Avete presenti quei libri che con la sola copertina, o con un titolo evocatore, vi convincono a farsi leggere, irresistibilmente... implacabilmente? Ecco, questo di Claude Darbelley non fa parte di un tal genere di libri. In copertina, rosa e azzurro, vi guarda un bambinetto paffutello, mentre il titolo L'art de grandir vi induce inequivocabilmente in errore. "Deve essere un manuale per puericultrici...", ci si dice. Poi si scopre che è un romanzo e si attaccano le prime dieci pagine: desolanti... l'autoresi mette nei panni di un bambino che sta per nascere (espediente visto in molti altri libri, tra l'altro anche l'ultimo dello scrittore romando Nicolas Couchepin). Oh là là, che banalità. Eppure. Una volta superata la bruttezza della copertina, la leziosità del titolo, l'aria di scontatezza delle prime pagine, la vocetta del protagonista comincia a scavarvi dentro un'inquietudine divertita. Potremmo definirla una voce mafaldesca: irriverente, capricciosetta, pronta a mettere in scacco il sistema di valori degli adulti, la loro costruzione del mondo - basata, agli occhi del nostro pupattolo, su due principi fondamentali, la finzione e l'oblio. E poi c'è un'altra storia: comica, dolce, quasi surreale, di cui ci si scopre emozionati... appena nato, il nostro bimbo ha guardato negli occhi un altro pargolo, o meglio una pargoletta, Patricia. E tra i due è nata un'affinità elettiva che li spingerà a fughe da casa e sotterfugi, pur di ritrovarsi ed amarsi. Ma amarsi come fanno i bambini, senza finzioni e senza oblio. Tutto d'un fiato si arriva allora in fondo a un tal libro e ci si chiede, come si è mai potuto essere così bestia da fermarsi all'apparenza di una copertina e di un titolo. Perché questo libro è un vero piacere.

Pierre Lepori

Rete2 RSI

Page créée le 01.08.98
Dernière mise à jour le 30.11.10