avec ce deuxième recueil,
Massimo Daviddi prend place dans une famille de poètes
tessinois et lombards: dans le sillage d'un Fabio
Pusterla ou d'un Umberto Fiori, il y offre une poésie
humaniste, ancrée dans le quotidien, plutôt
urbaine, et qui relève d'une implication dans
la communauté; elle est peu intéressée
à l'expérimentation formelle, sans pour
autant se caler dans les formes traditionnelles. Daviddi,
en l'occurrence, reconnaît cette parenté,
sans l'avoir cherchée, simplement par affinité,
notamment avec Pusterla.
Dans ce livre, Daviddi interroge le mal. C'est ce
qui donne sa cohérence au recueil. Mais pour
le journaliste Pietro Montorfani, c'est aussi sa limite,
dans la mesure où cette interrogation lui semble
moins découler d'une nécessité
intérieure que d'un projet littéraire
un peu trop pensé - lors même que Montorfani
reconnaît le talent et la qualité de
style de Daviddi. Pierre Lepori, qui a beaucoup aimé
ce livre, demande d'ailleurs lui aussi à l'auteur
comment l'on peut être sûr de ne pas tomber
dans une forme de narcissime lorsque l'on cherche
à écrire une poésie engagée,
qui soit à tout prix du côté du
"bien". A quoi Daviddi répond que
lorsqu'il écrit un poème autour d'un
fait divers terrible, comme cela se produit parfois,
il le fait non pas dans une visée politique,
mais en partant du souvenir, de la marque que ce fait
divers a laissé dans sa perception.
(D'après
l'entretien et l'article ci-dessous)
|
|
|
3
poesie da L'oblio sotto la pianta
(Traduction française de Mathilde Vischer) |
Spiagge
ravennati
La donna anziana annegata silenziosamente
a due passi dalla gente,
un punto croce un cruciverba le chiese di Ravenna
la voce del tosaerba ;
punti delle barche sospese al largo
nel tempo consumato
tra un rotocalco e l'altro.
***
|
Plages
de Ravenne
La vieille femme noyée en silence
à deux pas de la foule,
point de croix mots-croisés les églises
de Ravenne
la voix de la tondeuse ;
les barques comme des points suspendus au large
dans le temps consumé
entre un illustré et l'autre.
***
|
Minoprio,
parco
Il rosso della celosia di Minoprio,
un rosso somigliante a quello della moto
le vesti appiccicose tenute per la notte sul pigiama
trapuntato d'oro,
l'effluvio delle prugne fatte a marmellata
dove infini si schiantavo l'occhi titubante
e pavimenti in cotto appesantiti dalla vita di salotto
ridotti a oscuri mondi confinanti.
due giglie nella penombra, amanti
intenti dentro lo sfitto scantinato,
quando l'asciugamano teneva forme d'amarene con punti
intermittenti d'albicocche.
***
|
Minoprio,
parc
Rouge de la célosie de Minoprio,
un rouge semblable à celui de la moto
les vêtements poisseux gardés la nuit
sur le pyjama
matelassé d'or,
l'effluve des prunes en confiture
où enfin l'il hésitant se plongeait
et les dallages de briques alourdis par la vie de
salon
réduits à d'obscurs mondes confinants.
Deux billes dans la pénombre, des amants
absorbés dans le sous-sol à l'abandon,
sur la serviette des formes de griottes
ponctuées d'abricots.
***
|
Acerbe
Pesche colte acerbe,
matureranno o no strette in una terrina di ceramica
hiudendo e aprendo una stagione,
divine al sole dannate all'ombra
paiono frutta incline alla preveggenza.
La predilezione per le cure della casa le conserva.
|
Vertes
Pêches vertes cueillies,
elle mûriront ou non dans un pot de céramique
ouvrant et fermant une saison,
divines au soleil, à l'ombre damnées
elles semblent des fruits portés vers la prévoyance.
La faveur des soins de la maison
les conserve.
|
Massimo Daviddi, da L'oblio sotto la
pianta, Casagrande, Bellinzona, 2005.
|
|
7
domande a Massimo Daviddi (Pierre
Lepori) |
Massimo Daviddi: leggendo il suo
libro, devo ammettere, mi sento un po' a casa, dal profilo
tematico e stilistico. Lei sembra appartenenere a una sorta
di "costellazione" poetica italiana che ha il
suo baricentro - in L'oblio sotto la pianta in modo
assai evidente - in Fabio Pusterla e Umberto Fiori, oltre
a una serie di poeti della loro generazione (Antonella Anedda,
Milo de Angelis) ed alcuni della generazione seguente (Stefano
Raimondi, Stefano Massari, Giancarlo Sissa). E' una poesia
umanistica, fortemente ancorata nei luoghi, nel quotidiano,
che attraverso una continua interrogazione (che va dallo
scavo dell'umile agli orrori della condizione umana), trasforma
il verso in un luogo di incontro e scommessa civile (pur
non abdicando, tuttavia, alla musicalità della versificazione,
anzi con un riferimento preciso alla tradizione manzoniana
e pariniana). Non si tratta di una corrente, ma quasi di
una comunità (fatta di amicizie e sotterranee vicinanze,
ma non di dichiarazioni perentorie di poetica, salvo forse
l'appello a una sabiana "poesia onesta"), che
rifiuta in modo abbastanza evidente sia lo sperimentalismo
tecnicistico, sia un troppo rigido rispetto della tradizione.
Si riconosce in questa movenza? Fino a che punto crede che
un poeta compia un cammino solitario, fino a che punto è
invece importante/stimolante una sua appartenenza all'epoca
e alla comunità (dal profilo poetico)?
I poeti che cita fanno parte di quella
comunità che sento prossima per le cose che lei chiama
" vicinanze anche sotterranee", in particolare
l'autore che per primo mi ha toccato da vicino, casualmente,
è Fabio Pusterla; ho letto Le cose senza storia da
mia moglie, teneva il libro sul comodino; circa dieci anni
fa stavo iniziando a scrivere senza particolare attenzione
alla scrittura, un giorno prendo questo libro e lo leggo,
sento assonanza di temi e immagini, inizio una consonanza
ideale che sento forte ancora oggi. Per quanto concerne
il rapporto tra il proprio cammino e l'epoca che viviamo,
credo sia inestricabile nella scrittura come nella vita,
l'unicità della nostra voce, la sua irriducibile
presenza procede di pari passo con l'appartenenza al mondo,
all'essere con.
Una parte del suo lavoro poetico
è dominato da atmosfere cupe, in cui la presenza
dell'acqua è molto forte, molto importante. Nella
seconda sezione - il dolore - prende il sopravvento
un immaginario di fuoco. A queste "vene" elementari
(in cui l'influsso di Pusterla mi sembra importante), sono
però contrapposte sprezzature più volutamente
prosastiche, con la presenza di oggetti del quotidiano (addirittura
un bidè), della gente comune oppure delle prostitute.
Si può dire in questo senso che il suo linguaggio
è segnato da un'atmosfera "cittadina",
più brusca?
In questa scrittura, l'acqua è
elemento che pone un intreccio tra l'esistenza, il corso
degli anni, le apparenze ed il reale che coesistono in una
sorta di mutua assistenza; è passaggio tra le nostre
esperienze. Il fuoco che lei ricorda come traccia determinante
nella seconda sezione, "Il dolore", diventa rapida
dissoluzione, brucia, risolve, quanto almeno i tempi della
decisione del suicidio di Silvana; in sé porta l'orrore
delle cose che non si distinguono piu', una dissoluzione
del corrotto e del corpo ormai vissuto come luogo estraneo,
impraticabile. Rispetto agli oggetti del quotidiano, (bidè,
ecc.), alle persone comuni, ai luoghi domestici e pubblici,
la mia appartenenza a Milano credo sia decisiva, sono cresciuto
da bambino tra la fine degli anni cinquanta e l'inizio degli
anni sessanta, in questa città allora, unica
Nella sua biografia lei indica
Chiasso, Mendrisio e Milano come suoi luoghi di residenza.
Recentemente, nell'antologia Das Gewicht eines gewendeten
Blattes - Il peso di un foglio girato Gegenwartslyrik im
Grenzraum Schweiz Italien (Limmat Verlag, 2004), in
cui lei è tradotto, Jacqueline Aerne mette in valore
la presenza della frontiera nelle opere dei poeti ticinesi
e alto-lombardi. Quale valore ha, per lei, il passaggio
tra Svizzera Italiana e Italia; ha un influsso sul lavoro
poetico in quanto tale il paesaggio circostante (così
come lo aveva per la "linea lombarda")?
Non credo che la frontiera in sé,
almeno per quanto mi riguarda, sia elemento decisivo, almeno
se non per quello che di frontiera si è prodotto
molto prima di una frontiera visibile, geografica; la mia
prima esperienza, decisiva, sempre a Milano, è stata
quella tra il balcone del settimo piano ed il naviglio che
scorreva sotto, allora scoperto e con una giungla continua
di cose, animali, colori. Guardavo sempre sotto, non capivo
dove ero, cosa fosse quel mondo circostante, quel modo di
vederlo. Da allora, anche la frontiera rispecchia questo
clinamen, un'idea di vita dove o si è sempre prima
o sempre dopo, comunque; ma in questo c'è forse una
speranza, la ricerca di punti per fermarsi almeno un attimo,
delle fessure possibili.
Questa geografia italo-ticinese
sembra rivolta e indirizzata completamente verso sud: trova
rispondenze, consonanze o impressioni forti anche guardando
a Nord, in Svizzera e oltre?
Si', anche guardando a Nord, a volte
molto; purché non si pensi, (io pensi), che li' sta
il Nord o per contrario che tutto quello che scorre in opposta
direzione, sia Sud, il Sud.
Il suo lavoro poetico è
fortemente nutrito da un sentimento civile, dalla volontà
di confrontarsi con la contemporaneità, anche nei
suoi aspetti triti o brutali, nonché con le grandi
emozioni collettive (dal Vajont all'agonia di Alfredino
in un pozzo a Fiumicino). Mi resta un dubbio di fondo -
più che altro una paura. Il linguaggio poetico ha
veramente presa su questa realtà, fino a che punto
la può dire, contenere, (curare)? E, soprattutto:
come fare per evitare a se stessi il narcisismo di una "poesia
impegnata", buona ad ogni costo? La nostra posizione
occidentale e decisamente privilegiata non rende in fondo
un poco sospetto lo scandalo espresso in forma poetica,
o indiscreto il nostro trasformarlo in versi?
Quando parlo di Alfredino o del Vajont,
non lo faccio con una tensione prevalentemente "politica",
almeno in senso fortiniano; piuttosto mi interessa la storia,
il ricordo, attraverso un tratto estetico. Ad esempio, gli
adulti sono responsabili di avere lasciato un buco terribile,
aperto, dove giocavano dei bambini. Perché? Come
è potuto succedere? Cosa vuole dire questa incuria?
Perché, nonostante le avvisaglie serie e documentate,
non si è fatto nulla per evitare il disastro della
diga? Cosa è la superficialità? Forse, l'idea
di una scrittura sull'oblio, passa per questo processo di
rimemorazione continua e dissolvenza successiva, stare e
uscire, riprendere.
Nell'introduzione a L'oblio
sotto la pianta, Giovanni Orelli mette più volte
in evidenza la tensione dei suoi versi verso la prosa. In
realtà, il suo libro ci accoglie con poesie dalla
forte musicalità, che non disdegnano l'allitterazione
e il ritmo pulsante; poi, a poco a poco, i versi si distengono,
disvolgendosi quasi fino alla prosa poetica. Quale valore
ha per lei il ritmo, la metrica, in questo contesto? Si
riconosce in una poesia che vuole prendere in contropiede
- almeno stilisticamente - la tradizione della versificazione
italiana? Oppure crede in una sostanziale parità
di valore del discorso in prosa o in prosa-poetica? E hanno
ancora, queste distinzioni, un senso: se sì, in che
modo, se no, perché scrivere ancora poesia, a quel
punto?
La sua osservazione, mi induce a
non ricercare distinzioni sul valore o sull'efficacia del
discorso in prosa o in poesia; tutto dipende dalla qualità
e dalla struttura del discorso. Sono d'accordo con lei quando
vede nella mia poesia più elementi poetici che non
"versi verso la prosa"; credo che per me non ci
sia cosa al momento piu' distante che la prosa in sé,
il movimento, lo ricordava nella sua domanda, è quello
che va da versi musicali, rapidi, ad un'estensione in cui
è costantemente presente il timbro poetico, quindi
stilisticamente agisco dentro due aree non disgiunte anche
se differenti. In fondo la tradizione italiana è
un'area vasta, ad esempio un autore che amo molto e leggo
di continuo è Attilio Bertolucci, trovo nella sua
struttura poetica molte cose che sono legate ad un tratto
montaliano, allo stesso tempo lontane da questo.
Una serie di epigrafi, ad apertura
delle varie sezioni del suo libro, rendono omaggio ad alcuni
grandi nomi della letteratura italiana e mondiale: con una
netta predominanza di narratori! Antonio Tabucchi, Ian Mc
Ewan, Fulvio Tomizza, Claudio Magris, Peter Handke. Può
indicarci invece le voci poetiche (non solo italiane) che
l'hanno influenzata?
La predominanza penso sia dovuta
ad un approccio culturale orientato a cercare nei narratori
dei punti di convergenza sul piano poetico, sul piano culturale.
Voci poetiche che sento toccanti e importanti sono quelle
di Tony Harrison e Durs Grünbein, per la vastità
e al contempo, essenzialità dello sguardo.
Pierre Lepori
|
|
Rassegna
stampa / Revue de presse |
Cantilene e prose liriche
per indagare il male
La collana "Versanti" dell'editore
Casagrande di Bellinzona è sicuramente un punto di
riferimento per chiunque voglia tastare il polso dell'attuale
produzione poetica in Ticino. Muovendosi - lo dice il nome
stesso - a ridosso del confine, sul "versante"
ticinese non meno che su quello lombardo (molte le presenze
milanesi), la collana si fa apprezzare in tempi recenti
anche per una sua coerenza interna. Gli ultimi titoli pubblicati
danno infatti voce a tre poeti (Stefano Raimondi, Pierre
Lepori e, freschissimo di stampa, Massimo Daviddi) che sembrano
generarsi in un medesimo alveo, proponendo una poesia di
matrice riflessiva e civile, sostenuta da aperture espressioniste
che si rifanno in gran parte a Pusterla .
La raccolta di Daviddi (L'oblio
sotto la pianta) è innanzitutto, va detto, un'opera
di grande compattezza, divisa in sezioni caratterizzate
sin dai titoli -Il dolore, L'oscurità, L'inverno
- da toni cupi e dalla scelta di indagare i recessi più
oscuri dell'animo umano e del mondo animale ("La
natura del male" scrive Giovanni Orelli nell'Introduzione
"poteva anzi fare da titolo al libro").
Leggendo e rileggendo questa raccolta,
ci siamo convinti che le nostre perplessità nascano
proprio da qui, da questa volontà di riflettere sul
male (a partire da fatti di cronaca e dai destini tragici
di amici cari, ma anche grazie a metafore o considerazioni
più generali) secondo una scelta che è stata
fatta un po' "a tavolino". La grande coerenza
tematica di questo libro risulta quindi, a ben vedere, anche
il suo handicap, accostando indistintamente differenti forme
di male: il suicidio di Silvana (che occupa la seconda sezione)
è cosa ben diversa, per intenderci, dalla morte per
infarto di un edicolante, e un ragazzo che cade in motorino
"perdendo sensi e vita" non ha molto a che spartire
con "il quieto sonno dei padroni" (pag. 60, a
conclusione di una poesia che era partita benissimo, con
la bella metafora della tende che proteggono la casa dalla
luce del sole e dall'oscurità della notte). C'è
insomma il dubbio che certe indagini siano nate un po' gratuitamente,
affrontando il tema del male senza una reale necessità
di fondo - si legga a pagina 58: "In genere è
alle spalle che l'uomo uccide la donna, / nascosto attende
che lei entri nell'appartamento / poi la trafigge mettendole
la mano sopra la bocca, / uscendo dal buio".
Daviddi è senz'altro bravo
stilisticamente, conosce il linguaggio poetico moderno e
dà il meglio di sé sui fronti opposti della
cantilena e della poesia in prosa (la proposta di Orelli,
di leggere anche le prose alla luce delle cantilene, è
sicuramente suggestiva, ma non del tutto utile ad avvicinare
un libro così complesso). Manca invece il momento
centrale - diremmo della "cristallizzazione lirica"
- che occupa quasi solamente la prima sezione. Cristallizzazione
lirica che, di per sé, non è strettamente
necessaria, ma che in Daviddi si vorrebbe più presente
proprio per il confronto con Pusterla (si legga la stupenda
Deposizione di Folla sommersa, un piccolo
"classico" di polemica civile - e di indagine
sul male - che non disdegna un richiamo al Pontormo).
Concludiamo con uno dei testi più
riusciti di Daviddi, un'efficace immagine che vuol essere
anche una riflessione sullo scrivere poesia: "Non si
dovrebbe vedere ciò che non si è mai visto,
/ sognarlo, immaginarlo vero o stato. // Cavalli uccisi
sopra quel prato, / aprono ali in modo smisurato".
Pietro Montorfani
11 giugno 2005
Page créée le: 05.06.05
Dernière mise à jour le: 14.06.05
|
|
© "Le Culturactif
Suisse" - "Le Service de Presse Suisse"
|
|